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Home - Approfondimenti - Analisi - Una proposta per una riorganizzazione territoriale degli interventi sanitari della fase 2

Una proposta per una riorganizzazione territoriale degli interventi sanitari della fase 2

di Roberto Polillo
23 Aprile 2020
in Analisi

La risoluzione del consiglio regionale della Lombardia

Il consiglio regionale della Lombardia ha approvato a maggioranza, nella giornata di ieri, una risoluzione sull’avvio della Fase 2 con cui, nell’ambito di una nutrita serie di indicazioni, invita “il presidente e la Giunta regionale perchè si facciano portavoce presso il Governo ed in ogni sede istituzionale affinché “sia concessa una maggiore autonomia nel coordinamento dei MMG e PLS, per ricondurli a tutti gli effetti quali dipendenti del sistema sanitario regionale”.

Il presidente e la giunta sono impegnati inoltre  

•          a definire un piano per poter accelerare l’implementazione della l.r. 23/2015 specialmente per quanto concerne i modelli di presa in carico della cronicità e la valorizzazione dei presidi territoriali (Presst e Pot);

•          a valutare possibili interventi sul corso di Formazione triennale per i MMG;

•          a rilanciare la medicina di territorio al fine di offrire al cittadino servizi ancora più strutturati, garantendo una copertura oraria e di giornate che sia idonea alle esigenze della popolazione, che faccia leva sull’esperienza di medicina di gruppo come modelli di rafforzamento; tenendo conto che la tecnologia gioca un ruolo determinante,

•          a dare un forte impulso alla Telemedicina e all’integrazione e comunicazione dei sistemi informatici in particolare per la presa in carico;

La risposta del sindacato dei medici di famiglia FIMMG

 

Immediata la presa di posizione del sindacato dei medici di famiglia FIMMG che, in una nota della segretaria regionale Paola Pedrini, ha bollato la risoluzione addirittura come la “fine della libertà di scelta del cittadino”, e ha sottolineato (ma questa dovrebbe essere l’ultima delle preoccupazioni di un sindacato di categoria fatto da liberi professionisti in convenzione) come 

“ Questa proposta comporterebbe quanto meno un raddoppio dei costi attuali per gli oneri riflessi, l’obbligo per la Regione di fornire idonei locali e strutture, di fornire tutto il personale necessario (infermieri e amministrativi) e non solo un modesto e parziale rimborso come avviene attualmente, di garantire le turnazioni dei medici che non potrebbero essere di certo utilizzati 12 ore al giorno, quindi quanto meno un raddoppio degli stessi, cosa impossibile in quanto si fatica già a coprire gli organici attuali”.

Una risposta paradossale perché di fatto si contesta al governo regionale di volere migliorare il servizio, facendosi carico conseguentemente dei relativi costi, puntando a un’offerta territoriale non più frammentata nei luoghi e nei tempi ma organicamente organizzata e presente per un arco di tempo in grado di rappresentare una vera alternativa all’accesso improprio all’ospedale

E’ dunque del tutto evidente come in questo scontro ci siano motivazioni che vanno ben oltre la qualità tecnica della proposta e che invece riguardano, in modo determinante, lo status professionale dei medici di medicina generale. I MMG, infatti, sono tradizionalmente ostili, anche se inizia ad emergere una crescente opposizione delle giovani leve, a modificare il loro rapporto di lavoro di tipo libero professionale, rifiutando in modo categorico qualsiasi ipotesi di trasformazione o equiparazione a quello della dipendenza dei medici ospedalieri.

Vale la pena ricordare a tale proposito che tale eventualità era stata invece prevista nella previgente legislazione e che il passaggio alla dipendenza era stato reso possibile a quell’altra categoria di medici territoriali, rappresentata dagli specialisti ambulatoriali, impropriamente definiti SUMAI, dal nome del loro principale sindacato di categoria.

Altrettanto evidente è l’atteggiamento ostile di un consiglio regionale che aveva mal tollerato le pesanti critiche avanzate del segretario Nazionale della FIMMG Silvestro Scotti sulle modalità con cui la Lombardia aveva gestito l’epidemia arrivando fino ad accusarla di avere mandato allo sbando i MMG perché totalmente privi di mezzi di protezioni e di direttive operative. Troppo facile e ingiusto rispondere che un libero professionista dovrebbe provvedere autonomamente a dotarsi degli strumenti necessari allo svolgimento della propria attività professionale. E questo perchè in realtà i MMG hanno uno status che non è equiparabile tout court a quello del libero professionista; altrettanto scontato tuttavia il fatto che, in presenza di ridotte dotazioni di mezzi di DPI come mascherine, camici monouso e visiere, la preferenza sia stata data al personale ospedaliero potenzialmente più esposto al contagio.

Una scelta, purtroppo, dimostratosi catastrofica considerato che circa la metà dei 130 medici morti in servizio appartengono proprio ai MMG.

 

Entrando nel merito della risoluzione regionale

Aldilà delle polemiche strumentali non c’è dubbio che la risoluzione della giunta della regione Lombardia solleva un problema ben presente nel dibattito sulla funzione delle cure primarie, sulla necessità di un loro potenziamento e sul ruolo che, oggi, devono svolgere nella gestione sanitaria della fase 2. Da evitare in modo assoluto sono infatti gli errori finora commessi dalla stessa regione Lombardia che aveva concentrato gran parte degli interventi sanitari negli ospedali, trasformatisi, purtroppo, in mancanza di appropriate procedure di isolamento degli infettati, in luoghi privilegiati per diffusione del contagio. Questo ci insegna la triste vicenda dell’presidio ospedaliero di Alzano nel bergamasco e quella ancora più delle RSA contaminate dall’improvvido trasferimento in esse di pazienti COVID.

Rispondere in modo efficace alla fase 2 comporta un ripensamento dell’organizzazione complessiva dei servizi territoriali di cui parte importante, ma non esclusiva, come si ostina a ripetere per motivi corporativi la FIMMG, sono i medici di famiglia. A patto tuttavia che tali soggetti siano integrati, una volta per tutte, con gli altri servizi territoriali e non vengano più impiegati come battitori liberi o smistatori di pazienti verso i servizi ospedalieri. E questo è ancora più vero ora che, con l’uscita dal lockdown, è indispensabile un controllo domiciliare di eventuali contagiati di ritorno e una valutazione di dettaglio delle imprese che riaprono e che devono essere in grado di garantire quelli standard di sicurezza che non mettano a repentaglio la salute dei lavoratori impiegati. Una valutazione che deve ovviamente coinvolgere una serie di soggetti presenti nel territorio di competenza.

Come potrebbe dunque configurarsi un servizio in grado di rispondere a tali nuove e incombenti necessità?

Queste a mio giudizio le direttive di riorganizzazione territoriale della risposata sanitaria alla fase 2

 

La risposta sanitaria territoriale integrata per la fase 2

Ricordo come già precedentemente ricordato che il ministro Speranza ha proposto 5 direttive per affrontare la fase 2 del contagio, ma nulla ha ancora detto su come integrare gli ospedali COVID (che sono stati definiti in tutte le regioni) con quelle equipes territoriali USCAR, che dovranno assistere i pazienti e con i Medici di famiglia dei singoli pazienti. Nessuna indicazione è stata poi data sul ruolo dei servizi di prevenzione e di medicina del lavoro che, invece, dovrebbero giocare un ruolo fondamentale nella fase di autorizzazione alla ripresa delle attività produttive e di verifica dei requisiti

Ancora una volta si corre il rischio che, senza precise indicazioni a prevalere sia la frammentarietà degli interventi. Sarebbe invece fondamentale immaginare un centro unico di coordinamento tra questi diversi soggetti, tra i diversi momenti della cura dei pazienti (dall’ospedale al territorio o viceversa) e il controllo sanitario delle attività produttive in corso di riavvio

 

La necessità di un’intesa programmatica unica ed unitaria a livello di Ministero salute e di un contratto unico di filiera

Con Saverio Proia abbiamo proposto che per risolvere tali problematiche, sarebbe necessaria una intesa programmatica unica ed unitaria, concordata, condivisa e concertata sottoscritta con le OO.SS. e le Regioni, da sviluppare nella sede del Ministero della Salute, con il supporto di ARAN e SISAC, nella quale concordare ruoli e competenze professionali sulla base della convergenza delle normative previste dai vigenti CCNL del personale dipendente del SSN  e dagli ACN del personale a convenzione (Medici di famiglia e specialisti ambulatoriali): una vera e propria Intesa tra Ministero della salute, Regioni e Sindacati per la gestione uniforme delle USCA sul territorio nazionale e della loro integrazione con MMG e personale dipendente; se questo non fosse possibile a livello nazionale comunque dovrebbe essere previsto un analogo  accordo a livello regionale

Dovrebbe essere questa la metodologia da adottare anche per il futuro rinnovo di contratti e convenzioni cioè un’intesa propedeutica per concordare, insieme, quali strumenti adottare per realizzare le scelte indicate dal Patto per la Salute e dai conseguenti Programmi attuativi.

Ancora meglio se poi, alla prossima tornata contrattuale, si riuscisse ad unificare tutti i contratti e convenzioni presenti tra il personale del SSN in un unico grande accordo di filiera contrattuale, articolato nelle necessarie specificità, ma in una logica unitaria, unificante ed armonica

Il distretto al centro del processo di riorganizzazione

Entrando nel merito della proposta di organizzazione territoriale della fase 2  la parte pubblica dovrebbe mettere a disposizione per tutti i professionisti delle cure primarie  le strutture fisiche dove organizzare il servizio e i protocolli operativi per la gestione assistenziale dei pazienti domiciliari, i device necessari alla telemedicina (una dei 5 punti della piattaforma del Ministro Speranza), la piattaforma informatica con relativo personale tecnico, il personale infermieristico e quello delle altre professioni sanitarie necessario al sevizio domiciliare e alla gestione dei dati sanitari. In tale modello un ruolo altrettanto importante svolgerebbero i medici del lavoro sia pubblici che quelli privati consulenti dell’impresa e gli stessi rappresentanti della sicurezza RLS a cui il governo sembra volere affidare il compito di certificare l’idoneità delle aziende alla ripresa delle attività produttive a condizione che queste siano provviste di idonei standard di sicurezza 

Un tale sistema avrebbe due caratteristiche fondamentali: una operatività altamente decentrata a livello territoriale, con il Distretto quale sede naturale di indirizzo e coordinamento sia delle strutture territoriali che dello stesso Covid Hospital; una direzionalità di tipo accentrato per quanto riguarda la gestione dei dati, il monitoraggio dei pazienti e il loro tracciamento attraverso l’App “Immuni” scelta dal governo per la precoce identificazione dei contatti di soggetti positivi

I medici del lavoro e i responsabili della sicurezza dei lavoratori

In tale sistema i medici del lavoro e gli RSL dovrebbero poi svolgere il ruolo di vere sentinelle delle condizioni sanitarie delle aziende per impedire che le misure di controllo della diffusione del contagio vengano disattese nelle piccole aziende con pochi addetti o in quelle tradizionalmente meno controllate.

In questo contesto la valorizzazione del MMG avverrebbe non in sostituzione degli altri operatori del distretto, come si ostina a proporre la FIMMG, ma in integrazione agli altri operatori secondo piani di intervento di filiera in cui declinare, finalmente, in modo unitario prevenzione, cura e controllo sanitario 

Conclusioni

Il nostro paese, forse più degli altri è chiamato ad affrontare un’emergenza senza precedenti in cui alla crisi sanitaria farà seguito una crisi economica altrettanto drammatica. C’è un tempo per le critiche, giuste e doverose, specie se finalizzate a non ripetere errori e inadempienze del passato; c’è tuttavia anche il tempo delle proposte, in cui anteporre l’interesse collettivo a quello di categoria. Urge una riforma delle cure primarie per affrontare in modo efficiente la fase 2 dell’epidemia e la stessa ripresa delle attività che un ritorno di fiamma dei contagi comprometterebbe in modo drammatico

Gli operatori della sanità hanno svolto un compito importante nella fase di cura e assistenza ai malati e un ruolo altrettanto importante possono svolgere nei prossimi mesi, in cui è prevedibile la presenza di uno sciame epidemico a bassa intensità. Come unica condizione di riuscita, quella di accettare un’organizzazione del lavoro unitaria, integrata e coordinata.

Roberto Polillo

 

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