di Guido Baglioni, professore emerito di sociologia, Università Milano Bicocca
Scrivo qualche osservazione sulla proposta della riforma del modello contrattuale di Carlo Dell’Aringa. Se ho capito bene, la sua preoccupazione è quella di evitare o attenuare l’effetto sommatorio degli aumenti re-tributivi fissati ai diversi livelli di contrattazione, dato che non è accettabile, almeno, per le imprese, che ci siano due livelli di contrattazione obbligatoria.
Su quest’ultima affermazione sono sempre stato d’accordo. L’effetto sommatorio costituisce, invece, la que-stione del confronto e del dissenso con la proposta detta. Tale effetto, secondo Dell’Aringa, si affronta con il meccanismo dell’assorbimento: «si stabilisce che una parte degli aumenti relativi al livello nazionale possa assorbire le componenti retributive (di natura fissa) pagate, a qualunque titolo, a livello aziendale»; tenendo conto che, «spesso gli aumenti aziendali, per quanto definiti in termini variabili, tendono poi a diventare fis-si».
Con questa impostazione – una razionalizzazione del presente più che un disegno di riforma – vengono com-promessi due rilevanti aspetti: la distinzione di funzioni e di fondamento dei due livelli contrattuali e la di-stinzione fra la quota retributiva dovuta agli accordi di secondo livello e altre voci pagate «a qualsiasi titolo».
Le retribuzioni dovute ai contratti nazionali sono l’esito negoziale di ampia estensione, nel quale confluisco-no numerosi fattori, ma soprattutto tre: si tratta di un livello quasi obbligatorio, si tiene conto ovviamente della salute economica del settore, i sindacati valutano gli aumenti contrattuali sulla base della salvaguardia del potere d’acquisto dei salari. Quest’ultimo fattore è da tempo quello prevalente e, come è evidente, ha un fondamento più sociale che economico.Esso entra nella logica del salario sufficiente o, come avviene in mol-ti paesi europei, del salario minimo legale (tra 1200 e 1500 euro in Francia, Regno Unito, Olanda, Belgio, Irlanda).
La parte retributiva dovuta agli accordi di impresa (il fulcro del secondo livello), ha, invece, un fondamento propriamente economico; si riferisce ai risultati, alla produttività, alla congiuntura favorevole per l’impresa, alla sua conquista di nuove aree del mercato. Essa ha una “genesi” autonoma che va rispettata. Le imprese che siglano tali accordi sanno che questa parte salariale si aggiunge alla retribuzione del contratto nazionale in essere e di quello successivo; consapevoli che, se tutte le imprese del settore fossero economicamente co-me loro, le retribuzioni stabilite a livello nazionale sarebbero più elevate.
Il differente fondamento retributivo dei due livelli non va confuso e non solo per ragioni di pulizia negoziale. Se così non fosse, avremmo una riduzione complessiva della massa salariale (Draghi non è d’accordo), a-vremmo una maggiore centralizzazione (di fatto il primo livello interviene periodicamente sul secondo livel-lo), avremmo un appiattimento delle differenze salariali che riflettono oggettivamente le differenze economi-che, organizzative e strategiche delle imprese.
Per mantenere e consolidare l’impostazione della “distinzione”, bisogna che, a differenza di quanto sovente avviene (come sottolinea Dell’Aringa), la parte salariale a livello di impresa sia effettivamente variabile, nell’interesse dell’impresa e degli stessi lavoratori. Il secondo livello ha nella variabilità il suo tratto conge-niale. La variabilità di detta parte salariale costituisce il requisito di fondo per avere assetti salariali integrati-vi vicini alle dinamiche reali.
Si obietterà che adesso non è così. Ma qui stiamo parlando di “riforma del modello contrattuale”! Lasciare le cose come stanno vuol dire che le riforme sarebbero superflue.
Un’ultima osservazione sulle parole. Assorbimento ha senso se c’è stato un anticipo; come nel caso notissi-mo e recentissimo dei trenta euro pagati dalla Fiat, dati propriamente “come anticipo sui futuri aumenti con-trattuali”. Questo non si può dire per la parte salariale erogata a livello di impresa. Essa resta tale in sé e può variare di fatto. Se con il rinnovo del prossimo contratto nazionale gli aumenti saranno considerati dalla sin-gola impresa tali da ridurre sensibilmente lo scarto fra la sua capacità di pagare e la capacità prevista dai nuovi aumenti nazionali, allora può rinegoziare l’accordo integrativo proprio perché variabile. Quello che rimane, in caso di diminuzione temporanea, non va comunque assorbito e, possibilmente, può aumentare in seguito.

























