Una Sicilia ”totale”, che comprende sia il Bene sia il Male assoluto. Le grandi storie note a tutti e quelle nascoste in luoghi fuori da ogni rotta turistica e politica. La Sicilia degli eroi e quella dei maledetti, dei sommersi e dei salvati, del barocco e della speculazione, della mafia e di chi la combatte, dei cannoli e delle tonnare, dei missili di Comiso e del palazzo del Gattopardo. Così racconta la sua isola Salvo Guglielmino, nel bel libro “Microcosmo Sicilia”, edito da Rubettino, in libreria da qualche giorno. In tutto 172 pagine, suddivise in moltissime piccole o grandi “storie”, ciascuna spunto per una analisi approfondita, ricca non solo di aneddoti ma supportata da dati, fatti, nomi, numeri. Un “viaggio tra le storture, le promesse, le omissioni, della classe dirigente nazionale e regionale”, spiega l’autore; ma soprattutto un racconto dettato da una passione incondizionata per la propria terra (Guglielmino è siciliano di nascita, anche se da infiniti anni trapiantato a Roma, come capo della comunicazione Cisl) e anche da una feroce rabbia per la devastazione di cui l’isola è da sempre vittima: talvolta inconsapevole ma anche, spesso, complice. D’altra parte, come ha notato Sergio D’Antoni nel corso della presentazione del libro che si è svolta via web nei giorni scorsi, ”l’amore per la Sicilia sta nelle cose belle come in quelle brutte”.
“E’ giusto dire le cose come stanno – nota l’autore – senza per questo voler cavalcare un vecchio meridionalismo piagnone o antistoriche teorie secessioniste alla rovescia”. Scrive nell’introduzione: “Gli uomini e le donne del sud non sono gente lamentosa o rancorosa. Abbiamo nel nostro DNA una infinita pazienza al dolore. Ci commuoviamo e ci indigniamo per un attimo. Facciamo tanti bei discorsi con passione civile, cultura, con un inesauribile bisogno di giustizia sociale. Poi però ciascuno pensa agli affari suoi. Coltivando, come scriveva Verga, tutte le cose sbagliate della nostra anima: l’avidità, le superstizioni, la corruzione, il delitto, la convinzione di essere, perfino, amici dei Santi”.
E dunque c’è, nel libro di Guglielmino, il racconto della Sicilia del 1992, quella che scese in piazza contro gli assassini di Falcone, centomila persone arrivate da tutta Italia sotto le bandiere di Cgil, Cisl e Uil con lo slogan ”Italia parte civile”, ancora oggi la più grande manifestazione sindacale della storia in nome della legalità. Ma c’è anche la Sicilia di Vittoria: provincia tra le più sfortunate dal punto di vista del territorio, è riuscita a diventare un’ eccellenza dell’agroindustria, “produce più dei pozzi petroliferi di Ragusa, più del fatturato di una intera zona industriale, è in pratica il nord est del sud”. Una volta considerata provincia ‘babba’, ovvero esente da contaminazione mafiosa, nel 1997 si scoprì invece che su 750 arresti per mafia in tutta Italia, ben 150 erano nella sola Vittoria. “Oggi a Vittoria c’è un carcerato ogni 120 abitanti, mentre in Italia sono uno ogni 1.200. Con quale spirito civico può crescere un ragazzino a Vittoria?” si chiede Guglielmino. Ed è, ovviamente, un interrogativo retorico.
“Tutti i parametri economici e sociali nell’isola hanno il segno meno”, insiste l’autore, e dunque “chi volete che venga a investire in Sicilia?”. Non ci sono infrastrutture, non c’è cura del territorio, non ci sono treni, strade. Gli oltre 1000 km di una costa tra le più belle del mondo sono in buona parte abbandonati, o violentati dalla speculazione; musei chiusi, palazzi nobiliari cadenti, circondati da palazzine semiabbandonate (e una storia a sé Guglielmino la dedica alla sontuosa dimora dove Visconti girò il gran ballo del Gattopardo, oggi in vendita al miglior offerente per mancanza di fondi e di cure). Anche il turismo, malgrado i 9 siti Unesco, sopravvive a bassa intensità, lontanissimo dai numeri di visitatori che affollano altri siti nazionali, da Pompei agli Uffizi. Ma del resto, ”i turisti non portano voti”, osserva con amarezza l’autore. E ancora, il disastro della sanità: “prima dell’inizio della pandemia a Palermo c’erano solo 7 posti disponibili in terapia intensiva. Se il covid avesse colpito qui come al nord, sarebbe stata una strage”. Scoppiata l’emergenza, il Comune aveva stabilito di portare le TI a 720, ma ancora oggi siamo solo a 538, cioè 10 posti ogni 100 mila abitanti”.
Eppure, qualcosa si dovrà fare per uscire da questa costante contraddizione tra il Bene e il Male. La strada, osserva Guglielmino, pero’ è una sola: “Legalità, sicurezza e sviluppo devono camminare insieme. Non c’è un prima e un dopo”, e non c’è un altro modo di uscirne. Ma uscirne si deve, e anche in fretta: perché, come ha ricordato ancora nel corso della presentazione del libro Bernardo Mattarella, amministratore delegato di Mediocredito Centrale, “il Sud deve essere per forza un traino per la ripartenza del paese: altrimenti risucchierà tutto all’indietro”. O si va avanti insieme, insomma, o inevitabilmente si sprofonda.
Nunzia Penelope