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Home - Approfondimenti - Analisi - Liberalsocialismo, cristianesimo sociale, cultura sindacale

Liberalsocialismo, cristianesimo sociale, cultura sindacale

20 Maggio 2005
in Analisi

di Bruno Liverani – Fim nazionale

Il Consiglio generale della Fim Cisl ha discusso il 16 maggio, a Roma, con l’aiuto di alcuni studiosi, il rapporto fra due tradizioni di pensiero e di esperienza – il liberalsocialismo e il cristianesimo sociale – ponendole a confronto ed esaminandone l’influenza sulla cultura di quella parte del movimento sindasale che è rappresentata ed espressa dalla Cisl. Nella sua breve introduzione Giorgio Caprioli ha sottolineato alcuni temi sui quali le assonanze sono più evidenti: il rifiuto di ogni utopismo messianico e la critica al determinismo marxista; un riformismo pragmatico ma al tempo stesso nutrito di alte idealità; l’interesse per l’autonomia delle espressioni della società civile e la prudenza verso l’intervento regolatore dello Stato; l’idea del conflitto come ingrediente fisiologico, in quanto gestibile e regolabile, di una società democratica; l’attenzione alla persona e alle sue esigenze di autorealizzazione. Questo orizzonte ideale ha punti di contatto con un’altra costellazione culturale, importante per il retroterra culturale della Fim e della Cisl, che è il cristianesimo sociale.

 

Nadia Urbinati, docente di teoria politica presso la Columbia University di New York, ha illustrato i caratteri fondamentali del liberalsocialismo. Centrale è l’idea delle “uguali libertà”: la libertà come prerogativa essenziale della persona, come tale prerogativa di tutti, e dunque inscindibile dall’uguaglianza.

La prospettiva delineata dal liberalsocialismo è profondamente umanistica: siamo noi a realizzare il nostro destino, e tutte le istituzioni non possono che essere funzionali a questo obiettivo. Quello costruito dagli uomini deve essere un mondo “malleabile”, cioè plasmabile in funzione delle persone libere e uguali. Fondamentale è l’autonomia della società civile e delle sue espressioni, da cui discende il pluralismo come “unità discorde”, che rinvia alla capacità di trovare dignitosi modus vivendi tra soggetti irriducibilmente diversi. A questa prospettiva si lega quella di un progetto riformatore che dia voce a chi non ce l’ha, agli ultimi, ai nuovi esclusi, perché l’idea liberalsocialista rifiuta ogni fatalismo socialdarwiniano.

 

Guido Formigoni, docente di storia contemporanea all’Università Iulm di Milano, ha trattato del cristianesimo sociale in un’ottica storica. Il cristianesimo sociale sorge nell’Europa dell’Ottocento, dapprima come reazione contro la modernità e tentativo di un ritorno verso la società tradizionale, più ordinata e coesa; poi si evolve sviluppando forme di autotutela sindacale, accettando il conflitto sociale, maturando esperienze cooperative, restando tuttavia ancora fuori dalla politica; infine compie il passo verso la politica ricollegandosi al cattolicesimo democratico e al cattolicesimo liberale (nasce la prima Democrazia cristiana, che recupera anche elementi del primitivo cristianesimo sociale, l’autonomia della società civile contro lo statalismo accentratore).

Venendo all’oggi, Formigoni pone tre interrogativi: quale rapporto con la “dottrina sociale della Chiesa”, quale rapporto con la politica, quale modello di società. I cristiani socialmente impegnati devono porsi questi interrogativi, consapevoli del rischio di risorgenti rifiuti della politica, quando invece sembra affiorare una nuova domanda di politica, e di politica “forte”, non più sui limiti del potere, ma sulla rilegittimazione stessa del potere.

 

Giancarlo Bosetti, direttore della rivista Reset, ha prospettato le non lievi difficoltà di tenere insieme i due elementi di quel “composto chimico instabile” che è il liberal-socialismo. Per molti è sembrata impresa impossibile. Ad esempio Karl Popper, pur favorevole a un graduale riformismo sociale, vedeva socialismo e libertà come alternativi, e scelse la libertà. Persino Norberto Bobbio appariva scettico sulla possibilità di combinare i due elementi, anche se affermava che comunque bisognava tentare di tenerli assieme per quanto possibile.

Ma questa alternativa si poneva in un’epoca nella quale il socialismo “realmente esistente” esibiva ovunque i tratti di un regime dispotico, e quindi la scelta di un liberale, per quanto sensibile alle istanze sociali, non poteva che essere per la libertà. Oggi, dopo il 1989, con la caduta dei regimi comunisti, cambia la scena storica e, senza quel condizionamento, si profila la possibilità di prospettare in modo nuovo la “libertà positiva”, cara ai socialisti, senza rinunciare alla “libertà negativa” cara ai liberali.

 

Gian Primo Cella, ordinario di sociologia economica all’Università statale di Milano, si è soffermato sul rapporto della cultura liberalsocialista con la Cisl e più particolarmente con la Fim. Non bisogna cercarlo in Italia, questo rapporto: la grande cultura dell’azionismo ebbe scarsa simpatia verso la Cisl, e quando aveva interesse al sindacato pensava semmai alla Cgil. Il contatto avviene invece con una componente del socialismo francese, che si potrebbe definire liberalsocialista e che poi è all’origine della creazione della confederazione Cfdt, alla quale la Cisl e la Fim sono molto legate. Va però ricordato che anche in Italia la Fim e la Cisl trovarono poi importanti punti di riferimento in una parte del socialismo riformatore, soprattutto nella figura di Riccardo Lombardi.

Cella ha poi ricordato che nella cultura della Cisl non si trovano tracce della dottrina sociale della Chiesa, mentre il cristianesimo sociale penetra essenzialmente attraverso il riferimento a Emmanuel Mounier, non certamente assegnabile al pensiero liberalsocialista e portatore di una fortissima istanza morale.

 

Gli interventi sono stati numerosi, tutti tesi a collegare i temi discussi ai problemi concreti dell’oggi. È intervenuto anche Pierre Carniti, il quale, dopo aver richiamato la necessità di battersi per superare il “minimalismo” della nostra attuale democrazia per una vera partecipazione dei cittadini, ha portato la sua testimonianza personale. Nella sua maturazione politico-culturale, Carniti ha detto che l’apporto fondamentale è stato quello di Mounier, con la sua forte tensione etica; l’affermazione di un cristianesimo non tiepido, capace di schierarsi e dunque il rifiuto del “centrismo”; l’importanza attribuita ai soggetti della società civile e la non risoluzione della politica nei partiti e nello Stato; la capacità di pensare e agire localmente “pensando globalmente”.

 

(Gli interventi al seminario sono stati registrati e, una volta trascritti e rielaborati, verranno resi disponibili in una pubblicazione).

redazione

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