di Volker Telljohann – Fondazione Istituto per il Lavoro, Bologna
1) Introduzione
Fino ad oggi nel contesto italiano esperienze partecipative nell’ambito di processi di innovazione organizzativa sono rimaste poco diffuse (1). Esistono varie ragioni che possono spiegare questo limite. In seguito intendiamo analizzare la situazione italiana per quanto riguarda il ruolo dei lavoratori e delle loro strutture di rappresentanza nei processi di innovazione organizzativa.
2) Il rapporto fra partecipazione e contrattazione
In Italia si è sempre preferito puntare sulla contrattazione per la definizione dei criteri e delle modalità di partecipazione. Il problema di fondo in un sistema di relazioni industriali a canale unico come quello italiano riguarda, quindi, il rapporto fra partecipazione e contrattazione. La mancanza di confini chiari tra le competenze dei rispettivi sistemi può portare ad interpretazioni divergenti da parte degli attori per quanto riguarda le competenze dei rispettivi sistemi e generare contraddizioni fra le attività di contrattazione e quelle di partecipazione. Questo problema viene aggravato dal fatto che c’è una coincidenza fra i soggetti che coprono questi diversi ruoli. Nella maggior parte dei casi i rappresentanti dei lavoratori negli organismi congiunti sono membri delle Rsu. Gli stessi soggetti che hanno una funzione negoziale sono quindi anche inca-ricati ad assumere un ruolo nel sistema partecipativo. Si tratta di un problema strutturale del sistema di rappresentanza a canale unico nel quale i responsabili per la contrattazione collettiva sono gli stessi che assumono responsabilità nel sistema partecipativo. Vengono quindi assegnate sia le competenze di contrattazione collettiva, sia quelle di partecipazione agli stessi soggetti.
Una politica sindacale che considera i membri delle Rsu protagonisti della partecipazione può risultare problematica almeno secondo tre aspetti. Il primo problema riguarda un probabile sovraccarico delle Rsu.(2) Alla loro funzione di rappresentanza degli interessi, di contrattazione aziendale, ma anche di proselitismo, si aggiunge quella di partecipazione. Di fronte ad una cresciuta complessità dell’attività contrattuale dovuta ad un marcato processo di decentralizzazione da un lato, e ad un insufficiente supporto da parte del sindacato soprattutto per quanto riguarda la formazione sindacale (3) dall’altro, si può desumere che diventi difficile per le Rsu affrontare anche i compiti nell’ambito della partecipazione. In più, quando si tratta di partecipazione in materia di organizzazione del lavoro sono richieste delle competenze molto specifiche che le Rsu non sempre possiedono. Da questo punto di vista si rischia di minare l’efficacia degli organismi di partecipazione. È altrettanto ovvio che l’assenza di competenze implichi una autolimitazione da parte del sindacato rispetto alle strategie manageriali. Il contributo dei rappresentanti dei lavoratori avrà principalmente carattere reattivo rispetto alle proposte del management per risolvere problemi identificati dal management stesso. È poco probabile che i rappresentanti delle Rsu assumano un ruolo propositivo in termini di problem-solving o addirittura di problem-setting, ovvero di sviluppo di proposte autonome per la identificazione e soluzione di problemi. Il terzo punto riguarda il problema della sovrapposizione dei ruoli. Se gli stessi soggetti sindacali che sono responsabili della contrattazione siedono negli organismi di partecipazione possono sfumare i confini fra le due aree e non sarà facile per i rappresentanti dei lavoratori comportarsi sempre in modo coerente con i rispettivi ruoli.
La questione relativa all’assegnazione della funzione della partecipazione può essere decisa seguendo i criteri di appartenenza e di competenza. Come è già stato ricordato in Italia il sindacato sceglie nella maggior parte dei casi il criterio dell’appartenenza per garantirsi da un punto di vista politico la necessaria affidabilità, ovvero il controllo. Riesce infatti difficile immaginarsi che i sindacati presenti in un’impresa possano decidere di delegare sulla base del criterio di competenza la funzione partecipativa a dipendenti che sono esperti della materia di cui si occupano i rispettivi organismi congiunti. Un altro indicatore che sembra confermare quanto la competenza venga considerata una necessità di secondo ordine è lo scarso utilizzo di esperti esterni nell’ambito delle attività di organismi congiunti. (4) Questa impostazione della politica sindacale in materia di partecipazione potrebbe anche essere una caratteristica di un sistema di rappresentanza a canale unico nel quale il sindacato esercita una funzione di controllo piuttosto accentuata. Il rischio di una politicizzazione della partecipazione non esiste solo da parte del sindacato ma anche da parte del management, che sembra più interessato ad una copertura politica dei progetti di cambiamento organizzativo da parte delle strutture sindacali che non ad un autentico contributo da parte dei rappresentanti dei lavoratori. Si potrebbere quindi avanzare dei dubbi su quanto tale ‘politicizzazione’ degli organismi di partecipazione attraverso la scelta del criterio di appartenenza sia utile dal punto di vista dell’efficacia del loro lavoro.
La politicizzazione della partecipazione fa sì che le esperienze partecipative siano spesso caratterizzate dal mancato utilizzo di risorse importanti quali le conoscenze e la creatività dei dipendenti stessi. Questo limite non riguarda solo le esperienze di partecipazione contrattuale ma anche quelle di partecipazione diretta come viene evidenziato dal rapporto sulle prassi di partecipazione diretta negli Stati membri dell’Unione europea realizzata dalla Fondazione Europea di Dublino. (5) Pertanto sembra che si tratti di un atteggiamento generalizzabile che rappresenta una caratteristica del sistema italiano. Le ragioni possono essere possibilmente ricercate nella specifica tradizione e cultura delle relazioni industriali italiane che in passato sono state caratterizzate da un elevato livello di conflittualità e da un’assenza di una tradizione di partecipazione.
Rispetto a questa complessa questione che è il rapporto fra partecipazione e contrattazione anche Carrieri, con riferimento al caso Zanussi, afferma che “alcuni segmenti del sindacato si sono più preoccupati e collocati in un’ottica difensiva, invece di plasmare le nuove regole secondo le esigenze dei lavoratori” (6). Con questa critica si riferisce da un lato ai limiti delle Rsu per quanto riguarda le loro competenze e la sostanziale assenza di un supporto in termini di formazione da parte del sindacato e dall’altro al mancato raccordo del sindacato tra le diverse funzioni e i diversi livelli di rappresentanza. L’approccio del sindacato oltre che essere difensivo è soprattutto passivo. Come ricordato sopra in mancanza di una propria progettualità i rappresentanti dei lavoratori si trovano in una posizione di svantaggio rispetto al management e le esperienze di partecipazione rischiano di ridursi ad atti puramente formali. Non è quindi sufficiente, se formalmente siamo di fronte ad esempi di codeterminazione caratterizzati da organismi di partecipazione composti in modo paritetico, che abbiano anche potere deliberante, se i rappresentanti dei lavoratori non hanno gli strumenti per esprimere una propria autonomia progettuale.
Dove esistono forme di partecipazione contrattuale spesso possiamo riscontrare un atteggiamento del sindacato tendenzialmente difensivo e passivo. Siamo quindi di fronte ad una politica sindacale che non ha mai investito con convinzione in una strategia di partecipazione contrattuale nell’ambito di processi di cambiamento organizzativo.
Il rischio è che in futuro il sindacato continui a rimanere escluso dai processi di cambiamento organizzativo con effetti prevedibili come la riduzione della sua capacità di azione anche rispetto ad altre tematiche in quanto dipendenti dall’organizzazione del lavoro (per esempio orario di lavoro, salario, inquadramento, salute e sicurezza ecc.) ed una intensificazione della crisi di rappresentatività.
3) Partecipazione diretta e partecipazione rappresentativa
Un altro problema consiste nel fatto che le imprese puntano sempre di più su un coinvolgimento diretto dei lavoratori evitando un coordinamento fra forme di partecipazione diretta e forme di partecipazione rappresentativa.
Di conseguenza, in quasi tutti i casi in cui avviene un coinvolgimento diretto dei dipendenti queste forme di partecipazione diretta vengono vissute da parte dei rappresentanti dei lavoratori come minacce e in alcuni casi portano a conflitti aperti. Decisioni unilaterali di introduzione di forme di partecipazione diretta possono minare i rapporti di fiducia fra gli attori e, di conseguenza, le esperienze di partecipazione diretta rimangono quasi tutte di scarsa efficacia. Questi casi rendono infatti evidente il bisogno di scegliere un approccio integrato fra forme di partecipazione diretta e partecipazione rappresentativa. In mancanza di un coordina-mento fra le due forme di partecipazione le forme di partecipazione diretta che in teoria avrebbero una loro giustificazione sono nella maggior parte dei casi destinate ad un fallimento. Complessivamente, i risultati delle ricerche empiriche sembrano indicare che la diffusione di esperienze funzionanti di partecipazione diretta è piuttosto modesta. Il terzo rapporto annuale dell’Istituto per il Lavoro rileva nelle sue conclusioni che “… nell’ambito della partecipazione diretta le esperienze realizzate nei casi analizzati sono del tutto deludenti, sia dal punto di vista della loro efficacia, sia dal punto di vista dell’integrazione fra partecipazione diretta e partecipazione rappresentativa.” (7)
Per garantire un’integrazione efficace anche da parte sindacale sarebbe auspicabile un’apertura dei tradizionali sistemi di partecipazione contrattuale per superare tendenzialmente i limiti del sistema di rappresentanza a canale unico.
Si pone quindi la necessità di innovare il sistema tradizionale di rappresentanza sviluppando nuove ipotesi in grado di chiarire sia il rapporto fra partecipazione e contrattazione, sia il rapporto fra partecipazione diretta e partecipazione rappresentativa. Se non esiste chiarezza sulle rispettive competenze e sui raccordi fra i diversi livelli le esperienze di partecipazione rischiano il fallimento. È infatti importante che la partecipazione non venga utilizzata per sostituire la contrattazione a livello aziendale.
L’altro aspetto che caratterizza negativamente l’esperienza italiana è la scarsa consapevolezza della rilevanza delle tematiche organizzative, ai vari livelli, sia da parte degli attori sociali, sia da parte dei decisori pubblici. Emerge quindi l’esigenza di interventi organici di sostegno alle attività di innovazione organizzativo-gestionale, che vanno inquadrate nelle azioni finanziate dall’Unione europea, tramite azioni dirette, interventi sul sistema universitario e della ricerca e il rafforzamento della rete a sostegno dell’innovazione. (8) Inoltre si pone la necessità di sviluppare a livello nazionale politiche pubbliche mirate con lo scopo di mettere a disposizione risorse in forma di programmi pubblici dedicate alla promozione di processi di innovazione organizzativa.
4) Una modernizzazione della rappresentanza degli interessi
In Italia la prassi di partecipazione è stata caratterizzata da una insufficiente convinzione dell’utilità di un effettivo coinvolgimento dei lavoratori interessati nei processi di cambiamento organizzativo. In seguito si intende presentare due esempi che dimostrano che è possibile organizzare il coinvolgimento dei lavoratori in modo da garantire il loro apporto ai processi di innovazione organizzativa senza compromettere il ruolo delle strutture di partecipazione rappresentativa. I due casi dovrebbero, quindi, fornire prime indicazioni per trovare risposte alle criticità evidenziate sopra. Uno dei maggiori problemi del modello italiano di rappresentanza degli interessi sembra riguardare il rapporto fra partecipazione rappresentativa e partecipazione diretta. Intendiamo proporre due casi con tratti innovativi per quanto riguarda l’intreccio fra le diverse forme di partecipazione. Il primo caso riguarda un’esperienza di partecipazione nel settore sanitario italiano; il secondo caso, invece, si riferisce alla riforma della legge sulla costituzione aziendale tedesca che prevede un nuovo tipo di integrazione fra partecipazione rappresentativa e partecipazione diretta.
4.1. Cambiamento organizzativo e partecipazione in una struttura ospedaliera
Nel periodo dal 2000 al 2005 nell’ospedale civile di Guastalla è stato realizzato un progetto di sviluppo organizzativo che si è distinto per il coinvolgimento non solo delle parti sociali, ma anche dei diretti interessati.(9) Il progetto che è stato avviato in seguito ad un accordo firmato dalla Direzione dell’Azienda USL di Reggio Emilia, dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil e dalle organizzazioni sindacali mediche consisteva nell’analisi della organizzazione interna e nella sua riprogettazione in modo da poter raggiungere sia un servizio efficace ed efficiente, sia un miglioramento della soddisfazione e delle condizioni di lavoro degli operatori. Tutto il progetto è stato coordinato da un istituto di ricerca specializzato in processi di innovazione organizzativa.
Dal punto di vista della metodologia nell’ambito del progetto sono state utilizzate delle specifiche tecniche di analisi e progettazione organizzativa partecipata. È stata coinvolta la totalità degli operatori della struttura ospedaliera sia nella definizione del problema, sia nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni organizzative adatte. Il processo di sviluppo organizzativo è stato suddiviso in due fasi. Nella prima fase che era dedicata alla diagnosi organizzativa gli operatori sono stati coinvolti attraverso gruppi di discussione ed interviste in profondità. Nella seconda fase che aveva invece come obiettivo il cambiamento organizzativo gli operatori sono stati coinvolti attraverso conferenze di ricerca e gruppi di progetto. Alla fase di sviluppo organizzativo hanno lavorato autonomamente sei gruppi di operatori su temi specifici, individuati nel corso delle conferenze di ricerca come critici o strategici. Al termine del lavoro dei gruppi sono stati organizzati due incontri di supervisione ai quali hanno partecipato i referenti dei gruppi di progetto, l’interlocutore da parte della Direzione dell’ospedale, i rappresentanti delle organizzazioni sindacali così come i responsabili del progetto dell’istituto di ricerca.
Il caso dell’ospedale di Guastalla rappresenta un esempio di un approccio alternativo al cambiamento orga-nizzativo. Il progetto si è basato innanzi tutto su “…un accordo tra le organizzazioni sindacali e la direzione dell’ospedale in cui si è espresso un consenso sulle premesse generali e sull’impianto metodologico” (10). Bisogna quindi sottolineare che le strutture di rappresentanza degli interessi sono state coinvolte nel processo di cambiamento organizzativo dal inizio. Nella fase seguente, caratterizzata da un vasto processo di partecipazione diretta degli operatori dell’ospedale, gli individui hanno avuto l’opportunità di elaborare e discutere delle ipotesi di cambiamento dell’organizzazione del lavoro. Alla fine del percorso sono stati decisi programmi di sviluppo organizzativo per il futuro sulla base del consenso anche delle organizzazioni sindacali. Siamo quindi di fronte ad un caso esemplare di cambiamento organizzativo partecipato e basato sull’utilizzo delle competenze dei dipendenti. Allo stesso tempo si tratta di un caso in cui vengono raggiunte soluzioni consensuali grazie all’integrazione fra partecipazione e contrattazione, così come fra partecipazione rappresentativa e partecipazione diretta. Infine, è da sottolineare il ruolo di coordinamento assunto da una istituzione intermedia, quale l’istituto di ricerca.
4.2. La riforma del modello tedesco
Altre indicazioni interessanti vengono dalle esperienze dei consigli di azienda tedeschi. La comparazione con il modello tedesco di codeterminazione (Mitbestimmung) è di qualche interesse in quanto il sistema di relazioni industriali e di partecipazione rappresenta una esperienza piuttosto avanzata nel contesto europeo. L’elevato livello di istituzionalizzazione ed il sistema di rappresentanza a canale doppio sono poi due carat-teristiche che distinguono nettamente il modello tedesco da quello italiano.
Nel 1998 è stato pubblicato un rapporto sul sistema di codeterminazione dalla Fondazione Bertelsmann e dalla Fondazione Hans Böckler. (11) Il rapporto giunge alla conclusione che la codeterminazione rappresenta tuttora un efficiente modello di partecipazione nell’ambito delle relazioni industriali tedesche. La commis-sione di esperti incaricata dalle due Fondazioni sostiene che la codeterminazione contribuisca anche positivamente alla competitività delle imprese.
Sono comunque da mettere in evidenza i limiti di efficacia della codeterminazione a livello aziendale che in molti casi sono il risultato della crescente diffusione di nuove forme di partecipazione diretta. Questo problema pare particolarmente accentuato nell’ambito di processi di riorganizzazione aziendale come dimostrano i risultati di un’indagine su larga scala realizzata dall’Istituto Fraunhofer ISI nell’industria di beni di investimento tedesca. (12) Il progetto di ricerca ha esaminato la diffusione di prassi di partecipazione nell’ambito di processi di innovazione organizzativa e i loro effetti sulla competitività delle imprese. È da evidenziare che circa nell’80% delle imprese indagate esisteva un Consiglio di azienda (Betriebsrat). Essendo il sistema tedesco di relazioni industriali un sistema a canale doppio, il Consiglio di azienda è formalmente autonomo dal sindacato. Ciononostante la grande maggioranza dei membri dei Consigli di azienda sono iscritti ai sindacati di categoria della confederazione DGB. Un risultato da un certo punto di vista sorprendente consiste nel fatto che il coinvolgimento dei Consigli di azienda è meno sviluppato del previsto, visto che la legge sull’ordinamento aziendale prevede dei diritti di consultazione e codeterminazione in materia di cambiamenti organizzativi. Solo nel 25% circa dei casi i membri del Consiglio di azienda erano coinvolti in modo organico in progetti di innovazione organizzativa, nel 40% circa dei casi il coinvolgimento era di carattere occasionale, nel 10% circa non esisteva nessun tipo di coinvolgimento e nei restanti casi non erano stati eletti Consigli di azienda. Inoltre viene evidenziato che nei casi in cui siamo di fronte ad una partecipazione organica di membri del Consiglio di azienda i criteri per il coinvolgimento sono: a) le loro specifiche competenze o b) il fatto che fanno parte di gruppi di dipendenti colpiti da cambiamenti organizzativi. Il coinvolgimento non avviene quindi per motivi politico-istituzionali, ma solo quando il consiglio di azienda dispone delle necessarie competenze. Questo esempio dimostra chiaramente che non sia sufficiente avere diritti di partecipazione avanzati se il consiglio di azienda non dispone delle competenze necessarie per farli valere. Il punto critico per le strutture di rappresentanza sembra quindi essere l’accesso a delle competenze che possono garantire una partecipazione effettiva nell’ambito dei processi di riorganizzazione.
Quanto agli effetti della partecipazione sulla competitività delle imprese la ricerca conferma che le imprese caratterizzate da una sviluppata cultura partecipativa hanno dei chiari vantaggi rispetto agli indicatori rilevanti di performance. Rispetto alla scelta degli attori nei processi partecipativi viene evidenziata l’importanza del coinvolgimento dei dipendenti stessi in modo da garantire l’utilizzo delle loro conoscenze e della loro creatività che è indispensabile per una efficace implementazione di innovazioni organizzative. Secondo gli autori se si vuole veramente la responsabilizzazione ed una convinta cooperazione dei dipendenti, il management dovrebbe mettere in conto anche la possibilità di una loro resistenza rispetto ai progetti manageriali. Di conseguenza anche da parte del management viene richiesta flessibilità nel gestire i possibili conflitti che potrebbero risultare da eventuali resistenze. Per garantire il successo di cambiamenti organizzativi è comunque più importante assicurarsi il coinvolgimento dei dipendenti piuttosto che evitare ad ogni costo dei conflitti. In questo senso il conflitto è da considerare una risorsa in quanto può riuscire ad evitare decisioni che in futuro potrebbero compromettere il successo di un progetto di cambiamento organizzativo. I consigli di azienda guardano, comunque, con scetticismo a queste esperienze di coinvolgimento diretto dei lavoratori. Le nuove forme di partecipazione diretta vengono in genere viste in competizione con la partecipazione rappresentativa.
Tradizionalmente l’elevato livello di istituzionalizzazione della partecipazione in Germania ha portato ad un primato della partecipazione rappresentativa rispetto a forme di partecipazione diretta. A partire dalla metà degli anni Ottanta con l’offensiva delle nuove strategie manageriali si è assistito, comunque, ad una crescente diffusione di offerte di partecipazione dall’alto. L’obiettivo dell’Human Resource Management (HRM) consiste nell’utilizzo delle competenze dei dipendenti nell’ambito di processi di riorganizzazione aziendale. Il limite principale di queste forme di coinvolgimento riguarda l’uso strumentale della partecipazione da parte del management. Il decentramento di responsabilità avviene nell’ambito di processi di riorganizzazione messe in moto dalle logiche di mercato. Di conseguenza, la partecipazione diretta non conosce nessuna forma di istituzionalizzazione e dipende quindi esclusivamente dalle strategie del management.
Con la riforma della legge sulla costituzione aziendale del 2001 potrebbero essere superati i limiti sia del vecchio modello di partecipazione rappresentativa, sia delle forme di partecipazione diretta. L’obiettivo del legislatore era la modernizzazione delle condizioni di lavoro dei consigli di azienda attraverso la delega di diritti di partecipazione a gruppi di lavoro, ma anche attraverso il coinvolgimento del singolo lavoratore nel lavoro del consiglio di azienda. La riforma prevede, quindi, un nuovo rapporto fra partecipazione rappresentativa e partecipazione diretta. Concretamente è stata introdotta la possibilità per il consiglio di azienda di utilizzare per la sua attività di rappresentanza le competenze di dipendenti esperti. Si tratta di un nuovo diritto del consiglio di azienda che consiste nella possibilità di chiedere all’azienda di avere a disposizione lavoratori esperti per poter svolgere la propria attività di rappresentanza. In questo modo si cerca di combinare forme tradizionali di partecipazione rappresentativa con nuove modalità di partecipazione in forma di progetto. È da sottolineare che il potere deliberativo rimane una prerogativa del consiglio di azienda. Con questa riforma si potrebbe aprire un’opportunità per i consigli di azienda di uscire dalla loro posizione difensiva in cui si sono trovati in seguito alla forte diffusione delle strategie di HRM.
I primi risultati riguardanti l’applicazione di questa nuova norma sembrano dimostrare che la cooperazione fra il consiglio di azienda ed i dipendenti esperti rappresenti un arricchimento del modello di partecipazione in grado di rendere la rappresentanza degli interessi più efficace. (13)Per il consiglio di azienda si offre la possibilità non solo di colmare il gap a livello delle competenze e di poter affrontare nuovi argomenti, ma anche di migliorare la sua propria legittimazione.
Non sono poi da dimenticare i diritti già esistenti che possono sostenere ulteriormente le strategie dei consi-gli di azienda in materia di innovazione organizzativa. Fra questi diritti troviamo soprattutto la possibilità di poter ricorrere anche ad esperti esterni e di poter partecipare ad attività di formazione per membri dei consigli di azienda. È da sottolineare che sia il ricorso ad esperti esterni, sia la formazione dei consigli di azienda è a spese dell’azienda.
4.3. Conclusioni
I due casi presentati sopra forniscono indicazioni rilevanti per la riflessione sull’innovazione del sistema di rappresentanza e partecipazione che dovrebbe avere come obiettivo lo sviluppo di un’ipotesi di integrazione e coordinamento fra le forme di partecipazione rappresentativa e di partecipazione diretta. Gli esempi dimostrano come lo stesso problema viene affrontato in due sistemi di rappresentanza fondamentalmente diversi. Da un lato abbiamo l’esperienza italiana caratterizzata da un basso livello di istituzionalizzazione e da un sistema di rappresentanza a canale unico, dall’altro lato c’è il modello tedesco caratterizzato da un elevato livello di istituzionalizzazione e da un sistema di rappresentanza a canale doppio.
La conferma che viene da tutti e due i casi riguarda il fatto che, per rendere la partecipazione uno strumento efficace, pare sia indispensabile sviluppare approcci che garantiscano un migliore utilizzo delle competenze dei lavoratori. Il secondo insegnamento consiste nel fatto che in ambedue i casi il coinvolgimento dei dipendenti avviene senza escludere le strutture di rappresentanza aziendali. Visto che la partecipazione diretta può avvenire solo sulla base del consenso delle strutture di rappresentanza si può sostenere che esiste un primato della partecipazione rappresentativa rispetto alla partecipazione diretta.
La possibilità di poter ricorrere alle competenze dei lavoratori ha diversi vantaggi per le strutture di rappresentanza a livello aziendale. Il coinvolgimento dei lavoratori può contribuire a ridurre il gap a livello delle competenze cosicché le strutture di rappresentanza vengano messe nelle condizioni di poter affrontare nuovi argomenti. Allo stesso tempo viene favorita una divisione del lavoro che potrebbe contribuire all’alleggerimento delle strutture di rappresentanza. Un altro vantaggio consiste nel fatto che attraverso il coinvolgimento dei dipendenti le strutture di rappresentanza riescono a migliorare la loro propria legittimazione.
La differenza fra le due esperienze sta sempre nelle forme di regolazione. Mentre in Italia si sceglie la via contrattuale, in Germania l’integrazione fra la partecipazione rappresentativa e la partecipazione diretta è il risultato della riforma della legge sulla costituzione aziendale. L’approccio che punta sull’istituzionalizzazione dei diritti attraverso la legislazione ha innanzi tutto il vantaggio di garantire la certezza dei diritti. Inoltre è da sottolineare che esiste un sistema di diritti che favorisce l’efficacia dei processi di partecipazione. Qui sono da menzionare il diritto alla formazione e al ricorso ad esperti esterni.
Un processo di modernizzazione del sistema italiano dovrebbe tener conto delle specificità del sistema di relazioni industriali italiano che consistono sia nella via contrattuale alla partecipazione, sia nel sistema di rappresentanza a canale unico. Partendo dall’esperienza realizzata nell’ospedale civile di Guastalla una pri-ma proposta potrebbe consistere nell’introduzione di gruppi di lavoro affiancati dalle Rsu aperti anche a dipendenti esperti. Un tale diritto potrebbe essere negoziato sia a livello di categoria, sia a livello aziendale. Inoltre sarebbe pensabile aprire strutture di partecipazione già esistenti come le commissioni dedicate a determinate tematiche anche a dipendenti esperti. In prospettiva sarebbe comunque auspicabile una legislazione in materia di partecipazione in modo da garantire una diffusione generale e l’esigibilità dei diritti.
[1] Si veda per esempio J. Monatti, L. Lugli, M. Nosvelli, P. Pini, S. Tugnoli, Nuovi modelli organizzativi, relazioni industriali e contrattazione nelle imprese dell’Emilia Romagna, in Economia e Lavoro, XXXVII, 1, 2003, pp. 129-152.
[2] Questo problema viene sollevato anche da M. Carrieri, L’incerta rappresentanza. Sindacati e consenso negli anni ’90: dal monopolio confederale alle rappresentanze sindacali unitarie, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 50.
[3] Si veda A. Braga, Rsu, cambiamento organizzativo, pratiche di apprendimento, in A. Braga (a cura di), Le RSU una risorsa strategica per il sindacato, Edit Coop, Roma, 1999, pp. 108, 109.
[4] Cfr. IRES Emilia-Romagna, Secondo rapporto sulla contrattazione in Emilia-Romagna: 1994-1997. Un’indagine sull’esperienza della contrattazione aziendale dopo il 23 luglio 1993, Collana IRES 22, Franco Angeli, Milano 1999.
[5] Cfr. European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, New Forms of Work Organisation. Can Europe realise its potential?, European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, Dublin, 1997.
[6] M. Carrieri, Zanussi: dal modello al sistema, in “L’impresa al plurale – Quaderni della partecipazione”, 1/1998, p. 99.
[7] Cfr. V. Telljohann, Strategie di impresa, relazioni industriali e modelli di partecipazione, in: Istituto per il Lavoro (a cura di), Globalizzazione, strategie di impresa e qualità della vita lavorativa. Profili di alcuni settori italiani. 3° Rapporto annuale dell’Istituto per il Lavoro, Franco Angeli, Milano, 2003, pp. 496-497.
[8] Cfr. Bartezzaghi E., Cagliano R., The diffusion of new forms of work organization in Italy: an open debate, Paper presentato alla conferenza “Nuove forme di organizzazione del lavoro e relazioni industriali – Dov’è l’Italia?”, Roma, 1-3 aprile 2004.
[9] Cfr. F. Garibaldo, F. Sbordone, Un’esperienza di partecipazione nel sett1ore sanitario, in “L’impresa al plurale – Quaderni della partecipazione”, 7-8/2001, p. 391-396.
[10 Cfr. op. cit.
[11] Cfr. Bertelsmann Stiftung, Hans-Böckler-Stiftung (a cura di), Mitbestimmung und neue Unternehmenskulturen – Bilanz und Perspektiven, Verlag Bertelsmann Stiftung, Gütersloh, 1998.
[12] Si veda la presentazione dei risultati di questa indagine in J. Wengel, W. Wallmeier, op. cit. Per quanto riguarda la discussione sul rapporto fra strutture sindacali, i consigli di azienda e le prassi di partecipazione diretta si veda G. Leminsky, Bewährungsproben für ein Management des Wandels. Gewerkschaftliche Politik zwischen Globalisierungsfalle und Sozialstaatsabbau, Edition Sigma, Berlino, 1998.
[13] Cfr. Brinkmann U., Speidel F., Hybride Beteiligungsformen am Beispiel sachkundiger Arbeitnehmer, “WSI Mitteilungen”, 2, 90, 2006.