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Home - Approfondimenti - Analisi - Sinistra e immigrazione, una riflessione

Sinistra e immigrazione, una riflessione

22 Luglio 2019
in Analisi
Sinistra e immigrazione, una riflessione

Un uomo sta affogando in mare. Vicino una donna e un bambino stanno seguendo la stessa sorte. Marinai su una imbarcazione in transito nelle vicinanze chiedono al loro capitano cosa fare. Il comandante è di fronte a due alternative: la legge prima, quella dell’empatia, lo spinge a prodigarsi per salvare gli sventurati, – la legge prima, quella che lo distingue dagli animali e lo fa essere umano, – la legge seconda, quella del suo paese, gli impone di chiedere ai malcapitati la loro cittadinanza.

Se italiani, o europei o nord americani, potrà agire senza conseguenze e sbarcare i malcapitati nel porto sicuro più vicino. Se invece, mentre affogano, dichiarano generalità diverse, extracomunitarie appunto, allora il capitano sa che, presentandosi nel porto sicuro più vicino, sarà dichiarato perseguibile penalmente, potrà essere arrestato, la sua imbarcazione sequestrata, e sottoposto a una multa che lo può mandare in rovina. Una alternativa insensata ma tale è la situazione creata dalle disposizioni legislative del diritto italiano. E dalla applicazione che ne fa il ministro degli interni Salvini.

Poiché alcuni organizzano imbarcazioni per il soccorso in mare invocando le disposizioni internazionali in merito, la leader di Fratelli D’Italia Giorgia Meloni si è spinta ad affermare pubblicamente che tale diritto internazionale si applica solo a coloro che “casualmente” si imbattono in un evento di naufragio.

Tale legge, secondo la stessa, non prevede il diritto di organizzare il soccorso in mare, configurandosi esso come caratterizzato da finalità politiche. Con ciò la Meloni ha implicitamente ed esplicitamente ammesso che lasciar morire in mare i naufraghi fa parte della politica di dissuasione verso l’immigrazione perseguita dallo stato italiano. È inutile nascondersi che tale politica gode della approvazione e trova consenso anche in strati larghi della popolazione.

Sorge spontanea la domanda. Come è potuto accadere che nel paese che ha al suo centro la capitale della cristianità, con un Papa che si appella alla protezione degli ultimi ogni volta che parla, un paese che ha visto il più grande partito Comunista di occidente, portatore di una ideologia di uguaglianza fra gli uomini, le cose siano precipitate fino al punto da rendere accettabile a masse di popolo la violazione sistematica del più primitivo dei sentimenti umani.

Non crediamo sia azzardato affermare che tali leggi siano peggiori delle leggi razziali del 1938/39. Tali leggi stabilivano discriminazioni economiche, spoliazioni di beni, limitazioni di diritti economici e civili in base alla razza. Anche se in seguito la tragedia si è spinta ben oltre. Oggi è l’essere povero, ultimo e disperato, la condizione per entrare in un circuito infernale a partire dalla negazione del diritto al salvataggio in mare.

La sinistra appare totalmente sopraffatta dalla iniziativa della destra in materia. Iniziativa che alza continuamente la posta, con successo di consenso anche nel suo “campo”.

Alcuni pensano che la deriva culturale, la regressione, una specie di ignoranza di massa, lo sdoganamento di pulsioni primitive ed aggressive agevolato dai nuovi Media e Social aperti dall’Infosfera, abbiano creato un terreno fertile alla strumentalizzazione politica. Ma così non si spiega in realtà nulla. Basterebbe, per fronteggiare la vandea, se così fosse, l’apertura di circoli culturali, che, a loro volta risulterebbero per di più pleonastici vista la delegittimazione di massa della cultura, delle competenze e del sapere oggi presente.

In ogni epoca gli esseri umani hanno saputo dare il meglio di sé o il loro peggio più terrifico. Individualmente un essere umano in condizioni di sicurezza tende a far prevalere i suoi aspetti cooperativi e altruistici.

Collettivamente la storia ha insegnato che in ogni epoca di crisi sociale gli uomini sono inclini a cercare il capro espiatorio, cioè qualcuno, singolo o collettivo, sul quale scaricare la aggressività che consegue al sentirsi insicuri o in pericolo

In ogni epoca gli umani si sono combattuti volentieri e con ferocia o hanno collaborato proficuamente.  La Germania o l’Italia che diedero vita al nazismo e al fascismo avevano al contempo prodotto fior di intellettuali e scienziati fra i primi al mondo.

Dunque, è nella politica che vanno cercate le cause e le risposte. E solo dalla politica potrà venire una via di uscita. Ma tale via non sarà possibile delinearla e perseguirla se non si ridefiniscono in modo netto alcuni concetti che possano contrapporsi al gioco di sempre delle classi privilegiate, dei ricchi:

  • mettere le classi subalterne in contrapposizione riuscendo a portarle a sé, proponendosi come paladini di ordine e identità.

Il paradosso infatti a cui assistiamo può essere cosi schematizzato: il padronato italiano lucra sull’immigrazione in senso economico, Salvini lucra sulla immigrazione in senso politico.

Non esiste un proletariato tanto povero da non avere una nazione diceva H. Kelsen.

Il primo punto da cui partire è il fatto che la società prodotta dalla ideologia liberista è tremendamente insicura e precaria per masse sempre più sterminate di popolazione.

Dipendente o lavoratore autonomo, partita IVA o libera professione, rider o piastrellista, imbianchino o muratore, bracciante o stalliere, ad esclusione insomma di ristrette categorie sociali altamente professionalizzate, tutte le figure sociali vivono l’immigrazione come un pericolo reale per il prezzo al quale potranno vendere la loro prestazione.

Marx aveva coniato la figura, il concetto di Esercito industriale di riserva. Una massa cioè che il padronato trasforma volta a volta in una formidabile forza di pressione – un maglio gigantesco – per squilibrare a suo vantaggio il rapporto di forza tra Capitale e Lavoro.

Questo aspetto insito in ogni fenomeno migratorio, il ruolo cioè del padronato, è letteralmente scomparso in questi tempi dal confronto politico sulle politiche migratorie: si chiede la flotta per bloccare le partenze ma mai ispezioni di controllo sui salari da fame o sulle indegne condizioni abitative che segnano cosi frequentemente la condizione della popolazione immigrata.  Aver trascurato, se non abbandonato, tale concetto da parte della Sinistra, ha portato e porta ad una serie di enormi conseguenze politiche e sociali.

Nell’immediato, sicuramente, ha portato a facilitare lo spostamento di tutta la questione immigrazione sul tema della sicurezza cioè su un terreno in cui tra la sinistra e la sua base sociale la rottura politica può realizzarsi molto più agevolmente; l’insidiosità e la presa della parola d’ordine “prima gli italiani” su una parte di popolo sta lì a dimostrarlo. In una prospettiva più l’effetto è persino più negativo, proprio perché impedisce di pensare e formulare una politica di protezione, uguaglianza e sicurezza sociale in grado di sostenere l’offensiva della Destra.

Il secondo punto da ridefinire è il significato di Confine. La sinistra appare come la Forza che trascura il Confine. La cultura umanista e quella cattolica finiscono per essere percepite come culture indifferenti al Confine e quindi incapaci di una strategia di protezione delle proprie basi sociali, una strategia di protezione in grado di affrontare la questione di fondo, l’asimmetria cioè tra la piena libertà di movimento dei capitali e la territorialità della forza-lavoro.

La questione del controllo dei movimenti dei capitali rappresenta la questione politica centrale.

Il fatto è che al mondo non è mai esistita fino ad ora una società senza confini. Né una sua traduzione statuale e territoriale. La destra cavalca in maniera spregiudicata il tema del Confine. Ma il tema esiste, ha una sua pregnanza e non è una arma spuntata. L’errore della Destra non è rivendicare il confine ma il dove il confine va collocato. Sé la dimensione della immigrazione è continentale, – l’Africa che invade l’Europa secondo lo slogan della Destra, – come viene paventato, allora il confine va rivendicato alla dimensione continentale. Non dando l’impressione di negare il Confine ma rivendicando al contrario il Confine europeo, ministro degli interni, della difesa, dei processi di accoglienza e integrazione, europei.

Lo stesso ragionamento subalterno sulla ricollocazione di chi arriva secondo lotti di spartizione alimenta solo i conflitti infra-europei. Va detto con chiarezza – fra l’altro -che le principali nazioni europee hanno più immigrati di noi e dunque non ci capiranno mai.

La questione immigrazione può aiutare la sinistra europea e italiana ad uscire dalle ambiguità sulla costruzione europea. Non è più rinviabile una presa di posizione chiara sul fatto che si deve procedere all’integrazione europea, verso uno stato federale con chi ci sta.  Prima un nucleo duro e altamente integrato europeo e poi una politica verso quello che rimane dei 28 paesi. L’alternativa è la paralisi e la vittoria finale dei sovranismi.

Le ONG svolgono una attività di supplenza alla mancata costruzione dello Stato federale europeo e alla deriva disumana presa dal diritto per il controllo della immigrazione; sono oggettivamente una patologia che consegue alla mancanza di un livello statuale adeguato e di una sua politica dei confini.

Solo una politica dei confini e del mare condotta da uno stato europeo porrà fine alla loro realtà. Va separato nettamente il diritto ad essere salvati dal naufragio dal diritto di immigrazione nella percezione di massa.

La sinistra viene identificata in massa come quella che difende il diritto all’ immigrazione. Il diritto all’immigrazione però non esiste. Semmai esiste il diritto a rimanere a casa propria senza che in nome della democrazia qualcuno venga a bombardarti.

La negazione del diritto all’immigrazione permette di definirla come un fenomeno reale da affrontare con politiche appropriate. Un immigrato può essere rimpatriato oppure può essere integrato con le necessarie politiche di supporto. Qui c’è certamente anche un fatto culturale che va affrontato.

Cosa significa multiculturalismo con strati di immigrazione portatori di una cultura pre-illuminista? La difesa delle conquiste civili e politiche e religiose costate tanto sudore e sangue deve essere qualcosa che gli strati popolari devono sentire nella volontà della sinistra. Non si può apparire come difensori a prescindere del multiculturalismo.

Sull’immigrazione poi andrebbe fatto un altro discorso:

  • salvo chi scappa dalle guerre (generate dalle politiche insensate dell’occidente), il grosso che proviene dal nord Africa e dal sub Sahara non è fatto dai più poveri (questi emigrano quando gli va bene nei paesi limitrofi al loro), ma dalle famiglie che possono permettersi dai 5.000 dollari (come minimo) in su per approdare in Italia, Grecia e via per l’Europa. Chi sono questi giovani (uomini e donne): sono tra le persone più curiose e intraprendenti (provviste quasi tutte di scolarità) e come si sa l’intraprendenza può manifestarsi sia sul versante positivo (facilità nell’integrazione nel nostro tessuto produttivo e sociale) sia sul versante negativo, andando ad ingrossare le sacche di emarginazione e di delinquenza. Vedi al proposito tutta la nostra emigrazione dell’inizio dello scorso secolo negli USA.
  • Perché non pensare ad un grande “piano Marshall” dell’Europa con l’Africa (ovvero dei paesi rivieraschi come l’Italia, la Francia, la Spagna, la Grecia), che porti a definire per intanto due priorità – la 1° scuole di formazione professionale nei vari paesi da dove partono i giovani in cerca di migliori condizioni di vita e di lavoro, prestando loro i nostri docenti – 2° partenze mirate alla accoglienza nei nostri paesi.
  • Il sogno – è vano pensare di negare alle persone di raggiungere i loro sogni – lo sanno benissimo quello a cui vanno incontro quando partono dal loro paese per venire in Italia, in Europa. Attraverso gli smartphone sanno benissimo cosa li aspetta nel traversare il deserto, la Libia con gli aguzzini, i barconi, e un eccetera maledetto. Eppure, partono lo stesso e continueranno a farlo: è l’inseguimento dei loro sogni. E non erano altrettanto sogni quello che ha fatto sì che milioni di nostri connazionali si spostassero dalle loro case del sud, dal Veneto, e dai mille borghi italiani nel secolo scorso per andare nelle Americhe, in Australia, in Germania, in Svizzera, nel nord Italia, ecc.

Anche sulla politica internazionale la sinistra appare, con il suo atlantismo, difeso in modo quasi caricaturale, in rottura con percezioni diffuse fra gli strati popolari. La lezione delle guerre mediorientali ha inciso indelebilmente sulla memoria collettiva.

Non sfugge a nessuno che i due stati in Medio Oriente dove maggiore era l’integrazione fra cattolici e mussulmani, l’Iraq e la Siria, sono stati destabilizzati e bombardati dall’occidente. Che dire inoltre della Libia? E della parte sud Sahara a forte presenza francese? Quando si afferma che il caos libico è frutto della politica dissennata dell’occidente molti condividono.

Una sinistra schiacciata sul “noi siamo l’occidente” non aiuta sé stessa e non viene capita da strati popolari che vedono e rischio le loro sicurezze. Oggi l’Occidente ha assunto le fattezze di Trump, che invita l’Inghilterra – mentre offre in cambio la costituzione di una Koinè anglosassone – persino a non pagare i suoi debiti verso l’Europa. Lo Stato federale europeo decollerà solo vincendo la sfida contro la volontà di potenza degli Stati Uniti.

Quando la destra dice che la immigrazione è un fenomeno pompato, un complotto, da quelli come Soros che fanno i liberal ma in realtà vogliono arricchirsi sfruttando manodopera a basso costo e vogliono società destrutturate per fare meglio i loro affari, dice qualcosa che è condiviso da chi sente il morso della concorrenza del suo prezzo con colui che, spinto dalla sua peggiore condizione di partenza, e pronto ad abbassare il suo.

La destra riesce nel “capolavoro” di difendere i ricchi, destrutturare le sicurezze ultime rimaste degli strati popolari, aumentare le disuguaglianze, aumentare la insicurezza sociale, e al contempo raccogliere un consenso quasi plebiscitario nel popolo che lavora. 

Spesso anche a sinistra si sente dire che la nostra società ha bisogno di immigrati e che ci sono lavori che gli italiani non vogliono fare. Sostenere che servono lavoratori immigrati in presenza di disoccupati ed emigranti italiani, significa dire che siccome gli italiani non vogliono lavorare a salari da terzo mondo, importiamo chi è costretto a farlo, privandolo di ogni diritto, persino dei documenti, per essere certi della sua subordinazione, perché una volta arrivato, potrebbe anche cambiare idea!

La verità di queste affermazioni è possibile stabilirla solo dopo che si è stabilito il valore della forza lavoro. È il valore, e la sua stabilità nel tempo, (con il conseguente ruolo sociale che ne consegue) che determina se fare lo stalliere o raccogliere frutta può piacere a no a un italiano.

Ed è il valore che riconosciamo al lavoro che determina, stabilito il capitale necessario per attrezzature e altri beni produttivi, se ha senso l’attività produttiva che si intende intraprendere. Quando si dice a un bracciante siciliano o pugliese che servono braccianti neri per raccogliere pomodori, gli si dice che lui è disoccupato e senza futuro perché non vuole andare a lavorare senza diritti per due o tre euro l’ora. Prezzo che puoi riconoscere a una forza lavoro che non a caso lavora come uno schiavo e vive in baraccopoli.

Sostenere che servono lavoratori immigrati in presenza di una emigrazione di tanti giovani italiani (secondo noi la vera emergenza del momento attuale, altro che gli sbarchi), significa occultare il vero problema: i bassi salari in Italia.

La crisi della capacità della sinistra e delle organizzazioni sociali e sindacali ad essa riconducibile di organizzare e rappresentare il lavoro e di stabilirne il valore ha aperto la stura a una competizione forsennata fra lavoratori dove l’immigrato, il più disperato, toglie a causa del prezzo del suo lavoro che è costretto ad accettare, effettivamente il lavoro a un italiano.

La vera questione che sia la sinistra politica che la sinistra sociale hanno di fronte, si chiama Armata Industriale di Riserva, la sua entità, la sua dinamica, la sua territorializzazione. Tale armata oggi è il frutto del congiungersi in definitiva di due processi: il primo, – un’area crescente di lavoro precario – che scaturisce dal connubio rivoluzione informatica e crisi del 2007, il secondo, l’immigrazione, la cui entità è provocata dai movimenti migratori innescati dalla liberalizzazione e mondializzazione dei mercati e da tutto quello che tali movimenti portano con sé.

Controllo dei movimenti dei capitali e Salario minimo orario sono, meglio ancora, dovrebbero essere i due termini di un unico discorso strategico, due termini su cui far camminare una controffensiva politica e sociale. Pena il fatto di una etnicizzazione e corporativizzazione dello stesso conflitto sociale, di una sua degradazione a guerra tra poveri.

Guerre chiaramente di sopravvivenza: da una parte il corporativismo della aristocrazia operaia dall’altra il plebeismo delle rivolte alla Masaniello.

L’immigrazione rimanda quindi, oltre che ai diritti umani, al diritto del lavoro, di cui il salario minimo rappresenta il primo articolo. Ma vale lo stesso concetto per il lavoro precario, tutte le attività occasionali, per i cosiddetti lavoretti, nessuno dei quali è in grado di alimentare uno “spirito di categoria”. Spesso persino l’appartenenza al mondo del lavoro è misconosciuta o vissuta in termini negativi.

La necessità di introdurre un Salario Minimo Orario ha diverse motivazioni, a partire da quella più elementare: l’assenza di efficacia, in termini di copertura contrattuale, di una platea larga ed in crescita di lavoratori – si parla oggi di quattro/cinque milioni lavoratori – pur in presenza di centinaia di contratti di categoria, che, sulla carta, non lasciano fuori nessuna forma di attività.

Evidentemente la questione dell’inefficacia rimanda a ragioni più profonde, che riguardano la struttura produttiva, la struttura sociale, la stessa struttura contrattuale. E le loro trasformazioni nel tempo.

La struttura produttiva ha visto la quasi scomparsa di grandi imprese ed il loro effetto di trascinamento sull’intera struttura produttiva: la struttura produttiva è segnata oggi dalla presenza dominante di piccole e piccolissime imprese che sempre meno – tralasciando per un momento il peso della rivoluzione informatica – riescono a trasmettere una “identità di categoria”.

La struttura lavorativa e sociale corrispondente. La diffusione dilagante del lavoro precario, il passaggio sempre più frequente da un lavoretto ad un altro, tutto produce fuorché un senso di appartenenza categoriale: spesso tale struttura occupativa, a malapena, riesce a produrre un senso di appartenenza individuale allo stesso “esercito del lavoro”. Che dire poi del fatto che passando da un lavoretto ad un altro (a fare delle “carabattole”), alla fine della fiera abbiamo un lavoratore che nulla ha imparato dalle sue continue prestazioni e quindi un mancato “sfruttamento” delle sue potenzialità intellettive (vedi Norbert Wiener che già nel 1949 denunciava il fatto che “nelle moderne manifatture la capacità cerebrale fosse sfruttata per un milionesimo”).

La stessa struttura contrattuale è cambiata: La novità riguarda l’introduzione generalizzata del fondo nazionale di previdenza integrativa di categoria, l’introduzione generalizzata del fondo nazionale di sanità integrativa di categoria, la contrattazione aziendale con al centro il cosiddetto Welfare aziendale, spesso esentasse. Per come si è rimodellata in questi anni la struttura produttiva, tali novità contrattuali sono destinate a sequestrare gran parte delle risorse contrattuali, nazionali e di azienda e a relegare pour cause al di fuori del loro raggio di azione, la gran parte del lavoro precario.

Il salario minimo, nel contesto attuale è quindi un prisma strategico a molte facce. Nella sua essenza, rimanda a due questioni essenziali: nell’immediato all’esercito industriale di riserva e a come contrastarlo e depotenzialo come arma di pressione, nella prospettiva alla stessa confederalità del Sindacato.

A meno appunto di lasciare il tema a Salvini e ai…Gilets Gialli.

È il diritto del lavoro, la sua inefficacia e la sua ingiustizia di fatto che determinano l’arrivo di popolazione immigrata. È il prezzo della forza lavoro che ne determina gli spostamenti. E trascina con sé i ricongiungimenti parentali e la loro espansione. Se Immigrazione Precarizzazione Diritto del lavoro diventa per la sinistra sociale e politica termini inscindibili allora qualche speranza di ritornare ad avere il consenso di chi lavora non sarà infondata. Diversamente il lavoratore iscritto alla CGIL e che prima votava a sinistra e oggi vota Salvini (non semplicemente Lega; secondo stime uno su due) finirà ovviamente, per chiedere gruppi dirigenti sindacali in sintonia con le sue opinioni politiche. Senza un riarmo politico del sindacato confederale, della stessa CGIL – è solo questione di tempo.  Il passo è breve.

Di Luigi Agostini, Marcello Malerba, Gianni Marchetto

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