Antonio Aurilio – Dottore di Ricerca in Diritto del Lavoro
Nella giornata del 5 febbraio scorso, in contemporanea alla sua approvazione definitiva da parte dell’assemblea parlamentare, il disegno di legge recante “Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro” (atto Senato n. 848-b) ha costituito l’oggetto di un seminario promosso dal Centro per lo studio delle relazioni industriali (Cesri) della Luiss Guido Carli. Il seminario è stato articolato in una prima parte di relazioni sui principali contenuti del disegno di legge delega, e quindi in una tavola rotonda tra i rappresentanti dei sindacati e quelli delle organizzazioni imprenditoriali. A fare da cerniera tra i due momenti l’intervento del sottosegretario al Lavoro, Maurizio Sacconi.
L’incontro si è posto quale primo approccio ad una normativa ancora in fieri: come puntualmente premesso dal Franco Liso (direttore del Cesri) in sede di apertura dei lavori, allo stato attuale non possono, evidentemente, essere formulate interpretazioni dotate di un apprezzabile grado di definitività sui contenuti della riforma, poiché a tal fine è necessario attendere l’emanazione dei decreti delegati. La chiave di lettura della riforma, indicata in apertura e sempre presente nello svolgimento dei lavori, è stata quella di cercare di individuare la direzione delle modifiche al diritto del lavoro tratteggiate nel disegno di legge: se è indubbio, infatti, che alcune di esse si pongono su una linea di discontinuità con la legislazione lavoristica del recente passato, altre possono essere piuttosto inserite in una linea di continuità. Rappresenta un elemento di continuità la ricerca di una maggiore trasparenza del mercato del lavoro, attuata, ad esempio, attraverso la riforma dei servizi all’impiego. All’opposto, si presenta come elemento di forte discontinuità la nuova disciplina degli appalti di manodopera. Qui, infatti, sembra si sia andati oltre alla legittima esigenza di superare la legge 1369 del 1960, che appariva effettivamente bisognosa di un adeguamento al mutato contesto storico: si può dubitare, in questo senso, dell’opportunità di eliminare il principio della parità di trattamento dei lavoratori dell’appaltatore con quelli del committente nel caso degli appalti “interni”. In generale, poi, è stato rilevato l’atteggiamento di fondo della legge delega che segna un rafforzamento dell’autonomia individuale a scapito di quella collettiva: peraltro, se le parti sociali arretrano rispetto al passato nel ruolo di regolazione, sono però rafforzate nella partecipazione agli enti bilaterali, quindi nel ruolo di erogatori di servizi ai lavoratori.
Le singole relazioni hanno evidenziato le maggiori criticità del testo della legge delega, offrendo anche una valutazione dei principali effetti della riforma e la loro portata di innovatività. Non è possibile dare conto, evidentemente, neppure per sommi capi di tutti gli spunti contenuti nelle relazioni: si cercherà, piuttosto, di accennare in estrema sintesi ai principali contenuti di ognuna. In tema di trasferimento d’azienda, Roberto Romei ha affermato che la legge delega non porterà rilevanti novità. In particolare, la soppressione del requisito della “preesistenza” della autonomia funzionale del ramo di azienda, previsto dall’art. 2112 c.c., non porterà, come invece ritengono altri commentatori, ad una “disarticolazione selvaggia” delle imprese e ad una conseguente compressione dei diritti dei lavoratori trasferiti: l’elemento importante, infatti, che non è intaccato dalla riforma, è quello della organizzazione, per cui sarà pur sempre necessario che il ramo d’azienda trasferito abbia una sua autonomia funzionale, cioè una propria capacità imprenditoriale a stare sul mercato.
Passando agli istituti dell’interposizione, dell’appalto e della somministrazione di manodopera, tutti collegati tra loro, Arturo Maresca ha evidenziato la difficoltà di ricondurre a sistema le varie disposizioni, rilevando due punti particolarmente critici. In primo luogo, se si ammette che la legge delega configura una fattispecie di interposizione lecita nelle prestazioni di lavoro (distinta dalla interposizione illecita, dall’appalto e dalla somministrazione di manodopera) non si comprende in che modo essa possa distinguersi, e quindi conciliarsi, con la somministrazione di manodopera (cd. staff leasing). In secondo luogo, la legge sembra anche ammettere la possibilità di una somministrazione di manodopera a tempo determinato: ma essa, evidentemente, finirebbe con il coincidere totalmente, confondendosi, con la fornitura di lavoro temporaneo.
Elementi di forte oscurità del testo legislativo emergono poi in tema di servizi all’impiego. Qui la relazione di Franco Liso ha indicato la carenza di una chiara definizione delle formule adottate dal legislatore delegante laddove, ad esempio, si prevede un “unico regime autorizzatorio” riguardo alla abilitazione all’attività di intermediazione: una maggiore chiarezza sarebbe, invece, auspicabile poiché la tutela degli interessi dei lavoratori sta proprio nella affidabilità dei soggetti che operano sul mercato del lavoro. È positivo, invece, il giudizio circa la previsione che demanda anche ad enti bilaterali la possibilità di effettuare attività di intermediazione, e più in generale circa la linea di fondo della legge delega di enfatizzare la bilateralità, cioè la partecipazione dei sindacati alla gestione di funzioni di servizio ai lavoratori, quali, appunto, quella collocativa.
Ad una sostanziale continuità con l’attuale assetto risulta improntata la delega in materia di contratti a contenuto formativo: essa – ha affermato Fausta Guarriello – conferma la centralità dell’apprendistato come istituto principale di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, ed il suo carattere di terzo canale formativo, in alternativa a quello dell’istruzione ed a quello della formazione professionale regionale. Viceversa, il testo si presenta piuttosto scarno con riferimento al contratto di formazione e lavoro: si dice solo che il legislatore delegante dovrà procedere ad una maggiore specializzazione di questo istituto, ma non si precisa in che modo. Meritevole di apprezzamento sono: l’attenzione riservata alla creazione di efficaci strumenti di monitoraggio del ricorso ai contratti formativi e di strumenti preferenziali per l’inserimento o il reinserimento nel mondo del lavoro delle lavoratrici donne e la valorizzazione del ruolo degli enti bilaterali, che finora, in questa materia, hanno mostrato di poter raggiungere risultati positivi.
Collegato al tema dei contratti formativi è quello dei tirocini formativi e di orientamento. Qui la legge delega pone una serie di questioni interpretative, provocate dalla scarsa chiarezza del testo. Tra le varie osservazioni e considerazioni critiche, molto approfondite, formulate da Paolo Pascucci, si può, in estrema sintesi, ricordare la difficoltà di comprendere le modalità attraverso le quali il legislatore delegante intende perseguire la finalità, espressamente contenuta nel testo della delega, di valorizzare lo strumento della convenzione tra pubbliche amministrazioni, sistema formativo e imprese. Si prevede, infatti, la differenziazione della durata dei tirocini in relazione a vari elementi, ma non è chiaro se questa disposizione rimetta ai decreti delegati la fissazione in concreto della diversa durata temporale dei tirocini, ovvero se tale definizione sia lasciata alle convenzioni, caso per caso in relazione ad ogni singolo utente. Parimenti, si prevede la “eventuale” corresponsione di un sussidio, e non si comprende se la delega rimetta la effettiva previsione della corresponsione del sussidio ai decreti delegati ovvero allo strumento convenzionale.
La scarsa chiarezza del provvedimento legislativo, del resto, è stata lamentata anche da Giuseppe Santoro Passarelli, in relazione alle disposizioni contenute nell’art. 5, dove si prevedono modifiche alla disciplina di alcune forme contrattuali flessibili e l’introduzione di nuove. Perplessità sono state espresse in riferimento alla reale innovatività di alcune previsioni, quali ad esempio il requisito della riconducibilità dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa “a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso”, laddove si ponga mente al fatto che già oggi questa tipologia contrattuale risulta comunque vincolata al compimento di un’opera. Ardua è poi la comprensione del disposto della legge laddove accenna al lavoro “accessorio” senza specificare le caratteristiche di questa forma contrattuale.
Con riferimento ai principi della delega in materia di riforma del lavoro a tempo parziale, Pietro Lambertucci ha evidenziato varie ambiguità del testo nonché alcune discutibili soluzioni regolative. Soffre di ambiguità la norma relativa al lavoro supplementare: secondo alcuni primi commenti, essa addirittura potrebbe condurre al risultato di legittimare il ricorso al lavoro supplementare anche senza il consenso del lavoratore, se il ricorso al lavoro supplementare venga previsto dalla contrattazione collettiva. Così interpretando la norma, però, si porrebbe in essere una violazione della direttiva europea in materia di lavoro a tempo parziale. Ancora, la legge delega prevede la computabilità dei lavoratori a tempo parziale sempre in proporzione al loro orario di lavoro, ogni qual volta la legge o l’autonomia collettiva subordinino alla presenza di un certo numero di lavoratori occupati nell’impresa l’applicazione di determinati istituti: ciò costituisce un’applicazione distorta del principio del pro rata temporis, penalizzante non solo per il singolo lavoratore, ma anche per le organizzazioni sindacali.
Oggetto di aspre critiche da parte di Valerio Speziale, poi, sono state le norme in tema di certificazione della tipologia di contratto di lavoro stipulato. In estrema sintesi, sono stati avanzati diversi dubbi di legittimità costituzionale delle norme deleganti. Ciò vale, in primo luogo, circa le norme che rimettono ai decreti legislativi la definizione delle modalità di organizzazione delle sedi di certificazione e della procedura di certificazione, che si presentano eccessivamente generiche e prive di un contenuto minimo di determinatezza. In contrasto con l’art. 24 Cost., che prevede il diritto di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti o interessi legittimi, sembrano le norme che limitano l’impugnazione del contratto certificato ad alcune ipotesi soltanto. Infine, dubbi sono stati avanzati con riguardo alla stessa utilità della procedura di certificazione, in considerazione del fatto che comunque, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, il legislatore non può negare la qualificazione di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura: a maggior ragione, quindi, il legislatore non può delegare ad organismi amministrativi o sindacali la qualificazione come autonomi di rapporti che invece presentano i caratteri della subordinazione.
La difesa della legge delega da parte del sottosegretario Sacconi è stata aperta da un invito ad evitare “processi alle intenzioni”: tutte le misure contenute nella delega sono ispirate dall’intento del Governo di tutelare maggiormente i lavoratori. Così l’autorizzazione ad un ampio novero di soggetti privati, oltre che di soggetti pubblici, a svolgere l’attività di somministrazione di manodopera, è funzionale a stimolare l’affermarsi, attraverso un rapporto collaborativo-competitivo, di un mercato del lavoro che finora è del tutto mancato. L’istituto della somministrazione è poi finalizzato a riconoscere uno standard di tutela almeno pari, se non superiore, a quello dei lavoratori temporanei, a lavoratori che oggi non sono tutelati perché si muovono nel mercato irregolare. La bilateralità, poi, è incentivata come strumento di controllo sociale in grado di accompagnare e gestire le esigenze di flessibilità imposte dal sistema produttivo attuale, coltivando il valore, affermato a livello europeo, della “adattabilità”.
In assonanza a queste ultime affermazioni sono stati gli interventi dei rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, in sede di tavola rotonda. In particolare Giorgio Usai, rappresentante di Confindustria, ha ricordato come l’effetto della delega non è la precarizzazione del lavoro, ma al contrario la predisposizione (utilizzando la terminologia propria dei sociologi del lavoro) di un “cassetto degli attrezzi”, cioè di una serie di istituti regolamentati e tutelati, al solo fine di far emergere il lavoro nero. Del resto, l’esistenza di questi strumenti, non porterà una precarizzazione generalizzata, anche perché il lavoro è un patrimonio per le imprese, che ricorreranno alla flessibilità solo in quanto sia economicamente necessaria.
Infine, la tavola rotonda ha messo in luce la profonda divergenza tra le due maggiori confederazioni sindacali quanto alla valutazione della legge delega. Secondo Giuseppe Casadio, segretario della Cgil, il provvedimento si pone su una linea di totale e dichiarata discontinuità rispetto al passato. In primo luogo, la legge delega mira a realizzare uno slittamento verso la dimensione individuale nella disciplina del rapporto a scapito del ruolo regolativo dell’autonomia collettiva. In secondo luogo, essa enfatizza una bilateralità che è estranea a quella finora realizzata e, soprattutto, incompatibile con la natura del sindacato finora conosciuto. In effetti, finora la bilateralità è consistita nella fissazione di una strumentazione imperativa fissata dalle parti sociali per dare attuazione a quanto da esse stesse stabilito nella contrattazione: oggi, invece, si va verso la gestione di norme poste da altri, che porteranno ad una “corporativizzazione” del sindacato, che agirà sempre più nell’ottica dei propri affiliati. Completamente opposte le valutazioni offerte da Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, per il quale la legge delega è in assoluta continuità con il passato, perché si inserisce nel solco della ricerca di soluzioni nuove a problemi di un mondo del lavoro che da dieci anni in qua è profondamente cambiato; egli ritiene, inoltre, del tutto legittimo e utile il coinvolgimento del sindacato nella gestione di servizi ai lavoratori attraverso gli enti bilaterali.