Giovedì 9 novembre 2018: nella lunga storia dell’Ilva, e nella non lunghissima ma già densa vicenda relativa a AM InvestCo, ovvero alla cordata che si è candidata ad acquisire il gruppo Ilva in amministrazione straordinaria, la giornata di oggi entra come una data da ricordare: quella dell’inizio della trattativa tra azienda e sindacati. O, per meglio dire, quella dell’inizio vero e proprio della trattativa tra la cordata che si è aggiudicata la gara per l’acquisto della stessa Ilva e i sindacati che rappresentano i lavoratori da essa dipendenti.
Ciò non significa, ovviamente, che in tutti gli incontri che, a partire dalla fine del maggio scorso, si sono svolti presso il ministero dello Sviluppo Economico, si sia solo pestata l’acqua nel mortaio. Significa, piuttosto, che tutti questi vari incontri hanno avuto, anche se a titolo diverso, un carattere preliminare. Oggi, invece, la trattativa è entrata nel vivo. E ciò nel senso che, come in ogni trattativa su una crisi industriale, l’Azienda – aggiudicataria, in questo caso – ha esposto ai sindacati il suo piano industriale.
L’incontro, iniziato verso le 10 e mezza, si è concluso poco dopo le 14. E’ durato, insomma, meno di quattro ore. Impossibile, quindi, anche solo pensare che un tempo così circoscritto sia stato sufficiente non si dice per qualche approfondimento, ma anche solo per un’esposizione dettagliata dei piani produttivi elaborati da AM InvestCo Italy, la cordata formata da ArcelorMittal, il colosso franco-indiano dell’acciaio, e dal gruppo italiano Marcegaglia allo scopo di acquisire il gruppo Ilva.
“Siamo ancora alle grandi linee”, ha infatti detto Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl, raggiungendo la pattuglia di cronisti attestata fuori dal Ministero, all’angolo fra via Veneto e via Molise.
Ora il punto è che, tempi relativamente ristretti a parte, AM InvestCo ha svolto davanti ai rappresentanti sindacali solo un’illustrazione orale dei suoi progetti, corredata da qualche slide. I sindacati dei metalmeccanici hanno invece chiesto ai rappresentanti aziendali di avere un testo scritto, che consenta loro di effettuare un esame più meditato di tali progetti.
Ciò chiarito, rimane da dire che, uscendo dal Ministero, i dirigenti dei sindacati dei metalmeccanici si sono mostrati piuttosto scettici sulla congruità dei piani aziendali. “Più ombre che luci”, ha dichiarato Rocco Palombella, segretario generale della Uilm-Uil. Il quale, forte anche dell’esperienza maturata personalmente negli anni in cui ha lavorato come dipendente presso lo stabilimento Ilva di Taranto, ha riscontrato nell’esposizione aziendale alcune “contraddizioni di natura tecnica”.
Prima di riportare i rilievi di Palombella, occorre però spiegare che, stando a quanto è stato riferito dai sindacati, l’Azienda aggiudicataria ha presentato un piano industriale traguardato al 2024. Secondo tale piano, AM InvestCo si propone di produrre in Italia 10 milioni di tonnellate di acciaio a partire, appunto, dal 2024. Fino al 2023, però, la produzione nello stabilimento principale, ovvero in quello di Taranto, dovrebbe essere significativamente più contenuta. I cinque anni che vanno dal 2018 al 2023 dovrebbero infatti costituire lo spazio temporale necessario per pervenire al completo risanamento ambientale; risanamento che dovrebbe comprendere, ovviamente, la complessa operazione di copertura dei famosi parchi minerari che, in questi anni, hanno costituito una delle principali fonti di inquinamento dell’aria.
Da ciò, sempre secondo fonti sindacali, deriverebbe un’attività produttiva ridotta che non consentirebbe all’azienda di far uscire dallo stabilimento tarantino più di 6 milioni di tonnellate annue di acciaio lavorato (8 milioni nel totale nazionale). L’Azienda avrebbe quindi comunicato ai sindacati l’intenzione di tenere in funzione, nei prossimi anni, non più di tre altoforni, mantenendo spento il famoso Afo 5.
Ciò chiarito, veniamo alle critiche sindacali. Secondo Palombella, non è convincente l’idea di tenere in funzione solo tre altoforni, perché ciò comporterebbe il rischio che, qualora fosse necessario effettuare lavori di manutenzione relativi a uno dei tre, ne marcerebbero solo due. Il che non consentirebbe di raggiungere e/o mantenere gli obiettivi produttivi indicati dall’Azienda.
A ciò si aggiunga il fatto che ai sindacati non piace il progetto aziendale di importare inizialmente 4 milioni di tonnellate di bramme di acciaio di origine brasiliana, su cui effettuare in Italia delle seconde lavorazioni. Quattro milioni che dovrebbero ridursi a due solo in un secondo tempo. C’è insomma il timore che l’azienda non punti ad un uso pieno delle potenzialità produttive del sito tarantino.
Infine, i sindacati hanno espresso la sensazione che ci sia qualcosa che non torna nei risvolti occupazionali degli obiettivi produttivi annunciati dall’Azienda. In particolare Francesca Re David, segretaria generale della Fiom, ha osservato che per produrre a regime i 10 milioni annui di tonnellate di acciaio di cui parla AM InvestCo l’occupazione dovrebbe crescere e non diminuire, come recentemente detto dall’Azienda. E ciò sulla base del fatto che, a Taranto, con 14mila addetti (contro i 10mila previsti da AM InvestCo) i 10 milioni di tonnellate annue non sono mai stati neppure sfiorati.
Chiarite le perplessità espresse dai sindacati in questa giornata di esordio della trattativa vera e propria, veniamo adesso agli appuntamenti lungo i quali la trattativa stessa dovrebbe articolarsi nei prossimi giorni.
Martedì 14 nuovo incontro al Mise. In tale data, l’azienda aggiudicataria sarà chiamata a esporre ai sindacati il suo piano di risanamento ambientale, specificamente relativo allo stabilimento di Taranto.
Giovedì 16, invece, sempre al Mise verrà inaugurato un tavolo istituzionale che consentirà di coinvolgere anche i Presidenti delle 5 Regioni variamente interessate alle sorti del gruppo Ilva (Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria e Puglia), oltre ai sindaci di numerosi Comuni.
Ora per capire perché, nella mente del ministro Calenda, titolare del Mise, sia nata l’idea di aggiungere al tavolo della trattativa propriamente detta un parallelo tavolo istituzionale, occorre ricordare che tra i fattori che rendono la vicenda dell’Ilva più complessa di una “normale” crisi industriale c’è il fatto che lo stesso gruppo Ilva, dal gennaio 2015, è un’azienda in amministrazione straordinaria, gestita da tre commissari di nomina governativa. Non è più quindi, per così dire, padrona di se stessa.
Da ciò segue che la trattativa tra l’azienda aggiudicataria della gara per la futura acquisizione del Gruppo e i sindacati rappresentanti dei lavoratori in esso occupati deve seguire i binari fissati dalla legge. Binari che prevedono che a fine percorso, qualora la stessa aggiudicataria intenda ridurre gli organici e/o i trattamenti retributivi dei dipendenti, senza l’assenso sindacale l’aggiudicazione non può trasformarsi in acquisto.
Da questi binari restano dunque esclusi sia le Regioni che i Comuni in cui sono insediati gli stabilimenti coinvolti dalla crisi; Comuni e Regioni che, invece, vengono solitamente chiamati a partecipare alle trattative a guida governativa volte a risolvere una o un’altra crisi industriale.
A tutto ciò va aggiunto che nella vicenda Ilva vi sono due motivi che rendono particolarmente necessario il coinvolgimento, in particolare, di alcune di queste articolazioni della nostra struttura democratica. Da un lato, infatti, sia la Regione Puglia che il Comune di Taranto sono chiamati da precisi obblighi di legge a occuparsi delle condizioni ambientali, e quindi sanitarie, circostanti lo stabilimento di Taranto. Dall’altro, la Regione Liguria e il Comune di Genova sono tra le parti firmatarie dell’accordo di Programma che, all’inizio degli anni 2000, fu stipulato per assicurare un futuro allo stabilimento di Cornigliano, sito nella periferia occidentale di Genova. Alla fine dell’incontro odierno si è appreso che, dopo l’incontro di giovedì 16, sarà fissata la data per un ulteriore incontro dedicato specificamente alle questioni relative a quest’ultimo stabilimento.
@Fernando_Liuzzi



























