Aris Accornero – Ordinario di Sociologia Industriale nell’Università
Non è poi tanto facile liquidare l’ultimo referendum sull’art. 18: un po’ come quello del 2000, a cui era mancato il quorum per non molti voti. Nonostante questa volta al quorum siano mancati ben tre quarti dei voti – anzi, proprio per questo – è stupefacente che oltre dieci milioni di elettori, quattrocentomila in più di tre anni fa, abbiano nuovamente espresso un pronunciamento in difesa dello Statuto dei lavoratori.
L’altra volta l’iniziativa del referendum era stata dei radicali e aveva avuto l’appoggio della Confindustria: si trattava di abrogare l’art 18. I partiti si erano divisi fra centro-sinistra contro e centro-destra a favore. I tre grandi sindacati si erano espressi decisamente per il no, e quasi dieci milioni di elettori li avevano seguiti. Durante lo scontro del 2002 con il governo Berlusconi sull’art. 18, quel voto era stato un buon argomento per i sindacati, anche se il referendum non era risultato valido.
Questa volta l’iniziativa era stata assunta nel 2002 da Rifondazione comunista con l’appoggio della Fiom, e il referendum era volto ad abrogare la soglia che esclude dal diritto alla reintegra i lavoratori delle aziende con meno di 16 dipendenti: una soglia che oggi copre una platea ben inferiore rispetto al 1970, quando venne approvato lo Statuto. Infatti i notevoli cambiamenti della struttura produttiva hanno fatto salire il numero e scendere la dimensione delle piccole imprese più che negli altri paesi industriali, per cui nella sola industria oltre un milione di lavoratori hanno perso la “tutela reale”.
L’iniziativa è stata avversata dalle organizzazioni degli imprenditori, dal centro-destra e da una parte maggioritaria del centro-sinistra. I sindacati stessi si sono divisi e soltanto la Cgil ha dato l’indicazione di votare sì. Orbene, i voti sono addirittura aumentati. Ciò pone interrogativi anche a Cisl e Uil, se si considera – com’è quanto meno lecito notare – che nel 2000 i no corrispondevano in quantità agli iscritti ai tre sindacati. Gli studiosi del comportamento elettorale potranno studiare i risultati e dare risposte meno semplicistiche.
Ma quei dieci e più milioni devono fare riflettere. Uno può fare spallucce e dire che la saggezza ha vinto, nel senso che il grosso degli elettori ha dato retta al pressoché unanime consiglio di non votare, anzi di non andare a votare. (Un consiglio che illustri costituzionalisti reputano dissennato, e che alcuni politologi temono si ritorcerà sui promotori di futuri referendum.) Ma per chi conosce il mondo del lavoro la notizia vera non è questa. Anzi, è proprio lo scontatissimo insuccesso del referendum che sottolinea come in difesa dell’art. 18 – giusti o sbagliati che siano il fine proposto e il mezzo adottato – ci sia una quota di elettori non trascurabile da nessuno. Il tempestivo commento di Paolo Franchi sul Corriere della sera di oggi evoca la definizione di “zoccolo duro” adottata a sinistra su conio di Achille Occhetto. In televisione qualcuno ha parlato addirittura di “irriducibili”, come se si trattasse di terroristi. In ogni modo, teniamone conto: come minimo dobbiamo notare che sono tanti, e sono tenaci.