Cgil, Cisl e Uil restano divise sulla riforma del modello contrattuale, sui rinnovi di terziario e pubblico impiego. Bruno Manghi, sociologo esperto di relazioni industriali, sono differenze strategiche?
Chiamarle strategiche è dire troppo, in realtà sono differenze di fondo su alcuni temi che si trascinano da anni. Ciò che sta avvenendo fa parte di una dialettica prevedibile, iscritta nel Dna dei gruppi dirigenti; in particolare sul nodo dei contratti, che comunque non saranno riformati.
Come no?
Sindacati e imprese stanno trattando solo una serie di aggiustamenti agli assetti attuali, che però non vanno al cuore del problema: oggi si fa poca contrattazione, soprattutto di secondo livello, sia in Italia che in Europa. E naturalmente è difficile riformare qualcosa che non c’è.
Quanto dureranno i contrasti tra confederazioni?
Il pluralismo sindacale ha bisogno anche di competizione, quindi resteranno sempre punti di vista diversi su determinate questioni. Ma alla fine, soprattutto nei momenti più delicati, l’unità sindacale sarà ricomposta.
Vale anche per l’unità d’azione?
Quella tornerà sul medio-lungo periodo. Nel discorso complessivo va inoltre considerata la posizione della Cgil che, se posso dire, ambisce a essere qualcosa di più di un semplice sindacato.
Lo dica pure.
La Cgil sembra più affascinata dal terreno dello scambio politico, soprattutto in questa fase che non ha più un singolo partito di riferimento; per questo si creano tensioni con le altre centrali confederali, che invece tengono una linea apertamente sindacale.
Una previsione?
Penso che anche queste divergenze, tutto sommato, si attenueranno nel tempo.
5 novembre 2008
Emanuele Di Nicola