Sul Il diario del lavoro, Fabrizio Cicchitto risponde all’articolo di Giuliano Cazzola nel quale aveva ricordato lo storico dirigente delle Cgil Fernando Santi.
Caro Giuliano,
a conclusione della tua bellissima commemorazione di Fernando Santi affermi che per ragioni di età non lo hai ben conosciuto. Permetti a me che invece essendo purtroppo più vecchio di te non solo l’ho conosciuto, ma ho avuto con lui dall’inizio degli anni ’60 fino alla sua morte il rapporto politico e personale che un figlio può avere con il padre di aggiungere qualcosa prima sul piano politico e poi su quello personale e umano.
Sul piano politico è andata proprio come tu hai scritto: Fernando Santi è stato l’ultimo grande esponente del riformismo padano, di quella tradizione aveva tutto, cultura, posizioni politiche e anche l’aspetto fisico. Non sopportava estremismi e massimalismi, ma nemmeno la subalternità del Nenni di allora (’64-’68) alla DC di Moro e di Rumor e tanto meno l’appiattimento della sinistra PSI poi PSIUP (Vecchietti, Valori, Lami) prima al PCUS e poi al PCI. Come leader della corrente sindacale socialista della CGIL non ebbe vita facile perché dovette condurre una battaglia su due fronti stando in minoranza in entrambi: in minoranza nel PSI per contestare la deriva moderata di quel centro-sinistra, in minoranza nella CGIL per contestare lo strumentalismo della corrente comunista, per non parlare degli psiuppini, contro il governo.
Non fu una partita facile, ma la CGIL di allora – e qui veniamo anche ad alcune considerazioni personali – era una scuola politica di altissimo livello: nel direttivo della CGIL si confrontavano autentici giganti come Lama, Trentin, Garavini, Romagnoli, Vittorio Foa e i socialisti Santi, Didò, Piero Boni. Io arrivai all’ufficio studi della CGIL quasi per caso, avevo fatto politica nell’UGI e poi nel Movimento Giovanile Socialista. Una volta laureto volevo specializzarmi in economia alla London School of Economics. Per arrivarci però bisognava conoscere l’econometria. Per imparare econometria bisognava fare il corso SVIMEZ. Per arrivare alla SVIMEZ bisognava essere designato da un ente o da un sindacato.
Così colsi al volo un suggerimento di Claudio Signorile allora segretario della FGSI: “Santi sta cercando un giovane socialista per l’ufficio studi della CGIL, perché non ci vai?”. Ci andai e cambiai tutti i miei programmi. Santi prima mi prese in simpatia, poi mi fece diventare il suo consigliere politico e il suo ghost writer per le cose economiche.
Come dici tu Santi era un grande oratore, ma non improvvisava mai, scriveva tutto e poi leggeva in modo tale che sembrava inventasse sul momento. Quasi quotidianamente lo andavo a trovare a casa sua, un piccolo appartamento a Parioli. Lavoravamo in cucina, mentre sua moglie ci portava i tortellini e suo figlio Paolo, giovane comunista ultra amendoliano, ci sfotteva in modo affettuoso. Io spesso portavo testi già scritti che Santi rivoltava come un calzino. Alla fine di un lavoro assai serrato io mi mettevo alla lettera 22 e Santi dettava: mi faceva mettere fra parentesi anche gli effetti previsti – risate, applausi, contestazioni – e non sbagliava mai.
Poi hai ragione tu, al suo discorso di commiato tutti battevano le mani in piedi fino all’ovazione finale che non finiva mai, molti piangevano, il sottoscritto singhiozzava in un angolo, ma, come dire, si trattava della politica di alcuni secoli fa. Fortuna che l’abbiamo vissuta.
Fabrizio Cicchitto