di Paolo Pirani – segretario confederale Uil
E’ con l’accordo del 23 luglio del ’93 che il sistema contrattuale assume la forma attuale, viene cioè concentrato su due livelli, quello nazionale e quello aziendale. Il Protocollo ha specificamente e strutturalmente sancito l’esistenza di un doppio livello di contrattazione: il primo di categoria (nazionale), il secondo, aziendale o territoriale a seconda della prassi esistente nei diversi settori, ciascuno caratterizzato da dimensioni aziendali tipiche, da proprie regole e da tematiche specifiche.
Nel contratto nazionale la dinamica salariale dovrà essere coerente con i tassi di inflazione programmata e quindi tenere conto delle politiche concordate nelle sessioni triangolari, della salvaguardia del potere di acquisto, delle tendenze generali dell’economia e del mercato del lavoro e degli andamenti specifici del settore. Per quel che riguarda il livello decentrato, ad esso il Protocollo affida “materie ed istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi propri del CCNL” e, in particolare, l’erogazione di aumenti retributivi collegati “ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati tra le Parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità ed altri elementi di competitività di cui le imprese dispongano, compresi i margini di produttività, che potrà essere impegnata per accordi tra le Parti, eccedente quella eventualmente impegnata per riconoscere gli aumenti retributivi a livello di CCNL, nonché ai risultati legati all’andamento economico dell’impresa”.
L’accordo di luglio del 93, pensato in anni in cui l’inflazione viaggiava a livelli altissimi, ha raggiunto l’obiettivo per cui era stato creato. L’inflazione programmata ha consentito di portare a convergenza l’inflazione italiana con quella degli altri Paesi dell’Unione Europea. La sua azione si è, peraltro, esaurita con il trasferimento dell’autorità monetaria alla Banca Centrale Europea. L’attuale sistema contrattuale, legato all’inflazione programmata per la contrattazione nazionale ed alla produttività o redditività per quella decentrata, ha quindi esaurito le sue funzioni.
La contrattazione decentrata non si è ampliata, la produttività realizzata a livello aziendale o territoriale è stata, quasi integralmente, trattenuta dal sistema delle imprese anche negli anni più favorevoli e non è stata distribuita ai lavoratori, la quota dei salari sul reddito totale sta subendo una forte erosione a tutto vantaggio dei profitti, delle rendite e dei consumi opulenti, con evidenti riflessi negativi sulla stessa struttura del sistema produttivo. Questi fattori critici, sono stati aggravati dai comportamenti del Governo che negli anni più recenti ha fissato tassi d’inflazione programmata sistematicamente inferiori a quella effettiva, non consentendo così di recuperare tempestivamente la dinamica dei prezzi al consumo, e che – come controparte contrattuale – ha ritardato i rinnovi contrattuali di sua competenza, con il risultato di determinare un rallentamento generalizzato della dinamica delle retribuzioni lorde ed una perdita del potere d’acquisto nei settori privati.
Lo scenario economico in questo decennio è profondamente mutato, una strategia di ricerca della competitività basata in via primaria sul contenimento dei costi salariali non è più in grado di sostenere adeguati livelli di crescita economica e della produttività. Per l’Italia, come del resto per l’intera Europa, solo il continuo sviluppo di innovazioni di processo e di prodotto costituisce il requisito imprescindibile per mantenere una condizione di vantaggio competitivo, le attività sempre più esposte alla concorrenza internazionale.
Occorre un nuovo accordo che, partendo, dalla situazione determinata dall’adesione all’euro, punti a favorire la crescita della produttività e l’aumento delle retribuzioni. Nell’Europa dell’euro e dell’allargamento, le politiche contrattuali sempre più influenzano e sono influenzate dall’insieme delle politiche economiche e sociali decise sia a livello nazionale che europeo; lo testimonia l’attenzione con cui la Commissione Europea e la Banca Centrale seguono e monitorizzano l’andamento delle negoziazioni salariali nei Paesi europei e nei Paesi concorrenti.
L’attuale Governo sbaglia quando punta a determinare la fine del metodo concertativo. A distanza di oltre dieci anni, il metodo della concertazione va rilanciato con forza, rifinalizzandone gli obiettivi da perseguire rispetto al mutato contesto economico, ampliandone le sedi in cui esso può trovare applicazione, per rilanciare gli investimenti per la ricerca, l’innovazione e la formazione, aumentare le dotazioni di infrastrutture, favorire la crescita delle retribuzioni e dei consumi. In questo rinnovato contesto vanno – specificamente – concertate le politiche fiscali e contributive ed i sistemi di welfare.
Gli assetti contrattuali vanno riformati. Per quanto riguarda la contrattazione nazionale, va semplificato e ridotto il numero dei contratti, sia accorpando ed unificando i trattamenti di contratti diversi aventi le stesse caratteristiche produttive, sia spostando alcuni settori da un contratto all’altro per rendere più omogenea la composizione e ridurre la frammentazione dei cicli produttivi. Va eliminato il riferimento all’inflazione programmata, stabilendo come linea di orientamento che la dinamica degli incrementi contrattuali nazionali non deve superare nel lungo termine l’inflazione effettiva. Il contratto nazionale va semplificato, unificando la durata della parte economica e normativa, e riducendone la durata temporale per rendere le previsioni di inflazione più vicine alla realtà.
Al contratto nazionale va affidato il compito di definire le linee guida, le clausole di rinvio per i singoli istituti e di garanzia per la contrattazione di secondo livello, sia aziendale che territoriale. L’elemento principale della riforma riguarda l’estensione della contrattazione decentrata, e la sua finalizzazione allo sviluppo della professionalità e dei sistemi di partecipazione, all’incremento dell’innovazione e della produttività. Per le aziende che non negoziano il contratto territoriale o aziendale va previsto, a titolo di produttività, un incremento variabile annuale della retribuzione contrattuale coerente con l’andamento della produttività globale media nazionale.
Semplificazione degli assetti della contrattazione, garanzia di politiche contrattuali non inflazionistiche, estensione della tutela negoziale alla generalità dei lavoratori: sono queste le linee guida per un nuovo assetto della contrattazione.