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Home - Approfondimenti - Analisi - Le linee di un nuovo modello contrattuale

Le linee di un nuovo modello contrattuale

9 Giugno 2003
in Analisi

Stefano Ruvolo – Femca Cisl Nazionale


Il congresso costitutivo della Femca del 2001 indicò chiaramente come l’obiettivo della partecipazione sia uno dei terreni prioritari della federazione. Partecipazione è per la Femca un insieme di valori e di azioni sindacali e contrattuali che spaziano dai diritti di informazione e di consultazione all’azionariato dei dipendenti, dalla remunerazione legata ai risultati d’impresa alla presenza degli organi societari, dalla gestione dei processi formativi alla promozione e gestione della previdenza integrativa, ai vari livelli, da quello nazionale  a quello europeo.

 


Non sono sicuramente terreni nuovi, ma ancora solo parzialmente praticati e non interamente e concretamente attuati, sia a livello categoriale che confederale. Le vicende sindacali dell’ ultimo anno ed i rapporti fra tra le confederazioni hanno rallentato l’attuazione di questi obiettivi perseguendo logiche più rivendicative che di concertazione e di dialogo sociale e interrompendo un processo che stava sviluppandosi.


 


Anche la Femca dovrà impegnarsi a percorrere con più determinazione la strada della partecipazione per far fronte ai mutamenti nell’economia, nell’impresa e soprattutto nel lavoro, durante i rinnovi contrattuali e negli accordi nazionali e aziendali.


 


I mutamenti del lavoro


 


E’ noto come il mercato del lavoro sia stato investito in questi ultimi anni da trasformazioni profonde, che ad esempio, hanno reso più sfumate le linee di demarcazione tra lavoro autonomo e lavoro dipendente. L’impatto dei processi di flessibilizzazione e lo sviluppo del lavoro individuale hanno contribuito al progressivo smantellamento della cognizione tradizionale del lavoro, insieme al diffondersi  da parte aziendale, di logiche organizzative volte a sostenere le sfide di competitività.


 


In sintesi, si stanno ridisegnando le forme del lavoro e avviene una vera e propria mutazione genetica dei capisaldi che hanno da sempre regolato il funzionamento del lavoro dipendente ed i contenuti che ne erano alla base. Ad esempio  la crescita professionale del lavoratore non è più legata esclusivamente all’anzianità del rapporto di lavoro ma tende invece a premiare in misura crescente il bagaglio di competenze di cui ciascun lavoratore è portatore, prima e durante il rapporto di lavoro, ed  è quindi più difficilmente riconducibile a rigidi schemi di inquadramento professionale  (settori, livelli). L’aggiornamento professionale riveste un ruolo determinante anche per i lavoratori dipendenti di più bassa professionalità. Ma anche il contenuto del lavoro è diverso, la stragrande maggioranza dei nostri lavoratori svolge lavori che richiedono frequentemente svolgimento di incarichi complessi e non standardizzabili, non riconducibili ad un solo livello di inquadramento contrattuale.


 


Anche rispetto agli orari di lavoro, cresce la necessità di una maggiore autonomia nell’organizzare tempi, luoghi, spazi e contenuti del lavoro. Cresce la quota di lavoro che può contare su formule più flessibili di inizio e di termine. Formule, queste, che rispondono a logiche di contrattazione (flessibilità orario, conto ore annuo, part-time), ma anche formule personalizzate che indicano assenze di vincoli di orario nella prestazione lavorativa.


 


Inizia a cadere, anche se molto lentamente, l’idea che il lavoro debba essere svolto in un luogo fisso. Secondo alcune proiezioni in Italia, entro il 2005, 7 lavoratori su 100 attueranno il telelavoro e in Europa le attese di crescita dovrebbero portare al 10% nello stesso anno. 


 


Anche la retribuzione sta avendo una profonda trasformazione. Circa il 4% dei lavoratori dipendenti italiani nel 2000 ha avuto una integrazione retributiva (in particolare, partecipazione agli utili dell’azienda) di tipo individuale. Così come il salario determinato in sede decentrata (contrattazione di 2°livello) ha un peso crescente rispetto alla retribuzione contrattuale nazionale. Aspetto, questo, che testimonia un orientamento sempre più spinto a garantire soluzioni di salario variabile sulla base di determinanti territoriali e aziendali. Ovviamente, sono solo tendenze in atto, ma stanno incidendo nel mercato del lavoro in maniera sempre più evidente.


 


Mercato e mercati del lavoro


 


Il lavoro espresso dall’economia e dalla società italiana non è omogeneo, ma un insieme di modelli lavorativi a più dimensioni: tendono a sfumare le distinzioni fra occupazione e disoccupazione, fra lavoro e doppio lavoro, fra impiego stabile e precario, fra lavoro dipendente e indipendente, fra occupazione regolare e sommersa. E’ quindi difficile adottare una sola chiave di lettura per definire cosa è regolare e cosa non lo è, e la realtà si presenta sempre molto più sfumata, tanto da configurare situazioni di estrema variabilità. Anche l’economia sommersa non può essere analizzata all’interno dei soliti luoghi comuni, il Mezzogiorno, l’agricoltura, l’edilizia, le piccole imprese, pezzi di società e mercati del lavoro arretrati.


 


I contratti di lavoro interinale, quelli di collaborazione coordinata e continuativa, quelli di collaborazione nazionale, quelli di associazione in partecipazione sono forme contrattuali che tentano di rispondere alla realtà dei nuovi problemi.


 


Linee di riforma degli assetti contrattuali


 


Nei comparti industriali e artigianali organizzati dalla Femca è possibile rintracciare l’insieme dei problemi contrattuali, sindacali e organizzativi che abbiamo ricordato. La categoria organizza lavoratrici e lavoratori che vanno dalle piccole imprese decentrate a quelle grandi; da quelle a basso valore aggiunto a quelle dell’energia e multinazionali.


 


La revisione del sistema contrattuale non può che tenere conto di tutti quanti i fenomeni strutturali e di tendenza, deve mirare ad aggiornamenti del modello contrattuale vigente che possono permettere la sindacalizzazione, l’ampliamento e la generalizzazione della partecipazione dei lavoratori alle scelte dell’impresa e alla ripartizione dei risultati. 


Il Ccnl resta, e dovrà mantenere la sua funzione di normativa generale oltre che tutela del potere d’acquisto dei salari. Questo deve portare ad una maggiore semplificazione contrattuale e normativa e ad un meccanismo del rinnovo fondato su una durata inferiore (3 anni), mantenendo inalterato il recupero del differenziale tra inflazione programmata reale del triennio pregresso. Semplificazione contrattuale significa, riduzione dell’attuale numero dei Ccnl, tendendo all’accorpamento per settori omogenei o simili, ma anche semplificazione delle norme contrattuali e rimando ad accordi specifici sia a livello europeo che a livello nazionale che aziendale.


 


Il livello europeo dovrà essere il luogo dove intensificare l’attività contrattuale e non solo come luogo dove vengono emanate e poi recepite le direttive comunitarie. Ambiente, diritto di consultazione, sicurezza del lavoro, clausola sociale devono essere materia e oggetto di accordi sindacali – anche di tipo volontario – che valgano per tutti i Paesi, tutte le organizzazioni sindacali e tutti i lavoratori coinvolti.  Su tali materie le normative nazionali, in alcuni casi, non fanno altro che determinare dumping sociali (ma anche di costo) fra i Paesi, con notevoli differenze fra le condizioni normative dei lavoratori. Incamminarsi verso accordi sindacali comuni significa rendere omogenee le condizioni di lavoro fra lavoratori e lavoratrici che sempre di più sono soggetti a mobilità nell’area comunitaria. Si richiamano a questo proposito gli accordi sulla clausola sociale area Moda e Responsable Care nell’area chimica.


 


Maggiore impegno dovrà essere rivolto ad allargare e sviluppare la contrattazione di 2°livello. Qui bisogna combattere un approccio ideologico da parte delle associazioni imprenditoriali e di Confindustria in particolare, volto a tenere lontano i sindacati dalla contrattazione aziendale. Da una recente indagine effettuata dal Censis risulta che la stragrande maggioranza dei manager aziendali e degli imprenditori considera il livello aziendale come il luogo prioritario dove effettuare la redistribuzione del reddito e l’utilizzo di quote di produttività aziendale. Và reso quindi maggiormente conveniente l’utilizzo di tale strumento. In questo ambito va ulteriormente verificata la possibilità di defiscalizzare il salario contrattato a livello aziendale ed in particolare quel salario ancorato ai risultati dell’impresa. Il livello aziendale dovrà sempre più caratterizzarsi per le funzioni di negoziazione delle tutele, in particolare rispetto ai percorsi di carriera professionale dei lavoratori ed ai nuovi rapporti di lavoro, e di partecipazione alle scelte aziendali, agli obiettivi e ai risultati economici. Il livello territoriale – in particolare nei distretti – deve essere destinato al rafforzamento delle forme di bilateralità e di politica industriale (osservatori, enti bilaterali, ecc.). Per le situazioni di maggiore polverizzazione produttiva, ad esempio l’artigianato e le  aree del sommerso, si dovranno determinare tipi di contrattazione anche salariali per le aziende coinvolte organizzate e per i territori, con accordi anche regionali sia di riallineamento che di estensione e copertura contrattuale.


 


Resta essenziale – in ogni caso – la determinazione dei minimi nazionali, senza i quali si andrebbe incontro a vere e proprie gabbie salariali.


 

redazione

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