di Ida Regalia – Università degli Studi di Milano
1. Per chi da tempo ritiene che occorre prestare particolare attenzione alle relazioni di lavoro nel terziario, poiché costituiscono allo stesso tempo quelle potenzialmente più critiche e quelle potenzialmente più dinamiche nel panorama delle relazioni industriali[1], il caso del rinnovo del contratto collettivo di lavoro del settore del credito, che riguarda sia la parte normativa sia le condizioni retributive dei dipendenti, rappresenta la conferma di alcuni assunti di fondo e un’occasione stimolante di riflessione sulle prospettive delle relazioni industriali più in generale.
La conferma riguarda la logica e il modello delle relazioni tra le parti. Ne viene infatti rafforzata quella che ci si può attendere sia una tendenza costante del settore dei servizi, le cui attività svolgono un ruolo fondamentale per il benessere degli individui e il buon funzionamento di economia e società: vale a dire l’elaborazione di relazioni di lavoro orientate a un’esplicita e puntigliosa ricerca del consenso e di una cooperazione intenzionale e costruttiva tra tutte le parti rilevanti coinvolte. È vero – occorre aggiungere per completezza – che non necessariamente è sempre così nel caso dei
servizi pubblici. Ma ciò costituisce l’eccezione più che la regola: un’eccezione molto rilevante, su cui non possiamo però soffermarci poiché ciò ci condurrebbe troppo lontano.
Nel caso su cui ora ragioniamo, non sembra accidentale, o puramente retorico, che la firma dell’accordo, raggiunto faticosamente dopo dieci mesi di trattative e tre scioperi, sia stata accolta da commenti generalizzati di soddisfazione da parte dell’Abi e dei sindacati firmatari, Fiba Cisl, Fisac Cgil, Uilca Uil, Falcri e Dircredito (cui si è aggiunto all’ultimo il Sinfub, uno dei sindacati autonomi facenti parte di un secondo tavolo di trattative, e, separatamente, Silcea e Ugl Credito), nonché dei segretari delle confederazioni sindacali, che ne hanno pressoché unanimemente sottolineato il carattere innovativo e soprattutto l’equilibrio nel tener conto delle diverse domande delle parti. “è un contratto equilibrato, un’intesa che dà risposte soddisfacenti ai lavoratori e introduce qualità per la clientela”; “è un’intesa importante che soddisfa tutti. Abbiamo trovato i giusti punti d’incontro per un efficace equilibrio tra le esigenze di competitività delle imprese bancarie e quelle di salvaguardia del potere d’acquisto dei lavoratori”: sono ad esempio le valutazioni a caldo rispettivamente del segretario generale della Fisac Cgil e del presidente dell’Associazione bancaria italiana che si leggono sulla pagina dedicata da Il Sole-24 ore al tema all’indomani della firma del contratto. Uniche, rilevanti, eccezioni sono state le riserve della Fabi, primo sindacato del settore, che ha valutato insoddisfacente l’intesa e ha subordinato la sua adesione ai risultati di una consultazione tra i lavoratori, e l’irritazione del ministro del Welfare per la parte normativa riguardante gli istituti del mercato del lavoro. Su entrambi questi punti dovremo ritornare tra breve. Ma è indubbio che l’intesa si colloca nell’alveo di modelli di relazioni industriali e di gestione delle risorse umane volti alla costruzione del consenso, come emerge evidentissimo dalle innovazioni contrattuali sul terreno delle relazioni sindacali e della valorizzazione delle professionalità.
Quanto all’altro aspetto indicato – l’intesa come occasione di riflessione sulle prospettive delle relazioni industriali più in generale – ci sembra che il nuovo contratto fornisca diversi spunti per il dibattito sui temi della flexicurity e sull’alternativa tra modelli ‘alti’ o ‘bassi’ di sviluppo dell’economia e delle imprese, su cui si stanno da tempo esercitando osservatori e studiosi a livello europeo.
Diremo ora qualcosa su entrambi gli aspetti, entrando nel merito delle disposizioni del contratto.
2. L’intesa per il rinnovo del contratto nazionale, che interessa oltre 320.000 lavoratori delle banche, dopo aver definito l’ammontare degli incrementi retributivi nel rispetto dei principi del protocollo del 1993 sulla politica dei redditi, dedica indubbiamente non piccola parte a aspetti che riguardano la logica delle relazioni tra gli attori, da un lato, e la gestione e sviluppo delle risorse umane, dall’altro.
In relazione al primo aspetto, ricordiamo preliminarmente che il sindacato nel settore è articolato e diviso, come del resto avviene in molti dei comparti del terziario: non solo le organizzazioni presenti sono molte, ma soprattutto si sono presentate alle trattative su tavoli separati. In altre circostanze, la controparte datoriale avrebbe potuto cercare di trarne vantaggio, limitando all’essenziale il riconoscimento della rappresentanza del lavoro in generale, o facendosi gioco di intese separate. Non è però questo ciò che avviene: il riconoscimento del sindacato è ampio, e, a quanto si legge sulla citata pagina de Il Sole, si dà largo risalto positivo al fatto che il sindacato che non ha firmato è intenzionato a farlo se anche gli altri saranno disponibili a promuovere una consultazione unitaria dei lavoratori sui termini del contratto, come viene effettivamente deciso.
In tema di relazioni industriali, l’intesa, oltre ad aver confermato la tenuta dell’area contrattuale, vale a dire delle attività collegate al lavoro nelle banche cui si applica il contratto[2], ha modificato, migliorandole, tutte le norme relative agli istituti riguardanti i diritti di informazione e confronto e i diritti sindacali previsti dal contratto precedente.
È stata rivista la normativa che regola il sistema degli incontri (annuali e semestrali) di informazione obbligatoria al sindacato che ha lunga storia nel settore. Nel caso degli incontri annuali, si è previsto tra l’altro di dedicare particolare attenzione alla qualità e sviluppo delle risorse umane, con la possibilità di utilizzare indicatori condivisi di performance. Si è convenuto di rafforzare gli incontri semestrali, finalizzandoli anche alla verifica di eventuali accordi aziendali o di gruppo e ammettendovi eventuali coordinamenti sindacali di area o comparto territoriale, secondo una logica di valorizzazione delle tendenze al decentramento delle relazioni tra le parti. Ed è stata ampliata la tematica dei confronti e delle informazioni prevista a livello di gruppo.
Sono state in secondo luogo riviste le procedure contrattuali che riguardano ristrutturazioni e/o riorganizzazioni, trasferimenti d’azienda e occupazione, prolungando i termini dei confronti con i sindacati per l’esame delle ricadute sul terreno occupazionale.
Sono state inoltre migliorate le disposizioni sui distacchi del personale. E potenziata la norma che prevede la possibilità per ciascuna delle parti stipulanti di chiedere all’Abi incontri, con scadenze brevi e predefinite, al fine di esaminare e cercare di risolvere il più possibile all’origine controversie collettive aziendali che dipendano da problemi di interpretazione o lamentate violazioni di norme del contratto.
Ne viene in sintesi rafforzato un modello di relazioni altamente proceduralizzato, basato su un forte riconoscimento della funzione sindacale, sullo scambio regolare di comunicazioni e momenti di verifica, sia a livello centrale sia a livello decentrato, e sull’attivazione di meccanismi per cercare di ridurre anticipatamente le ragioni di contrasto e dissenso quando necessario.
Si può completare il punto menzionando un altro aspetto importante, che ricorre trasversalmente in relazione a più temi: quello dell’utilizzo ampio della logica delle commissioni paritetiche, come modo per precostituire spazi di monitoraggio, studio, verifica congiunti sulle innovazioni stabilite dal contratto, in un’ottica di sperimentazione controllata.
3. Quanto abbiamo fin qui osservato si inserisce nel solco di una lunga tradizione a cercare di dare norme certe di riferimento in un settore che per le sue funzioni richiede governance stabile e relativamente uniforme, e basata sul consenso delle parti, a iniziare da quella delle rappresentanze del lavoro[3]. Più innovative le disposizioni che segnalano una maggior attenzione verso i temi di gestione e sviluppo delle risorse umane e che forniscono degli indizi sul modello produttivo e di sviluppo del settore prefigurato dal contratto.
Da questo punto di vista occorre in primo luogo segnalare, come dato di contesto, che l’ipotesi di accordo era stata preceduta l’anno scorso da un Protocollo d’intesa sullo sviluppo sostenibile e socialmente compatibile, che aveva affrontato i temi della responsabilità sociale delle imprese e dei sistemi premianti, inserendovi obiettivi di qualità oltre che di quantità. Ed inoltre che solo nel contratto collettivo precedente, quello del 1999, era stato avviato il processo di superamento delle precedenti tradizionali distinzioni tra funzionari e quadri, che col tempo avevano creato alti steccati e molte rigidità nella progressione delle carriere, nello sviluppo delle professionalità e in un utilizzo più elastico del personale a elevata qualificazione.
La nuova ipotesi di accordo ritorna sulla materia e la sviluppa: eliminando da un lato le disparità di trattamento economico e normativo ancora esistenti nell’area dei quadri direttivi e migliorandone mediamente i livelli; aumentando inoltre significativamente le disposizioni in tema di formazione – d’ingresso, on the job, ricorrente – rivolta sia al personale dei livelli superiori sia alla nuova figura degli apprendisti (di cui diremo tra breve); introducendo, su istanza sindacale, la previsione che le aziende si rendano “disponibili, su richiesta del lavoratore interessato – dopo cinque anni dall’assunzione o dall’eventuale avanzamento di carriera – ad effettuare, nell’ambito di un apposito incontro, una valutazione di complesso dello sviluppo professionale e delle esperienze formative in esame”, come si legge nel commento all’accordo da parte del Responsabile dell’area sindacale e del lavoro dell’Abi. In particolare, in materia di formazione il contratto stabilisce un aumento del contributo aziendale a Enbicredito, l’ente bilaterale nazionale del settore che opera nel campo della formazione e riqualificazione professionale; e specifica i contenuti delle attività formative da predisporre per gli apprendisti, dando ampio spazio alle competenze di tipo trasversale accanto a quelle di tipo professionalizzanti.
D’altro lato, l’intesa prevede per i quadri direttivi una riduzione di alcune indennità nei casi di missione, un aumento dell’ampiezza dell’area geografica entro la quale non è richiesto il consenso degli interessati in caso di trasferimento, una maggior fungibilità di mansioni tra le figure professionali superiori, congiunta tuttavia a una stabilizzazione dei ruoli chiave (la relativa indennità di funzione viene attribuita dopo 12 mesi dall’assegnazione del ruolo).
In definitiva, l’accordo pone le basi per un utilizzo più flessibile e meno predeterminato a priori delle risorse umane in una prospettiva, significativamente sollecitata dai sindacati, di sviluppo e promozione delle carriere e di valorizzazione delle alte professionalità.
In relazione a questo obiettivo generale, di particolare interesse sono, ad avviso di chi scrive, le disposizioni in materia di mercato del lavoro, che specificano quali delle diverse forme di contratto previste dalla riforma del mercato del lavoro ci si impegna a utilizzare e quali indirettamente a escludere. Com’è noto, il punto è spinoso e ha provocato un intervento irritato del ministro del Welfare, che ha interpretato i modi in cui viene trattata la materia come un cedimento indebito alle pressioni sindacali. È indubbio che i sindacati attribuissero molta importanza al punto e cercassero di porre dei paletti a un utilizzo indiscriminato delle molte forme “precarie” di contratto. Ciò emerge nei commenti diffusi durante lo svolgimento della trattativa e dopo la sua conclusione. È d’altro lato anche indubbio che un interesse a non ricorrere, almeno per ora, a alcune forme d’impiego (lo staff leasing, i contratti a progetto) fosse condiviso dall’Associazione bancaria italiana, come si desume dalle risposte inviate al ministro, e proprio per le particolari caratteristiche del settore, la cui logica di sviluppo viene sempre più chiaramente affidata – diremmo noi – a meccanismi di sviluppo di mercati interni del lavoro, in cui combinare progressioni professionali e di carriera (sempre meno automatiche) e flessibilità funzionale e degli orari.
L’introduzione dell’apprendistato professionalizzante con quattro anni di durata e due livelli di sottoinquadramento, ma con garanzie di riconoscimenti successivi in caso di prosecuzione del rapporto a tempo indeterminato, è particolarmente significativa dal punto di vista del nuovo modello organizzativo-produttivo. Con tutte le precisazioni contenute nell’accordo relativamente alla quantità e alla qualità della formazione, almeno in via di principio esso permette infatti di ridefinire meglio, e in modi che valorizzino la professionalità, i percorsi di ingresso e carriera nelle organizzazioni.
Così come lo sono le misure volte a favorire l’utilizzo flessibile delle risorse interne: la già citata fungibilità tra mansioni dei quadri direttivi; una revisione del sistema dei turni, che, se da un lato pone limiti al lavoro notturno, dall’altro prevede la possibilità di una piena operatività anche domenicale della banca telefonica (call center e contact center); una migliore regolazione della banca delle ore, a tutela degli interessi di entrambe le parti.
Coerenti con l’ipotesi di un modello di regolazione organizzativa basato sulla valorizzazione del mercato interno del lavoro e sulle diverse forme di flessibilità interna – funzionale e temporale – sono anche le altre innovazioni normative. Viene dato nuovo ordine, anche da un punto di vista della stesura formale, alle disposizioni in materia di politiche sociali e di welfare aziendale. Viene rivisto e migliorato il trattamento di malattia, che viene esteso a tutta la categoria, superando vecchie differenze per inquadramento. Viene riconosciuto il rischio-rapina come fattore di valutazione ambientale proprio del settore. Viene introdotto un contributo di solidarietà generazionale per i lavoratori assunti dopo il 1994, con un incremento dell’1 per cento della quota aziendale nei fondi pensione.
Si aumenta dunque l’area delle uguaglianze e delle sicurezze interne, come prerequisito per una migliore fungibilità e utilizzo flessibile delle risorse. È la soluzione che viene associata nel dibattito internazionale sul futuro dell’impresa e del lavoro alla ricerca di una via alta alla flessibilità, come dicevamo, ispirata appunto a finalità di flexicurity, vale a dire di combinazioni virtuose di flessibilità e di sicurezza del lavoro, che sole possono permettere di perseguire obiettivi di qualità elevata della produzione e dei servizi.
Chi scrive è consapevole che questo può riuscire più facilmente in un settore specifico e delicato come quello del credito e si augura che in questo caso la direzione delineata dall’accordo possa effettivamente andare nel senso di combinare condizioni soddisfacenti per i lavoratori e qualità per la clientela (come sottolineato dal commento sindacale citato in apertura).
È molto più difficile che l’intento possa analogamente verificarsi in altri settori. Ma questa è la sfida, da perseguire, tenendo conto naturalmente delle specificità di ciascuno.
[1] Ci sia consentito di rimandare al nostro studio Al posto del conflitto. Le relazioni di lavoro nel terziario, edito dal Mulino nell’ormai lontano 1990.
[2] Si può aggiungere in proposito che l’Abi si è anzi impegnata a a intervenire sulle aziende associate che operano nel campo della Riscossione dei tributi affinché procedano in tempi rapidi a adottare soluzioni economiche e normative corrispondenti a quelle definite per l’area del credito.
[3] Oltre al già citato studio di chi scrive, si rimanda anche a uno studio comparativo internazionale sulle relazioni di lavoro nel settore: Regini, M., Kitay, J. e Baethge, M, (1999, a cura di), From Tellers to Sellers: Changing Employment Relations in the Banking Industry, Cambridge (Mass.): Mit Press.