Tra le varie e preoccupanti magagne messe a nudo dalla ripresa dei contagi c’è anche l’incapacità decisionale del governo: non si sa se preda di una sorta di paralisi che gli rende impossibile agire, o se piuttosto afflitto da ponziopilatismo – quella sindrome per cui non decidere è un modo per far si che decidano altri, lavandosene le mani ed evitando di farsi coinvolgere nelle eventuali negative conseguenze – il Conte bis, tanto brillante e rassicurante nella prima fase, appare oggi in panne. Non sembri troppo severo il giudizio. Che ci sarebbe stata la famosa seconda ondata di pandemia lo si sapeva infatti più o meno dal 28 febbraio. L’unica cosa su cui tutti – i virologi da talk, i ricercatori, gli epidemiologi, gli statistici, come pure gli astrologi, le cartomanti, i lettori di fondi di caffè- concordavano era, appunto, che al pari di ogni altro virus anche il Covid 19 si sarebbe sviluppato in due stagioni, di cui la seconda coincidente con l’inizio dell’autunno. Cosa non era chiaro, in questa semplicissima affermazione? Eppure, come si dice, da un orecchio è entrata e dall’altro è uscita, se ci ritroviamo alla fine di ottobre nelle condizioni che sappiamo, senza aver affrontato e risolto quanto poteva probabilmente essere affrontato e risolto nella breve tregua estiva che la pandemia ci ha concesso.
Tra le questioni non affrontate c’è il blocco dei licenziamenti. Introdotto la primavera scorsa come antidoto alle conseguenze immediate del lockdown, si è trascinato di decreto in decreto, di rinnovo in rinnovo, di mese in mese. L’ultima scadenza era prevista per metà novembre, forse presumendo, non si sa su quale base, che in autunno tutto sarebbe andato per il meglio. La scorsa settimana, di fronte alla nuova scadenza del termine e con l’aumento esponenziale dei contagi che prefigura un possibile nuovo lockdown, o comunque una nuova pesante stasi dell’economia, il governo ha offerto una proroga ulteriore fino a gennaio, ma i sindacati hanno rilanciato chiedendo di andare avanti almeno fino a primavera. A loro volta presumendo che, dopo, tutto possa tornare come prima. Ma si tratta di una ipotesi vagamente disneyana: come nella Bella Addormentata, si ”addormenta” tutto il reame, cioè i posti di lavoro, in attesa che la Bella, cioè l’economia, esca dall’incantesimo malefico e si risvegli. Magari grazie al Principe-Vaccino.
Ma questa è per l’appunto una fiaba. Nella realtà addormentare i posti di lavoro significa soltanto procrastinare il giorno in cui, risvegliandosi, i lavoratori troveranno un mondo totalmente diverso. Nel quale non sarà facile orientarsi e sopravvivere, né per la forza lavoro né per le stesse aziende, a loro volta ”congelate” negli organici e impossibilitate a riorganizzarsi in base a quelle che saranno le nuove esigenze produttive. È questa l’impasse su cui si sono arenati i confronti di questa settimana tra i ministri di Economia e Lavoro e le tre confederazioni. I sindacati, giustamente, osservano che è assolutamente necessario garantire ai lavoratori almeno un po’ di serenità rispetto alla sopravvivenza della loro occupazione. Ed è sacrosanto, infatti, che nelle settimane e nei mesi che ci prepariamo ad affrontare, dove sicurezze non ce ne saranno su cose assai pesanti, come la stessa salute e il diritto di essere protetti e curati, non incomba anche l’idea che, mentre si combatte per restare sani e vivi, si corra il rischio di ritrovarsi più avanti sani, vivi, ma disoccupati.
E qui si arriva all’ennesima occasione perduta: era così difficile prevedere che un provvedimento tanto drastico come il blocco dei licenziamenti non avrebbe potuto andare avanti a lungo di rinnovo in rinnovo? Una mossa quasi obbligata, nella fretta dell’emergenza; ma possibile che non ci si sia chiesti come uscirne? Era così difficile immaginare che ci si sarebbe infilati in un cul de sac tipo Quota 100, di quelli da cui non si sa come tornare indietro senza causare una catastrofe sociale? A giugno, invece di convocare gli inutilissimi Stati Generali, Giuseppe Conte non avrebbe potuto, dovuto, convocare sindacati e imprese e, assieme, studiare una seria riforma degli ammortizzatori sociali? Una riforma finalmente non dettata dall’emergenza, dal rincorrere l’andamento dei contagi, ma guardando a un orizzonte lungo, perché si sa benissimo che i cambiamenti del mondo del lavoro, dovuti alla tecnologia, alla globalizzazione, alla crisi demografica, prima o poi presenteranno comunque il conto, a prescindere dal Covid? E magari approfittando anche del fatto che, per la prima volta in decenni, ci sono anche le risorse, quei 15-20 miliardi necessari per realizzarla, grazie alla pioggia di fondi messi a disposizione dall’Ue? E allora, perché non mettersi al lavoro subito per un provvedimento nel quale trovino spazio gli indispensabili sostegni a chi perde il posto di lavoro, ma anche gli strumenti concreti ed efficaci per ritrovarne uno, mettendo in campo delle politiche finalmente davvero ”attive”, uscendo dalla finzione ormai insostenibile dei navigator, dotando il paese di un sistema di collocamento decente e funzionale, studiando programmi di retraining che formino, o ri-formino, le nuove figure di cui il mondo del lavoro che verrà avrà bisogno?
Incredibilmente, nulla di tutto questo è stato nemmeno accennato. Non lo ha preso in considerazione il governo, rifugiandosi nei decreti di emergenza che mettono toppe (costosissime) qua e la. Ma bisogna dire che stavolta non è solo ”colpa” del governo. Le responsabilità sono almeno tripartite. Nemmeno le parti sociali, infatti, si sono fatte avanti con proposte concrete. Non la Confindustria, che critica il blocco dei licenziamenti, ma in modo non particolarmente accanito, lasciando supporre che, tutto sommato, anche alle aziende questa sorta di “tempo sospeso” non pesi più di tanto. Il presidente Bonomi, en passant, ha sostenuto di aver inviato fin da luglio ai sindacati e al governo una sua proposta sugli ammortizzatori sociali: forse però non particolarmente incisiva, visto che non se ne è mai più sentito parlare. Ma non si hanno segnali nemmeno dai sindacati: a loro volta trascinati nel vortice dell’emergenza, stanno spendendosi in queste settimane su molti fronti caldi, dalla riforma delle pensioni fino ai tormentati rinnovi dei contratti; ma non si ha notizia, al momento, di una proposta strutturale sul lavoro e sugli ammortizzatori sociali per il futuro.
Eppure, sono esattamente queste le stesse forze sociali, sindacati e Confindustria, che appena otto, nove mesi fa, hanno saputo, coraggiosamente, prendere l’iniziativa di fronte a una gravissima emergenza e mettere a punto quei protocolli di sicurezza che hanno permesso alle fabbriche di continuare a produrre malgrado il lockdown, che hanno consentito al paese di non fermarsi del tutto, di conservare l’energia necessaria per ripartire. Dimostrando ancora una volta la capacità dei bistrattati corpi intermedi di assumersi responsabilità e dare segnali importanti al paese. Ma oggi, in questo bruttissimo autunno, sembra ci siamo un po’ tutti addormentati, esattamente come la Bella nel Castello. Finché un giorno, si suppone, ci risveglieremo. E dobbiamo solo sperare che non sarà l’inizio di un nuovo incubo sociale.
Nunzia Penelope