Orientare la gestione degli scarti della produzione e del consumo ad un maggior recupero di materia perchè possano divenire sempre di più una risorsa utile per l’apparato produttivo: è questo l’obiettivo che sovrintende la riforma delle direttive europee in tema di economia circolare, recentemente approvata in via definitiva dal Parlamento Europeo. In essa sono contenute misure finalizzate a trasformare l’apparato produttivo europeo in un’economia di tipo circolare a favore di una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva. Si passa pertanto dal concetto di discarica, come sistema prevalente di gestione dei rifiuti e degli scarti produttivi, alla priorità del riciclo. L’obiettivo è fare in modo che i prodotti a fine vita possano rientrare nel circuito del consumo, attraverso la preparazione al riutilizzo, oppure, per effetto del riciclo, possano trasformarsi in nuova materia.
La normativa sui rifiuti, insomma, diventa uno dei principali strumenti di sviluppo della green economy, mediante il rafforzamento delle filiere industriali dei materiali, tra le quali occorrerà sviluppare, oltre a quelle più comuni (carta, vetro, plastica, acciaio, alluminio, legno), anche quella dei tessili e dei prodotti di arredamento. Per la prima volta viene anche normata la questione degli sprechi alimentari: la Direttiva adotta una definizione precisa su “spreco alimentare”, che è sinonimo di spreco di risorse, in primis quella idrica, indicando la strategia per combatterlo introducendo standard obbligatori di riduzione degli sprechi che dovranno arrivare al 50%.
Come Cisl auspichiamo un impegno maggiore attraverso il recupero e la raccolta dei pasti che ad esempio restano inutilizzati nelle mense ma anche delle derrate alimentari dei supermercati, a vantaggio dei poveri e dei senza tetto. Eppure non mancano elementi di discontinuità. Il tema del recupero energetico, infatti, rimane sullo sfondo, come un’opzione di gestione secondaria, valevole soltanto per i rifiuti residui: tant’è che è stato rimosso dall’insieme degli obiettivi da raggiungere. Bisognerà affrontare questo aspetto in maniera pià puntale e precisa.
Di sicuro la transizione verso un’economia circolare richiede un cambiamento strutturale, con l’innovazione che è il cardine di tale mutamento. In questo senso, la trasformazione digitale del sistema produttivo e le tecnologie abilitanti di industria 4.0 già oggi presentano delle soluzioni per rendere realizzabili produzioni che siano circolari e quindi più sostenibili. Nello specifico interessanti opportunità potranno presentarsi per il nostro sistema manifatturiero anche dallo sviluppo della simbiosi industriale. Quel processo, cioè, che coinvolge imprese appartenenti ad industrie tradizionalmente separate, che riescono tuttavia a scambiarsi materia, sottoprodotti, energia, acqua, al fine di realizzare vantaggi competitivi tra le stesse, evitando gli sprechi.
Per l’Italia, Paese tradizionalmente povero di materie prime, la possibilità di disporre di maggiore materia riciclata per la sua industria manifatturiera significa ridurre la dipendenza dall’approvvigionamento dall’estero, con conseguente minore vulnerabilità in relazione alla volatilità dei prezzi delle materie prime provenienti da quei Paesi che soffrono di una forte instabilità politica. Non dimentichiamo, poi, che con queste Nuove Direttive Europee si prevedono benefici ambientali significativi, con una riduzione delle emissioni di CO2 stimata in 600 milioni di tonnellate entro il 2035.
Con il nuovo “pacchetto”, approvato dal Parlamento Europeo, sull’economia circolare, dunque, i rifiuti e gli scarti produttivi finalmente si trasformano da problema ad un’opportunità con l’obiettivo di nuovi posti di lavoro. E’ stata prevista, infatti, la possibilità di creare, all’interno dell’Unione Europea, 140mila posti di lavoro diretti, cui se ne potranno aggiungere altri 400mila indiretti, entro il 2030.
Angelo Colombini – segretario confederale Cisl