Evidentemente la primavera non è la miglior stagione per il riformismo italiano in materia di legislazione del lavoro: il 19 marzo del 2002 fu assassinato Marco Biagi. La notizia mi arrivò che ancora lavoravo in Telecom come responsabile delle relazioni sindacali. Eravamo, dopo una faticosa trattativa, in una pizzeria insieme a Paolo Fiore, Il mio capo di allora, alcuni colleghi e una giovane stagista allieva di Marco Biagi. Fu lei a ricevere la telefonata e scoppiando in lacrime ci disse che avevano sparato al “Professore”.
In quel momento preciso, la mia memoria fu catapultata allo stesso mese di marzo, il giorno 27 del 1985, quando ancora da semplice iscritto sindacale mi trovavo nella sede della FLM di Monza e ci arrivò la notizia dell’uccisione di Ezio Tarantelli.
Il 20 maggio 1999 sarà la volta di Massimo D’Antona, qui a Roma in via Salaria, poco distante dalla sede universitaria.
In pochi anni le menti migliori del riformismo italiano furono stroncate da una criminale, ma non per questo meno lucida strategia.
L’obiettivo era impedire che anche nel nostro paese, dilaniato per anni da un mai sopito scontro tra schieramenti ideologicamente contrapposti, germogliasse e crescesse il fiore di un nuovo riformismo.
Peggio! che questo avvenisse su un terreno così importante come quello della cultura economica e giuslavorista.
Come disse Mussolini, dopo la condanna di Antonio Gramsci al confino “Bisogna impedire, in tutti i modi, a quel cervello di ragionare” cosi il terrorismo fece!
Mentre altri Paesi europei, come la stessa Germania, uscivano da una crisi, anche grazie al contributo coraggioso di sinceri riformisti che avevano assunto ormai responsabilità di governo, basti pensare a Gerhard Schröder, che avviò una profonda riforma del mercato del lavoro (pagando un prezzo altissimo in termini di popolarità) consentendo, però al suo Paese di uscire da una grave crisi “all’Italiana”, da noi, ogni timido tentativo, di avviare una seria riforma del mercato del lavoro, veniva soffocato con la violenza più brutale.
Non importa quanto si possano condividere in toto le opinioni di coloro che hanno dato la vita per questo sogno.
Ho partecipato ad una “summer school” con Marco Biagi sul tema della comparazione internazionale del diritto del lavoro, non condividevo molte delle sue idee, ma certamente quella ricerca orientata a dare una prospettiva europea alle questioni giuslavoristiche, mi affascinava.
Uscire dal ghetto di una asfittica contrapposizione ideologica, tentare nuove vie, cercare nuovi sentieri di sviluppo mi sembravano allora, come adesso, l’unica possibilità per rimuovere i vincoli corporativi di un tessuto sociale invecchiato, rancoroso e stantio.
Li abbiamo lasciati soli! Diciamocelo con onestà e non basta la retorica del ricordo per emendarci. Il riformismo, quello serio, chiede un grande tributo ma soprattutto richiede onestà intellettuale e coraggio per cercare nuove strade e nuove equità sociali, senza cedere alla pigrizia intellettuale di recitare vecchie formule consolatorie.
Vogliamo ricordarli? Bene, che si ricominci a discutere con coraggio sui limiti che tutti: forze politiche e sindacali, opinionisti vari abbiamo avuto quando non potendo confutare con argomenti altri argomenti, ci siamo limitati ad appiccicare etichette ideologiche.
Luigi Marelli