Si sta delineando con chiarezza, a livello di categorie, l’esigenza di prolungare la durata della parte economica dei contratti portandola a tre anni. Giorgio Santini, segretario confederale della Cisl, cosa ne pensa?
E’ il segnale che il tema della durata dei contratti collettivi nazionali va affrontato. Ci sono due forti motivazioni per farlo. Il rilievo che aveva l’inflazione, nel 1993 era circa al 9%, con l’euro è venuto meno. Il costo della vita ha sempre il suo peso, ma oggi parliamo di decimali, non più di numeri interi.
La seconda motivazione?
Aumentare la cadenza dei contratti nazionali può agevolare quelli decentrati. In questi 14 anni sono stati soffocati da rinnovi così serrati, spesso con accordi in ritardo. La contrattazione decentrata si è continuata a fare dove già si faceva.
Sia per l’aziendale che per la territoriale?
Negli incontri di concertazione a Palazzo Chigi, il Governo ha annunciato che la decontribuzione per i premi aziendali del 3% ha interessato 130mila imprese e 1.800mila lavoratori. Di questi, 800mila sono del settore edile, artigiano e agricolo che hanno la contrattazione territoriale. Quindi, questa può essere altrettanto importante di quella aziendale.
Le categorie stanno portando innovazioni sul modello contrattuale laddove le confederazioni hanno fallito?
La contrattazione collettiva è una materia delle categorie, nascono per questo. Poi, probabilmente, servirà un accordo interconfederale per mettere ordine sulla materia. Salvo questa esigenza, se il sistema contrattuale viene gestito dalle categorie, come Cisl siamo fortemente d’accordo.
La durata del contratto era uno dei temi della riforma del modello contrattuale.
Non ci siamo riusciti. Se ci si arriva per un’altra strada, cioè passando per esperienze categoriali e poi per una ricomposizione fatta al livello confederale, è lo stesso. Certo, ci mettiamo un po’ più di tempo, ma va bene comunque.
Quindi una riforma che nasce dalle esperienze delle categorie?
C’è possibilità di combinare due fatti: una durata triennale dei contratti e una forte contrattazione decentrata, incentivata dal protocollo su welfare e competitività. Sono due presupposti per arrivare, ci auguriamo in tempi non biblici, ad un nuovo modello contrattuale.
Giorgia Fattinnanzi