Mai come in queste ore la solidità del governo giallo-verde sembra essere messa sotto sforzo e vacillare. Una maggioranza spaccata tra chi, come la Lega, vuole prendere il treno dell’alta velocità, e chi, come i colleghi dei 5 Stelle, vogliono perderlo. C’è difficoltà nel trovare una quadra, nel fare la sintesi tra due posizioni apparentemente inconciliabili. La Tav è il simbolo di una contesa politica tra Di Maio e Salvini, che si giocano non solo la leadership all’interno dei rispettivi schieramenti, ma anche l’egemonia sulla politica nazionale.
Se dunque il fine settimana ci restituisce una maggioranza traballante, come forse non lo era mai stata dall’avvio della legislatura, l’inizio era stato caratterizzato da un grande entusiasmo per la manifestazione di Milano del 2 marzo, e per le primarie del Pd del giorno successivo. La vicinanza dei due eventi ha riacceso la speranza che esista una strada alternativa alla pericolosa deriva che ha preso il nostro paese, che un’Italia diversa sia ancora possibile. Sul versante strettamente politico, la grande affluenza alle primarie del Pd ha fatto capire che il partito non è morto. Certo non gode di ottima salute, e soprattutto non ha risolto tutti i suoi problemi. Ma i sintomi del paziente fanno ben sperare.
Il difficile per il neoeletto segretario Nicola Zingaretti arriva ora. Costruire un’alternativa credibile alle ricette giallo-verdi, capace di radunare e riordinare quelle diverse parti, sociali e politiche, che esprimono la propria avversione all’attuale maggioranza. All’indomani della vittoria, Zingaretti si è recato a Torino per esprimere la posizione del Pd in merito alla necessità di portare a compimento la Tav. Ma immaginiamo, con un gioco puramente teorico, che il futuro segretario del Pd avesse confessato alla piazza di Milano che una delle sue prime azioni sarebbe stata quella di appoggiare l’opera. Avrebbe forse avuto il sostegno della maggioranza delle 250mila persone di Milano? Probabilmente no. Certo la posizione del Pd in merito alla Tav non è un mistero, e sicuramente non c’era bisogno di Zingaretti per esplicitarla.
La sfida più grande che attende il Pd e l’altra Italia che non si riconosce nei valori della maggioranza sta proprio nel trovare una sintesi e un punto in comune. Se infatti il Partito Democratico non riuscirà ad essere il catalizzatore del sentimento espresso dalla piazza di Milano, o di quello di altre piazze, difficilmente, almeno nel breve periodo, riusciremo a vedere una compagine politica diversa. È il vecchio dilemma calcistico tra chi apprezza le squadre che esprimono un bel gioco, anche se deficitarie nei risultati, e chi invece considera la vittoria l’unico fine al quale aspirare. Certo l’ideale sarebbe quello di coniugare un’azione politica contraddistinta dalla bellezza e dall’eleganza, e che sia anche efficace. Ma, tuttavia, le due vie difficilmente confluiscono in percorso comune.
In questi mesi la politica grillino-leghista è stata, almeno sul versante del consenso, maledettamente efficace. E se le ultime settimana hanno indebolito e lacerato le energie dei 5 Stelle, anche a causa dei disastrosi risultati delle regionali, lo stesso non si può dire per il leader leghista. Certo, una buona parte della sua leadership e della sua credibilità politica si giocheranno su quello che sarà l’esito della grana Tav, ma è fuor di dubbio che in questo momento basta un solo cenno del capitano Salvini per radunare i fedelissimi e tutto il suo elettorato. Si può dire lo stesso per il Pd e Zingaretti? La risposta è no, almeno non ancora.
Lo scarto tra le due sponde sta proprio in questo. In molti ripetono che ben presto gli italiani si accorgeranno dell’inconsistenza politica di Salvini e Di Maio, ponendo così fine alla luna di miele con l’elettorato. Ma le false promesse sono un terreno pericoloso, un pantano dal quale si fa fatica a uscire o dal qual non si vuole proprio venir via, se abbellito dall’immagine di un paese più forte e sicuro, nel quale a tutti si può dare tutto quello che desiderano.
Ciò che si chiede e si spera è che l’altra Italia riesca a trovare un filo rosso comune che possa unirla e farla camminare nella stessa direzione. Un retroterra culturale e politico che abbia la forza di esprimere una maggioranza, nel momento in cui saremo richiamati alle urne. L’idea di unirsi contro un nemico comune alla lunga non paga, se poi non si è capaci di trovare una sintesi. Se tutto questo non dovesse verificarsi, ciò che ci resterà sarà solo l’immagine di piazze belle e speranzose, ma incompiute.
Tommaso Nutarelli