Donata Gottardi – Professore straordinario di Diritto del Lavoro all’Università di Verona
(vedi in Documentazione il testo del contratto)
I soggetti firmatari
L’ipotesi di accordo del 7 maggio 2003 contiene limitate modificazioni rispetto al testo del 1999 di cui costituisce rinnovo sia per la parte economica sia per la parte normativa. La novità più significativa riguarda, pertanto, più che i suoi contenuti l’impatto sull’evoluzione del sistema contrattuale nel nostro Paese, dato che è il primo contratto collettivo nazionale di durata quadriennale a non essere stato sottoscritto congiuntamente dalle tre principali confederazioni sindacali dei lavoratori.
La mancata sottoscrizione da parte di una sigla sindacale non è una novità nel nostro sistema di relazioni sindacali. E’ già avvenuto a livello di vertice, nel lontano 1984, in occasione del Patto triangolare di San Valentino; a livello di predisposizione di Avviso comune, per quanto riguarda la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato; a livello di contrattazione aziendale, in numerose realtà medie e grandi. Ed è già avvenuto anche nel rinnovo biennale precedente proprio per la categoria dei metalmeccanici. Ma è la prima volta che accade nel rinnovo di un contratto di categoria. Non solo. La mancata firma da parte della Fiom-Cgil non è frutto di un inatteso andamento della trattativa, di una decisione assunta al momento della sua conclusione; è una scelta che parte dall’origine del negoziato con la presentazione di piattaforme separate. Ed è forse per questo che l’intesa è arrivata velocemente, preferendo un rinvio sulle questioni più significative.
L’accordo è, quindi, un documento privo di storia e semplice da raccontare se ci si ferma al merito, ma complicato da analizzare se lo si inquadra nel sistema di relazioni sindacali. Ci troviamo di fronte ad una fattispecie che non si era mai presentata. Infatti, nella successione nel tempo di due contratti di livello nazionale non era ancora successo che l’area dei soggetti sindacali sottoscrittori non coincidesse.
Spesso avviene di conoscere cause e disfunzioni di un sistema di relazioni industriali non regolato come il nostro, ma di accontentarsi di guardare l’esistente che tranquillizza. Solo quando si realizza lo strappo, ci si rende conto di quanto ‘normale’ possa essere l’’impensabile’ e di quanto sottovalutate siano state finora le conseguenze.
Per il momento non mi sembra si profilino problemi applicativi insuperabili. Proviamo a distinguere a seconda che ci si rivolga ai lavoratori (cosiddetta ‘parte normativa’ del contratto) oppure alle organizzazioni sindacali stipulanti (cosiddetta ‘parte obbligatoria’).
a) La parte normativa
Il contratto dei metalmeccanici sottoscritto solo dalle categorie di Cisl e Uil sembra più un rinnovo (biennale) per la parte economica che un rinnovo dedicato anche alla parte normativa, come cercherò di dimostrare nei paragrafi che seguono. Non sembri questa affermazione eccessiva, benché larga parte dello scontro endosindacale sia incardinato proprio sulla sufficienza o meno dell’incremento retributivo ottenuto. E solo in parte dipende dalla sfasatura con i tempi della riforma legislativa del mercato del lavoro che si sta solo ora profilando, con il Governo alla prese con l’esercizio delle deleghe contenute nella legge n. 30 del febbraio di quest’anno.
Se è vero che la quantità, cioè gli aumenti retributivi concordati, viene contestata dalla Cgil ed è a principale motivo della negata firma, è anche vero che per i lavoratori non saranno molti, almeno immediatamente, i cambiamenti.
Per la parte normativa, il testo è quasi il medesimo del quadriennio trascorso, con qualche miglioramento sulla formazione, con un rinvio alla riforma dell’inquadramento professionale, secondo uno schema classico della contrattazione collettiva che prevede di utilizzare il quadriennio di validità del contratto per predisporre la revisione, e con altri rinvii sulle tipologie contrattuali, in attesa, come sopra ricordato, dell’esercizio delle deleghe da parte dell’esecutivo.
Per la parte economica, l’incremento potrà essere considerato modesto, ma è pur sempre un miglioramento rispetto al trattamento finora percepito. E’ per questo che concordo con quanti ritengono che integrerebbe gli estremi del comportamento discriminatorio quello di un datore di lavoro che decidesse di non applicare il rinnovo agli iscritti alla Cgil; è per questo che credo che difficilmente un giudice potrà decidere che gli aumenti retributivi siano insufficienti.
b) La parte obbligatoria
La questione più spinosa avrebbe potuto riguardare la cosiddetta parte obbligatoria del contratto collettivo, cioè per quella che riguarda diritti e obblighi direttamente in capo alle parti collettive firmatarie.
Per la dottrina, infatti, il contratto collettivo è composto di due parti: quella normativa, al cui interno sta anche quella economica, destinata a prefigurare i contenuti dei singoli contratti individuali e che, quindi, riguarda, datori di lavoro e lavoratori; quella obbligatoria, che contiene le regole per le parti collettive firmatarie.
In altri tempi, qualche decennio fa, l’attenzione ai soggetti stipulanti era alta e veniva messa in evidenza dalla serie di pagine iniziali dedicate ai soggetti sottoscrittori e alle loro varie aggregazioni. Per ogni pagina di firme, si aveva la medesima composizione della delegazione trattante per i datori di lavoro e l’indicazione delle delegazioni trattanti per i lavoratori (due o più a seconda dei settori), iniziando da quella che vedeva unite le categorie di Cgil, Cisl e Uil. E all’interno del testo contrattuale si vincolava, normalmente, la parte obbligatoria del contratto ai soggetti che congiuntamente l’avevano sottoscritto. Poi il clima sindacale è cambiato, anche tra le tre principali confederazioni sindacali e le altre.
Tornerà a diventare importante la verifica dei soggetti sottoscrittori? Se si decidesse di attuarla in questo momento per il contratto dei metalmeccanici, la Fiom-Cgil rischierebbe di essere coinvolta e di avvitarsi in un pericolosissimo circuito di emarginazione.
Solo i soggetti firmatari è previsto entrino a far parte delle commissioni, degli osservatori, degli enti bilaterali, cioè dei vari organismi e strutture previsti dal contratto. E se si concorda sul fatto che il testo assegna a questi soggetti numerose competenze, tra cui quelle della modificazione dinamica della regolamentazione stessa, ci si può interrogare sulla circolarità degli effetti derivanti dalla mancata sottoscrizione del rinnovo.
Provvede a sdrammatizzare la questione la Dichiarazione delle parti stipulanti con cui si apre l’accordo e in cui si conviene “che di tutti i diritti e istituti previsti nella Disciplina generale, sezioni prima e seconda, nonché di ogni ulteriore diritto che il presente contratto attribuisce ad esse parti saranno destinatari altresì i sindacati stipulanti in data 2 febbraio 1994 l’Accordo per la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie”. Una formula indiretta che consente alla federazione di categoria della Cgil di entrare a far parte dei soggetti della parte obbligatoria del contratto e che tranquillizza circa la volontà di proseguimento del sistema di relazioni sindacali finora in atto; ma che solleva qualche perplessità sulla sua efficacia.
E’ vero che l’ordinamento intersindacale può autodeterminarsi e che, quindi, le regole scritte nel contratto esplicano efficacia regolativa anche nei rapporti tra organizzazioni sindacali. E’ innegabile, però, che una disposizione scritta da soggetti collettivi diversi da quello nei cui confronti esplica effetti, per quanto basata su una ratio inclusiva e non esclusiva, sembra più un escamotage per rinviare il problema che un meccanismo in grado di risolverlo. E’ difficile pensare che sarà possibile la gestione dinamica del contratto anche da parte del soggetto che non ne riconosce validità. Almeno per il momento e almeno formalmente, però, i rapporti endosindacali sono salvi e la bilateralità delle relazioni collettive aperta.
I contenuti: la parte relativa alla formazione
Il principale risultato negoziato – l’unico che meriti un commento – riguarda la formazione, tema al quale è stato dedicato ampio spazio, come del resto era avvenuto nel protocollo d’intesa precedente.
La prima disposizione in materia è collocata in apertura del documento e qualifica la formazione come “strumento fondamentale per l’auspicata valorizzazione professionale delle risorse umane e per l’indispensabile incremento della competitività internazionale delle imprese”, ma anche fattore che consente di fronteggiare cambiamenti quali quelli derivanti dall’introduzione di nuove tecnologie e di nuove forme organizzative (art. 4, sezione prima, disciplina generale).
Nell’accordo di rinnovo si conferma la struttura delle Commissioni, da quella nazionale a quelle territoriali a quelle aziendali (queste ultime costituivano una novità nel rinnovo del 1999).
Una delle modificazioni intervenute riguarda il coordinamento con due neoistituiti organismi: l’Ente bilaterale nazionale e Fondimpresa, “per la progettazione e realizzazione di tutte le attività formative utili per il settore”.
E’ significativo, inoltre, l’inserimento di un compito aggiuntivo tra quelli affidati alla Commissione nazionale: quello di “individuare modalità e strumenti diretti ad agevolare l’accesso dei lavoratori a tempo determinato ad opportunità di formazione adeguata, per aumentarne la qualificazione al fine di un ottimale impiego professionale”. Capita purtroppo spesso che i lavoratori a tempo determinato siano penalizzati nell’accesso ai diritti riconosciuti ai lavoratori stabili. E il diniego del diritto a occasioni di formazione è spesso lamentato da questi lavoratori, soprattutto quando la durata del contratto non risulti affatto breve (anche per effetto delle nuove regole legislative non è affatto raro imbattersi in contratti della durata di tre o più anni). Piuttosto è da segnalare che all’importante affermazione di principio non è detto seguirà conseguente applicazione ed è significativo osservare che un’attenzione particolare ai lavoratori a termine non viene espressamente dedicata in punto di accesso al diritto allo studio, che vedremo di seguito..
Anche il compito aggiuntivo affidato alle Commissioni territoriali è specchio di mutamenti legislativi e sociali nel frattempo intervenuti. Si spiega così agevolmente come, di seguito alla promozione della formazione rivolta alle donne in conformità al principio di uguaglianza sostanziale e a quella rivolta, in particolare, alle lavoratrici al rientro dalla maternità, sia prevista la promozione della formazione sia delle lavoratrici sia dei lavoratori al rientro dai congedi per eventi e cause particolari. Piuttosto è da segnalare quella che può essere considerata una imprecisione forse solo terminologica, dovuta al richiamo ad una unica tipologia di congedi fruibili da entrambi i sessi, dimenticando la serie divenuta ormai significativa di tutti gli altri.
Che questi temi richiedano competenze trasversali ma anche una specifica conoscenza delle tematiche afferenti alle politiche di pari opportunità tra i generi, lo dimostra l’inserimento tra le competenze della omologa articolazione delle Commissioni a queste dedicate di un richiamo alle iniziative di azioni positive di flessibilità d’orario, di cui all’articolo 9 della legge n. 53 del 2000. Il titolo dell’articolo trae in inganno, riguardando solo una delle possibili forme di flessibilità a favore delle persone che lavorano. Chi conosce questa disposizione sa che in una delle sue sottoarticolazioni prevede il finanziamento di progetti per la formazione al rientro da periodi di congedo. Insomma, un migliore raccordo sul punto sarebbe stato auspicabile.
E’ da ricordare che nella disciplina dedicata ai Quadri, si richiama la necessità di tener conto delle esigenze formative e pertanto le aziende “promuoveranno, anche avvalendosi delle Commissioni territoriali per la formazione professionale, la partecipazione dei quadri a iniziative di formazione finalizzate al miglioramento delle capacità professionali. E si aggiunge che “la partecipazione dei singoli a corsi, seminari o altre iniziative formative sarà concordata tra l’azienda ed il lavoratore interessato”.
In separato articolato è disciplinato il tema del diritto allo studio. Nell’intesa del giugno del 1999 ci si era limitati a rinviare a un momento successivo le modifiche da apportare all’articolo 29 del contratto, “anche al fine di recepire ed armonizzare la normativa esistente con il regolamento attuativo del Ministero del lavoro ex art. 17 della legge n. 196 del 1997”.
L’accordo in commento si cimenta nel compito e provvede ad aggiornare la disciplina, organizzando anche una migliore suddivisione interna tra diritto allo studio e formazione professionale.
Il monte ore complessivo resta invariato. Viene determinato per un triennio a partire dal 1° gennaio 2004 moltiplicando il numero totale dei dipendenti per 7 ore annue e per 3. Si osservi, a proposito di quanto in precedenza osservato, che non è stabilito se il monte ore è utilizzabile anche dai lavoratori con contratto a termine. Sarebbe stato opportuno precisare che nel calcolo dei dipendenti entrano anche quelli a tempo determinato.
Il diritto allo studio riguarda le scelte dei lavoratori che frequentano, presso istituti pubblici o legalmente riconosciuti, corsi di studio finalizzati a “migliorare la propria cultura, anche in relazione all’attività dell’azienda”. Si tratta del meccanismo delle ‘150 ore’, da tempo consolidato nella contrattazione collettiva, proprio a partire dal rinnovo dei metalmeccanici seguito al cosiddetto ‘autunno caldo’ sindacale della fine degli annni ’60 – inizio anni ’70. Interessante è l’inserimento dei corsi di lingua italiana per lavoratori stranieri, finalizzati alla loro integrazione, con un monte ore pro-capite triennale elevato a 250 ore. Inoltre, in caso di frequenza dell’ultimo biennio per il conseguimento del diploma di scuola media superiore, sono concesse 40 ore annue di permesso retribuito, per non più di 2 anni nel corso del rapporto di lavoro, cumulabili con le altre facilitazioni previste per la frequenza ai corsi e per gli esami dei lavoratori studenti.
La formazione professionale è la parte di articolato su cui si registrano i cambiamenti maggiori, per tener conto dell’accreditamento delle strutture formative ad opera delle Regioni. I corsi di formazione cui i lavoratori possono partecipare sono quelli organizzati presso “sedi operative pubbliche o private indicate dalle commissioni territoriali”, che possono anche indicare i progetti formativi da privilegiare. Anche in questa ipotesi resta che i permessi retribuiti corrispondono a 150 ore pro-capite per triennio, a condizione che il corso abbia una durata almeno doppia. Interessante è anche la previsione di un collegamento con l’istituto del Conto ore individuale e della Banca delle ore, nei cui confronti è prevista “una priorità nell’utilizzo delle ore” maturate a credito.
Inoltre, sono estese le medesime regole per la partecipazione a “corsi di formazione professionale concordati a livello aziendale anche in coordinamento con le commissioni territoriali”.
Quanto alle modalità: per la presentazione della richiesta, è previsto che la domanda sia presentata per iscritto da parte del dipendente “entro i mesi di giugno e dicembre di ogni anno”, salva diversa determinazione a livello aziendale; per la certificazione, occorre sia il certificato di iscrizione al corso sia la produzione trimestrale dei certificati di frequenza, con il dettaglio delle ore.
Sono stabilite inoltre le precedenze in caso di richieste superiori al terzo del monte ore triennale: “corsi di formazione concordati a livello aziendale o territoriale su proposta aziendale”, “corsi di formazione professionale previsti nei progetti proposti dalle commissioni territoriali”, “corsi di formazione professionale approvati dalle commissioni territoriali” e da ultimo i corsi del ‘diritto allo studio’, in quanto a diretta scelta del lavoratore stesso.
E’ regolata anche la soluzione delle divergenze: in prima istanza oggetto di esame congiunto tra la direzione aziendale e la RSU e in seconda istanza demandata alla decisione della Commissione territoriale.
Da ultimo si ricorda che nel testo la regolamentazione è da considerare applicazione di quanto disposto in materia di congedi per la formazione continua, di cui all’articolo 6 della legge n. 53 del 2000.
Nell’accordo è anche data attuazione a quanto previsto all’articolo 5 della legge n. 53 del 2000. Si tratta dei congedi per la formazione (permanente), a scelta del lavoratore, che corrispondono a una sorta di anno sabbatico (limitato però a 11 mesi), la cui regolamentazione è pure rimessa dalla legge alla contrattazione collettiva, per quanto riguarda le modalità di fruizione del congedo, le percentuali massime di lavoratori che possono fruirne, le ipotesi di differimento o di diniego del congedo, la fissazione dei termini di preavviso.
Come è noto e come richiama l’accordo, questi congedi possono essere richiesti dai lavoratori con almeno 5 anni di anzianità di servizio e finalizzati a “completare la scuola dell’obbligo, conseguire il titolo di studio di secondo grado, del diploma universitario o di laurea ovvero a partecipare ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro”.
Il preavviso è fissato in 30 giorni per i congedi di durata fino a 10 giorni e di 60 giorni per i congedi di durata superiore. L’accoglimento della richiesta da parte della azienda avverrà tenendo conto “delle esigenze tecnico organizzative”. L’eventuale diniego o differimento va motivato. La percentuale massima di lavoratori che possono contemporaneamente assentarsi a tale titolo è fissata nell’1% del totale degli occupati.
E’ da osservare che nell’articolo che precede (art. 30) e che è dedicato, come prima ricordato, alle facilitazioni per la frequenza ai corsi e per gli esami dei lavoratori studenti, compare per la prima volta il riferimento ai lavoratori studenti con meno di 5 anni di anzianità di servizio e che, pertanto, non possono ricorrere ai congedi per la formazione. In questo caso, è possibile la richiesta di 120 ore di permesso non retribuito nel corso dell’anno solare, da programmare trimestralmente pro-quota in sede aziendale, “compatibilmente con le esigenze produttive ed organizzative dell’azienda”.
Prima di concludere sul punto della formazione, è da richiamare una ulteriore novità dell’accordo, che consiste nell’inserimento tra le causali da valutare positivamente, nell’ambito della percentuale massima stabilita, per la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, le “necessità di studio connesse al conseguimento della scuola dell’obbligo, del titolo di studio di secondo grado o del diploma universitario o di laurea”. Una ulteriore dimostrazione che uno dei filtri principali della scrittura di questo rinnovo consiste proprio nell’attenzione al tema della formazione: continua, permanente e professionale.
Il sistema dei rinvii alla gestione del contratto
Il contratto contiene una serie nutrita di rinvii a determinazioni che potranno essere assunte nel corso della sua vigenza.
Rientra in quest’ambito la prospettata istituzione di organismi, come l’Ente bilaterale nazionale, che dovrebbe essere realizzato entro il settembre del 2004, cui potranno seguire enti bilaterali territoriali. Come è noto gli enti bilaterali sono organismi già presenti nel nostro sistema di relazioni industriali e sembrano destinati ad un notevole sviluppo, una volta che il Governo avrà completato il pacchetto di deleghe ricevute con la legge n. 30 del 14 febbraio 2003 sulla riforma del mercato del lavoro, quando potranno svolgere funzioni di rilievo soprattutto in materia di accesso al lavoro, di formazione, di lavoro temporaneo e di certificazione della tipologia contrattuale.
Non sembra casuale, quindi, che all’ente bilaterale sia stata per il momento attribuita solo competenza in materia di “progettazione e realizzazione di tutte le attività formative utili al settore”, come ricordato in precedenza. Sulle ulteriori funzioni non viene fornita indicazione, probabilmente attendendo i contenuti della futura determinazione per la via dei decreti legislativi.
La prospettiva della certificazione della tipologia contrattuale sembra già permeare l’articolo 1 della sezione terza della disciplina generale, dedicato alle comunicazioni al momento dell’assunzione. Tra queste spicca, in apertura dell’elenco, l’introduzione del riferimento alla “tipologia del contratto di assunzione” che deve essere comunicata al lavoratore per iscritto da parte del datore di lavoro all’atto dell’assunzione. La formulazione comunque non è chiara, soprattutto se si considera che se ci sarà certificazione della tipologia contrattuale questa, almeno formalmente, deriva anche dalla volontà del lavoratore.
Rinvii riguardano la maggior parte delle forme cosiddette flessibili di lavoro. Per il part time è previsto un rinvio, in attesa dei decreti delegati, in materia di clausole elastiche e relativo trattamento economico. Il rinvio appare eccessivamente limitato, soprattutto se si pone mente al fatto che la delega affidata al Governo consente di riscrivere larga parte della disciplina e non solo quella relativa alle clausole elastiche, cui si aggiungerà la nuova fattispecie delle clausole flessibili.
Allo stato attuale è solo da registrare nel contratto l’innalzamento dal 2% al 3% della percentuale all’interno della quale il datore di lavoro si impegna a valutare “positivamente … la richiesta di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale”.
Il rinvio riguarda anche le altre tipologie contrattuali, come il lavoro a tempo determinato, per il quale verranno successivamente definiti i contenuti dei “rinvii affidati dalla nuova disciplina legislativa alla contrattazione collettiva”, e il lavoro temporaneo, con limitate modificazioni della disciplina finora vigente.
Un rinvio particolare riguarda il sistema di inquadramento professionale per la cui revisione è costituito un gruppo di lavoro paritetico che dovrebbe elaborare proposte affinché le parti stipulanti assumano “una decisione non oltre il 30 giugno 2006”.
Altro rinvio è previsto per l’orario di lavoro, è ora disciplinato dal decreto legislativo n. 66 dell’aprile 2003, in cui si prevede un anno di tempo per la verifica delle modalità di adeguamento che verranno predisposte per via contrattuale.
Sul punto si registra un interessante intervento per quanto riguarda la possibilità di concedere ai lavoratori stranieri periodi continuativi relativamente lunghi di assenza, cumulando ferie e altri permessi retribuiti, “al fine di favorire il ricongiungimento familiare nei paesi d’origine”.
La disdetta del contratto del 1999 da parte di Federmeccanica
L’ultimo atto, allo stato attuale, della vicenda ha visto la Fiom-Cgil presentare richieste sia per la parte normativa sia per quella retributiva, basate sulla ultrattività del contratto del 1999 per quanto riguarda le assunzioni, le tipologie dei rapporti di lavoro e l’orario di lavoro. In particolare, per gli aspetti retributivi, si chiede di considerare gli incrementi retributivi derivanti dall’accordo del maggio 2003 come “quota delle spettanze che successivamente saranno concordate”. Ma per questo, ovviamente, occorre una controparte disponibile a riaprire la trattativa, con seri problemi nei confronti delle organizzazioni che hanno firmato l’intesa, oppure occorre una imponente mobilitazione da parte dei lavoratori che al momento non sembra profilarsi.
Federmeccanica, infatti, ha risposto negativamente, ribadendo di considerare concluso il negoziato, dopo la firma di Fim-Cisl e Uilm-Uil e dichiarando la volontà di disdetta del contratto del 1999.
Nessuna conseguenza però per quanto riguarda la gestione del contratto. Federmeccanica su questo è più disponibile: non è intenzionata ad applicare la clausola negoziale sulla riserva di azione in capo alle organizzazioni firmatarie, evitando di far crollare il sistema di relazioni sindacali finora in atto tra le parti. Fiom “continuerà a fruire dei diritti e delle agibilità sindacali nell’ambito del sistema delle regole che discendono dal contratto nazionale. Ciò vale anche per quanto concerne la … partecipazione ai previsti incontri, Commissioni e gruppi di lavoro”, tra cui quelli per la riforma del sistema di inquadramento professionale e quelli per tener conto delle nuove regole in materia di orario di lavoro e di tipologie contrattuali, tra cui il contratto a termine. L’ultimo di questi argomenti è sicuramente il più delicato, dato che si sta già profilando un diverso approccio tra Cisl e Uil da un lato e Cgil dall’altro.