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Home - Approfondimenti - Analisi - Electrolux Zanussi – D’ipocrisia si può morire

Electrolux Zanussi – D’ipocrisia si può morire

1 Giugno 2001
in Analisi

Antonio Messia

Sta morendo, o va consumandosi lentamente, l’unica esperienza autenticamente partecipativa presente nel panorama delle relazioni industriali di questo Paese.
I segnali delle recenti contrapposizioni registrate alla Zanussi stanno a testimoniare che qualcosa di molto profondo si è interrotto tra l’azienda ed il sindacato. Credo che l’esperienza avuta in questo Gruppo, come responsabile nazionale della Uilm fino a qualche mese fa, mi permetta di esprimere alcune osservazioni.
A mio avviso, le cause della attuale drammatizzazione della vicenda hanno avuto origine nella primavera del 2000, quando, in piena contrattazione integrativa, si cominciava a percepire qualche indecisione motivazionale nella volontà di perseguire con caparbietà una politica partecipativa realmente condivisa, e sindacalmente esplicitata in atti concreti tendenti alla realizzazione dell’integrativo. L’atteggiamento posto in essere cominciava ad essere duplice: una linea politica formalmente aderente al modello da una parte; una pratica sabotatoria e di contestazione dall’altro. Era l’inizio di una scelta alternativa al modello stesso. Purtroppo, a questo come ad altri segnali si rispondeva con sufficienza beata e tranquilla ipocrisia.
Il primo e vero campanello d’allarme di una scelta alternativa a quella stabilita suonò nella fase cruciale della trattativa, quando ad un passo dalla sigla dell’accordo e dopo innumerevoli assicurazioni, la Fiom si rese indisponibile sul lavoro a chiamata (il ‘job on call’) che divenne in breve il totem ideologico dietro il quale noscondere l’avversione verso il modello stesso. Ricordiamo per la cronaca che l’intero testo venne approvato da una larghissima maggioranza di Rsu. Già qui, a mio parere nacque il problema. Proprio da qui nasce spontanea una riflessione relativa al ruolo delle Rsu, quando sono titolari della contrattazione. In questo specifico caso, è evidente come la richiesta di referendum che venne avanzata nascesse dalla non condivione della Fiom di quel risultato democratico; per cui s’affermava una doppia filosofia anche in tema di rappresentanza. Non furono poche le discussioni all’interno della Fiom e altrettante le ripercussioni contro quanti avevano provato a criticare l’atteggiamento tenuto dal loro capo delegazione. Proprio lui, è bene ricordarlo, aveva, negli incontri informali e davanti a testimoni, assicurato il consenso su l’intesa raggiunta sul testo contrattuale. L’attenzione su quella vicenda fu oggettivamente spropositata: caratterizzò l’intero sindacato, diversi ministri, assessori, vescovi, pensatori vari che invece avrebbero avuto una buona occasione per stare zitti, ma non ne approfittarono.
L’esito del referendum fu disastroso, non solo tra gli operai con i quali si praticò la peggiore disinformazione possibile. La vera sorpresa fu il risultato delle strutture aziendali: con il voto ricordarono all’azienda quanto soffrissero la condivisione del loro potere con le strutture sindacali nelle commissioni ai diversi livelli, così come stabilisce il testo unico sulla partecipazione. Con il referendum si saldarono forze trasversali presenti nel sindacato e nell’impresa stessa. La cosiddetta ‘area alternativa’ riportò un effimero successo, viste le spaccature che si andarono accentuando dopo la sottoscrizione del nuovo integrativo nel novembre del 2000. In quell’occasione fu sconfitto tutto il sindacato, anche chi, come noi, non denunciò con forza che dietro la vicenda Zanussi c’era l’inizio della campagna referendaria per il rinnovo del Ccnl. Insomma, le organizzazioni sindacali si preparavano a definire la piattaforma in un clima poco unitario. Può sembrare un parodosso, ma anche questa vicenda ha visto strutturarsi strane trasversalità: sono quelle di quanti nell’impresa e nel sindacato trovavano odiosa, faticosa ed inutile la partecipazione e sognavano un ritorno a relazioni industriali nelle quali era il conflitto a determinare l’esito dello scontroconfronto tra le parti.
C’è stata una precisa volontà di annullare l’esperienza Zanussi mediante la costante drammatizzazione di eventi e situazioni, normali per la nostra categoria, ma che hanno assunto e assumono, tuttora, nel Gruppo una valenza distruttiva.
Credo che sia il tempo delle scelte coraggiose, seppur difficili, per quanti ritengono valida la politica della partecipazione che è scelta strutturale e non utlizzabile solo in relazione a proprie convenienze o a situazione contingenti.
Il sindacato e comunque la Uilm devono trovare gli strumenti per superare questa complessa situazione, individuare le strade per un risoluzione del problema in grado di rivitalizzare le procedure di funzionamento dell’intero sistema partecipativo Zanussi. In mancanza di ciò, si prenda atto chiaramente che ci sono posizioni così distanti nell’interpretazione dei fenomeni sociali, culturali e industriali, da ritenere questa esperienza esaurita. Nessun autentico modello partecipativo può reggere senza una reale unità sindacale, in grado di condividere e unificare come elemento di ricchezza esperienze diverse delle relazioni industriali.
L’esperienza Zanussi non è stata un generico protollo partecipativo; è stato il frutto di oltre dieci anni di lavoro tra soggetti diversi, ma tutti più o meno ispirati dall’idea di costruire relazioni autentiche, senza furbizie né fraintendimenti; è il lavoro di centinaia di uomini e donne che pur proveniendo da diverse appartenenze, hanno cercato di costruire un modello condiviso nel complesso mondo del lavoro.
Credo che il modello Zanussi, per quello che fino ad oggi ha rappresentato, non meriti di morire con qualche pezzo giornalistico, nè di naufragare nella rada di qualche minuta Unione industriale. Se proprio deve morire gli sia concesso di farlo con onore e non per mano di qualche funzionario incapace di immaginare una realtà che oltrepassi il suo naso, nemmeno fosse quello di Cyrano de Bergerac. L’utopia progettuale realizzata alla Zanussi dal sindacato e dall’azienda non lo merita proprio.

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