di Roberto Benaglia – Segretario Generale Fim-Cisl Lombardia
Nei giorni scorsi un importante quotidiano nazionale ha dato ampio rilievo ai risultati delle votazioni per il rinnovo della RSU nella fabbrica siderurgica Dalmine, nelle quali per la prima volta la Fiom Cgil ha superato la Fim Cisl. Si sa, per i giornali i fatti diventano notizie solo se si colorano di alcuni aspetti particolari: in questo caso la grande fabbrica siderurgica, i metalmeccanici che devono sempre fare la parte dei duri, la Bergamo bianca di Pezzotta vinta, sono le immagini (un po’ stereotipate e di parte) che hanno contribuito a creare la notizia. Se guardiamo a casi analoghi, la stampa non va mai più in là delle solite Mirafiori (dove peraltro l’ultima volta la Fim è risultata prima alle Carrozzerie), Alfa Romeo, Italsider e poco altro.
A 10 anni dalla nascita delle RSU sulle ceneri dei consigli di fabbrica, questo fatto dovrebbe farci interrogare per quale ragione manchi ancora, per i settori industriali e manifatturieri, una analisi più estesa e compiuta su come i lavoratori votano i loro sindacati in fabbrica. Ciò non accade nei settori pubblici. I rinnovi delle RSU nel pubblico impiego, nella scuola, addirittura nelle poste, avvengono ogni 3 anni contemporaneamente all’interno del settore e su tutto il territorio nazionale. Questo fatto permette di avere dati generali, validi anche per sancire la rappresentatività dei vari sindacati ai tavoli di trattativa e la titolarità a siglare gli accordi contrattuali (oltre che per distribuire le agibilità ed i permessi sindacali). Gli esiti di queste votazioni sono giustamente, data la loro importanza e completezza, ripresi anche dai mezzi di informazione. Essi soprattutto permettono a tutti gli attori ed interlocutori di avere un quadro completo e preciso circa la rappresentanza sindacale.
Nell’industria si continua a procedere invece in modo sparso, meno visibile ma non meno impegnativo. L’introduzione delle RSU ha certamente rivitalizzato il sindacato di fabbrica e la sua legittimazione. Con le RSU è finita la stagione dei grandi consigli di fabbrica, spesso inamovibili e mai messi in verifica per lunghi anni. Le regole delle RSU non sono semplici, ma va osservato che attorno alla loro applicazione esiste un basso tasso di contestazione e di ricorsi (nonostante l’attuale alta concorrenza tra sindacati) e, soprattutto, permettono un buon tasso di rinnovamento delle rappresentanze.
Eppure in Italia nessuno sa dire con certezza nell’industria quante aziende hanno una RSU e quale è il grado di consenso che i vari sindacati raccolgono tramite le elezioni dei rispettivi delegati. E’ una mancanza che credo vada rapidamente colmata. La Fim Cisl Lombardia ha costituito un proprio osservatorio nel quale registra tutti i rinnovi che avvengono nel settore metalmeccanico regionale e li mette a confronto con i dati dei rinnovi precedenti, per coglierne le tendenze. Nelle prossime settimane sarà pronto il rapporto sul 2003 e verrà pubblicato. Ma non possono essere uno o più sindacati a certificare sé stessi. Occorre pensare a un soggetto terzo (commissioni di garanzia provinciali? uffici provinciali del lavoro?) che possa raccogliere i verbali elettorali, elaborarli e darne un quadro esauriente.
Ma quali sono le tendenze che emergono nei rinnovi appena svolti?
1. Soprattutto nell’industria il sindacalismo confederale gode di ampio consenso e forte capacità di rappresentanza (oltre il 90% dei voti). L’insidia di Cobas e autonomi appartiene, non a caso, al mondo del lavoro che gode ancora di protezioni e nicchie o dove le relazioni industriali sono improduttive: cioè non all’industria.
2. La capacità di dare una RSU ad ogni azienda si infrange contro la frammentazione eccessiva che l’apparato produttivo ha raggiunto. In molte piccole aziende, dove il sindacato è presente, fa assemblee e ha iscritti, a volte non si riesce ad eleggere la RSU. L’alta mobilità che caratterizza il mondo del lavoro manifatturiero nel Nord Italia rende a volte instabili le stesse RSU, che in soli 3 anni devono cambiare eccessivamente i loro componenti. Occorrerà pensare a correttivi.
3. Nel settore metalmeccanico non stiamo assistendo, nonostante i 3 anni trascorsi di forte spaccatura e caratterizzazione dei singoli sindacati, ad enormi spostamenti del consenso dei lavoratori. Chi, come la Fiom, ha investito sullo scontro e sul populismo resta oggi a bocca asciutta. In azienda non sono solo le sigle ma le persone a catalizzare il consenso. Vi è tuttavia nella radicalizzazione avvenuta un calo dei Cobas e della Uilm, che cedono spesso consenso alla Fiom e alla Fim.
Certamente i dati stanno certificando che tra i metalmeccanici la Fiom gode di un consenso ben più ampio di Fim e Uilm (in Lombardia è stato fino ad oggi sopra il 50% del sindacalismo confederale) ed in misura molto superiore a quello che le altre organizzazioni della Cgil vantano nei confronti delle analoghe sigle di Cisl e Uil. Ma forse è proprio per questo che attorno ai rinnovi del contratto dei metalmeccanici si sono concentrate profonde spaccature e lacerazioni.
La misurazione del consenso derivante dai rinnovi delle RSU potrebbe in definitiva diventare, una volta certificato, uno strumento per contribuire a dirimere gli eventuali dissensi sulle conclusioni contrattuali, che in futuro si potrebbero riproporre, e a legittimare la validità dei contratti. Ciò accade già in altri paesi europei come la Francia o la Spagna (dove, non a caso, le elezioni delle rappresentanze aziendali avvengono in tutto il paese in un unico momento come le elezioni politiche). Si supererebbe in questo modo anche l’eccessivo caos che gli organi di stampa oggi contribuiscono a creare amplificando, come nel caso degli autoferrotranvieri, la rappresentanza dei sindacati di base. Non è convocare i “ribelli”, come si ripromette di fare il ministro del Lavoro, il passo per uscire dalla confusione.

























