L’industria mondiale è in affanno e la crisi colpisce in particolare il settore high tech. Secondo studi e inchieste apparsi in questi giorni sulla stampa italiana ed estera – particolarmente documentato quello pubblicato oggi dal francese Le Monde – alcuni dei maggiori gruppi industriali internazionali hanno annunciato piani di ristrutturazione che prevedono tagli agli organici per circa 150 mila posti entro l’anno.
Spetta all’americana Lucent, ex-leader mondiale della componentistica per telecomunicazioni, il primato dei licenziamenti annunciati: tra 15.000 e 20.000 posti di lavoro verranno soppressi entro l’anno, cui si aggiungono i 10.500 lavoratori il cui allontanamento era stato già deciso in gennaio e un piano di prepensionamenti che riguarderà altri 8.500 effettivi. In totale, 39.000 persone che perderanno il posto, equivalenti al 50% dell’ organico dell’intero gruppo.
Se Lucent piange un ridimensionamento colossale, non ridono certo i suoi rivali: Siemens, gigante tedesco dell’elettronica, prevede un bilancio di fine anno inferiore a quello del 2000 e una ricetta dolorosa, la riduzione degli effettivi di circa 10.000 unità. Il gruppo svizzero-svedese ABB ha svelato che procederà a una ristrutturazione che lascerà per strada oltre 12.000 lavoratori, l’inglese Invensys taglierà circa 6.000 posti, e ancora Nortel, Ericsson, Motorola complessivamente avranno perduto, alla fine dell’anno, 80.000 lavoratori.
Le ragioni di questa falcidia sono in parte congiunturali.
Ciò è vero per l’insieme dei settori colpiti, che scontano pesantemente il rallentamento della locomotiva americana.
L’economia statunitense tira sempre meno, e gli effetti si avvertono anche in Europa e in Asia.
Ma la contrazione dell’economia, da sola, non spiega una peculiarità di questa ondata di ristrutturazioni e licenziamenti, ossia la elevata vulnerabilità del mercato tecnologico, in particolare legato alle telecomunicazioni, quello definito come ‘new economy’.
Il boom del settore delle telecomunicazioni è stato tanto rapido quanto effimero. In pochissimi anni, un enorme afflusso di capitali lo ha gonfiato, moltiplicando operatori e reti negli Usa, in Europa, in Asia e in Israele, balzato rapidamente al secondo posto dopo gli Usa tra gli esportatori di high tech.
Le maggiori imprese si sono lanciate in una sfida colossale per l’acquisizione di start up che ancora non producevano utili, mobilitando risorse finanziarie ingenti.
Quando la bolla è esplosa, da un anno a questa parte, la fragilità strutturale del mercato e dei suoi operatori è apparsa evidente: crisi finanziaria, indebitamenti, calo drastico di ordinativi, bilanci in perdita. Infine, le ripercussioni borsistiche, che hanno azzerato imponenti capitali. Emblematico, di nuovo, il gruppo Lucent, il cui titolo ha perduto nel corso del 2001 l’89%.
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