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Home - Approfondimenti - Analisi - Conte e i sindacati, il dialogo che non c’è

Conte e i sindacati, il dialogo che non c’è

di Nunzia Penelope
21 Gennaio 2021
in Analisi
Conte e i sindacati, il dialogo che non c’è

Era il 26 novembre quando Giuseppe Conte, incontrando i sindacati sul solito Zoom o simili, rispondeva acidamente alle loro richieste di maggiore dialogo sulla legge di Bilancio: ”io non ho mai parlato di concertazione, non ne faccio”. E al leader Uil Pierpaolo Bombardieri, che insisteva di voler discutere assieme le sorti del paese: ”le risulta che la Uil abbia mai scritto una legge di Bilancio?”. A parte che si, c’è stato un tempo in cui le leggi di Bilancio venivano effettivamente se non scritte, quanto meno discusse sia preventivamente sia in corso d’opera coi sindacati (e stiamo parlando dei primi anni Novanta, prima che il Massimo D’Alema premier, anticipando di una ventina d’anni Matteo Renzi, trasformasse la famosa Sala Verde di Palazzo Chigi in un luogo inutile) resta che la risposta piccata di Conte ai sindacati stride non poco con le riverenze cerimoniose che lo stesso Conte ha riservato ai rappresentanti dei lavoratori nel corso dei suoi interventi per la fiducia, sia al Senato che alla Camera.

Da 26 novembre sono passati meno di due mesi, e chissà cosa ha folgorato Conte sulla via di Cgil, Cisl e Uil per portarlo a ringraziare così calorosamente. Ma ringraziare va bene, è giusto: è il contributo delle parti sociali che ha consentito all’Italia di restare a galla nei mesi del lockdown. Quello che è meno giusto è parlare dei rapporti tra governo e sindacati (ma anche tra governo e Confindustria, o associazioni datoriali) come se esistessero. In realtà il governo non sta da molto tempo consultando i sindacati, che infatti da molto tempo chiedono, per l’appunto, di essere convocati per aver modo di dire la loro su partite essenziali: la legge di bilancio, certo, ma anche il Recovery Plan, o Nex Generation Eu, come lo si voglia chiamare. Documento fondamentale per il paese, che come si sa ha avuto svariate traversie e molte diverse versioni, da una sintesi di 13 scarnissime paginette a un malloppo di 167 pagine, passando per vari bracci di ferro tra forze politiche e trattative interne ai partiti, al governo, a chissà quanti altri, ma tranne i sindacati: che il testo più recente, per dire, lo hanno ricevuto solo due giorni fa. Conte ha annunciato che saranno chiamati in audizione parlamentare per dire la loro: ma non è esattamente quello che chiedono Cgil, Cisl e Uil. Non essere mescolati alla lunga serie di soggetti auditi a posteriori, per un parere, ma, appunto, essere compartecipi delle scelte, delle decisioni. E finalmente e’ arrivata la vera convocazione, per le 11 del 22 gennaio. In pratica, dopo due mesi di silenzio.

Le caselle mail dei giornalisti che si occupano di temi legati al lavoro, e anche quella del nostro Diario, sono infatti ogni giorno affollate di comunicati stampa nei quali i sindacati, di categoria o confederali, lamentano la mancanza di una qualunque interlocuzione col governo su temi importantissimi, accusando il governo di non ascoltarli, non considerarli. Non solo su materie generali, diciamo, di macro economia, come appunto la legge di bilancio, ma nemmeno su temi specifici del sindacato. Esempio: il contratto dei dipendenti pubblici è finito con uno sciopero perche la titolare del dicastero, Fabiana Dadone, non ha mai risposto alla piattaforma per il rinnovo che i sindacati le avevano inviato a febbraio 2020, e non ha mai voluto discutere con loro le scelte del governo. I sindacati della Sanità non fanno che chiedere confronti per la complicatissima gestione della pandemia negli ospedali. I sindacati della Scuola, idem. I sindacati dei Metalmeccanici da un anno chiedono che si apra un confronto serio sul destino, tutt’altro che roseo, del settore auto, settore, per inciso, trainante per la nostra industria. Ma sono stati ricevuti più velocemente dal nuovo amministratore delegato di Stellantis, Tavares, che dal governo. Per non dire delle dozzine di crisi industriali che si trascinano da mesi, senza intravvedere soluzioni. Qui, va detto, in qualche caso la convocazione dal governo c’è, ma senza esiti particolarmente incisivi. Anche il famoso tavolo sui rider aperto al ministero del lavoro (ammesso poi che fosse una emergenza assoluta, ma vabbe), sembra svanito nel nulla.

Quanto al Recovery Plan, è di lunedi scorso un comunicato unitario di forte protesta di Cgil, Cisl e Uil per essere stati ancora una volta esclusi dal  tavolo di confronto sulle tematiche ambientali, sulla green economy, le energie rinnovabili, eccetera. Paolo Pirani, segretario generale della federazione dell’industria della Uil lo dice con chiarezza: ”non c’è mai stata alcuna interlocuzione, non ci hanno mai ascoltati”. Ma anche un sindacalista tra i più in sintonia con Giuseppe Conte come Maurizio Landini, alle parole del premier ha riposto sostanzialmente ”grazie del grazie, ma non ci basta”: ”Mi aspetto che il governo ci convoci e si inizi il lavoro che in questi mesi si è bloccato. Conte faccia quello che non ha fatto prima, e coinvolga davvero le parti sociali. Dai ringraziamenti passiamo ai fatti”. I fatti cui accenna Landini sono, sostanzialmente, le grandi riforme che saranno in qualche modo collegate al Recovery Plan: riforme della pubblica amministrazione, del fisco, degli ammortizzatori sociali, eccetera. Davvero il governo pensa di realizzarle senza mai ascoltare le parti sociali, o informandole fuggevolmente quando c’è un minuto di tempo libero, o quando, come nel caso della fiducia, serve mostrare un certo tipo di atteggiamento, quasi una captatio benevolentiae? 

In tutto questo, resta però un interrogativo: per quale motivo i sindacati, e peraltro anche la Confindustria, in altri tempo molto battaglieri e perfettamente in grado di far sentire forte la propria voce, oggi accettano tutto sommato quasi con rassegnazione questo ruolo decisamente secondario cui sono relegati. Vero che il governo ha dato molto agli uni e agli altri: le continue proroghe del blocco dei licenziamenti care ai sindacati, compensate dalla cassa integrazione del tutto gratuita, per le imprese. Misure non da poco, che tengono per ora a bada sia le possibili tensioni sociali sia le stesse rappresentanze. Ma prima o dopo si dovrà affrontare il problema: e se il governo lo affrontasse senza consultarsi con chi ne sa di più, ovvero con i diretti interessati, non c’è da scommettere sul buon esito della faccenda. Vedremo presto se il sospirato appuntamento sul Recovery Plan finalmente fissato da Conte sara’ l’inizio di qualcosa di concreto, se dara’ seguito a un vero confronto, a un vero dialogo, o se ancora una volta sara’ solo apparenza e niente sostanza. Resta che sarebbe meglio se le parti sociali alzassero un po’ più la voce oggi, a costo di litigare col cerimonioso premier, piuttosto che dover piangere sui disastri futuri, quando saranno ormai probabilmente irrimediabili.

Nunzia Penelope

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