La lunga vicenda della privatizzazione di Alitalia ha indubbiamente avuto, tra i molti elementi negativi che l’hanno riempita, almeno un merito: quello di mostrare con massima chiarezza l’effettiva realtà delle scelte e dei comportamenti sindacali, strappare i veli della retorica, della propaganda, delle finzioni, mettere a nudo, di ogni organizzazione sindacale, fosse confederale o fosse autonoma, il significato e le ragioni reali dei loro atti, indicare impietosamente, volta per volta, le responsabilità che si sono assunte. E’ stata una singolare e utile operazione verità, che ha accompagnato la storia finale della compagnia pubblica dall’inizio, ai tempi di un Governo Prodi già in stato preagonico, alla conclusione nella tarda serata di venerdì scorso, dopo le ultime convulsioni.
Fatto del resto, non casuale, se con i ricordi si ritorna a ciò che è stata la presenza sindacale in Alitalia pubblica, alla quantità abnorme di sigle (nove adesso, ma qualche anno fa erano arrivate al numero di tredici) che rendeva praticamente ingestibili le relazioni industriali, allo scatenamento degli egoismi corporativi, ai quali troppo spesso e troppo facilmente ha ceduto anche il sindacalismo confederale. Si è trattato di un potente contributo, insieme all’invasione e all’arroganza del potere politico, alla progressiva rovina della compagnia.
Poi è finalmente arrivata la privatizzazione, la proposta di Air France-Klm, la decisione della compagnia franco-olandese di porre come condizione dell’acquisto il consenso di tutte le organizzazioni sindacali. Le quali sono andate al confronto senza aver capito quanto fossero cambiati i tempi e le situazioni, si sono sedute al tavolo portando con sé l’immagine e l’idea del loro potere nella compagnia pubblica, hanno detto una serie di categorici no e fatto fallire il negoziato. Che non è fallito soltanto per loro colpa ma anche per l’uso politico-elettorale della vicenda, come sappiamo bene. Ma è altrettanto vero che Spinetta ha lasciato il tavolo e abbandonato la partita quando ha constatato l’atteggiamento negativo dei sindacati: tutti. E qui si è limpidamente rivelata la responsabilità (la irresponsabilità) sindacale, senza distinzione tra confederali e autonomi, nel fallimento di un negoziato che ha impedito una privatizzazione in cui gli esuberi sarebbero stati la metà degli attuali e i debiti di Alitalia non sarebbero stati caricati, come avviene ora, sui cittadini.
Ma è la trattativa con la Cai il punto alto di svelamento dei veri ruoli, coerenze e responsabilità sindacale, è da settembre ai giorni scorsi che scompare qualunque possibilità di fingere. Per due ragioni. Per l’esplicita, proclamata discontinuità che la nuova compagnia pretende rispetto alle tradizionali e deformate relazioni tra azienda e sindacati in Alitalia. Per il peso delle pressioni politiche rivolte a chiudere presto con un accordo. Sotto il quale peso si piegano Cisl, Uil, Ugl, che si affrettano a firmare una intesa mentre la Cgil non firma e strappa miglioramenti. Appare chiaro che le prime tre si sono prese le responsabilità di sacrificare ad un – in quel momento, in quel caso – interesse superiore alquanto ambiguo una parte del loro ruolo contrattuale. E siamo agli ultimi giorni, allo scontro sui contratti proposti da Cai ai dipendenti Alitalia che intende assumere. Qui la rottura tra sindacati confederali e autonomi finalmente si consuma, l’inconciliabilità fra le due concezioni del sindacato si rivela senza equivoci. I primi firmano l’accordo che accetta e riconosce i contratti Cai, i secondo rifiutano, si mettono l’elmetto e scendono in trincea.
La scelta delle organizzazioni confederali è stata coerente ai valori fondanti della confederalità, che devono, in determinate situazioni, ispirare anche il rapporto con i lavoratori, con quella ‘base’ abbondantemente citata, a volte a proposito, altra a sproposito. Nel senso che il legame confederale con i lavoratori ha natura dialettica, libera da mitizzazioni e capace, quando è necessario, di vedere aldilà di dove giunge il loro sguardo. Vedere, ad esempio, le conseguenze sui dipendenti di un fallimento del tentativo Cai e quindi di Alitalia: conseguenze evidentemente drammatiche, che mettono in gioco il concetto e la realtà di quel che va sotto il nome di interesse generale (nel caso specifico, di tutti i lavoratori, oltre che del Paese). Quello che gli autonomi deliberatamente ignorano, aggrappati ad interessi rigorosamente corporativi e di potere: esemplari, da questo punto di vista, i piloti. Ora dovranno decidere le forme dell’opposizione, ma non sembrano, allo stato, avere prospettive diverse dalla sconfitta, da cui verranno, fra gli stessi lavoratori che li seguono, lacerazioni e umiliazioni.
Leopoldo Meneghelli
5 novembre 2008
























