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Home - Approfondimenti - Analisi - Forza e limiti dei nuovi servizi ‘collettivizzanti’

Forza e limiti dei nuovi servizi ‘collettivizzanti’

di Mimmo Carrieri
22 Novembre 2021
in Analisi
Il sindacato e le sfide dei territori

L’importanza dei servizi nella vita sindacale è stata il cuore della discussione svoltasi nei giorni scorsi al Centro Studi Cisl di Firenze, nel corso della presentazione della ricerca Breakback: la quale ha esplorato in chiave comparata questo tema in cinque paesi, Danimarca, Spagna, Belgio, Lituania, oltre naturalmente all’Italia.

Naturalmente sapevamo già che i sevizi sono importanti per i sindacati e per la loro sopravvivenza organizzativa, e che essi sono molto robusti in alcune realtà del mondo occidentale, tra cui certamente anche l’Italia.

Quando si parla di questo oggetto il pensiero corre subito ai servizi individuali che incentivano l’adesione, e che per questa ragione svolgono un ruolo vitale tanto organizzativo che economico. Servizi come quelli che spiegano la sindacalizzazione massiccia dei pensionati nel caso italiano. O che aiutano anche a capire  il forte radicamento e l’elevatissima membership tipica dei paesi nordici, e derivante dal cosiddetto sistema Ghent: che si basava appunto sul monopolio sindacale di derivazione statale, in relazione ad alcuni servizi cruciali (come l’indennità di disoccupazione).

Ma questa ricerca si è proposta esplicitamente  di integrare le conoscenze di questo quadro,  mediante l’osservazione di altre attività, che sono state definite come ‘servizi innovativi’ e che si sviluppano nell’ottica della necessaria ‘rivitalizzazione’ dell’azione e del ruolo dei sindacati.

Il concetto di ‘rivitalizzazione’ circola da circa due decenni nel dibattito scientifico internazionale,  e trova alimento soprattutto nei paesi anglosassoni, nei quali – Usa in testa – le politiche liberiste hanno condotto ad un evidente e drammatico declino dei sindacati. La proposta che viene da quel mondo è stata soprattutto orientata al rafforzamento  dell’ ‘organizing’, che potremmo definire come un  potenziamento dell’impegno militante in alcune aziende o settori con lo scopo di  rafforzare le iscrizioni e di radicare l’azione sindacale, come precondizione per migliorare le condizioni di tanti lavoratori poco o nulla protetti.

Il  punto di vista elaborato da questa ricerca – e supportato da diversi studi di caso svoltisi nei paesi interessati – mostra che esiste anche un’altra strada per raggiungere questi obiettivi : non necessariamente alternativa, ma sicuramente diversa. Una strada che consiste in una offerta di servizi più ampia rispetto a quella tradizionale, e tale da far scattare  in molti lavoratori la molla di una adesione non solo strumentale e congiunturale. Si tratta di quelli che i ricercatori – Bellini  Betti  e Gherardini  coordinati da Francesco Lauria della Cisl nazionale – hanno brillantemente definito come ‘servizi collettivizzanti’, interrogandosi se  per questa via ci troviamo di fronte alla nascita di un nuovo paradigma. Un paradigma che potrebbe essere preso a riferimento da tanti sindacati che vogliono rilanciare e appunto rivitalizzare la loro presenza sociale.

Questo servizi dunque – nell’ottica ben esplicitata dei ricercatori – non si limitano a risolvere in modo occasionale (ma non meno importante ) problemi  di varia natura dei lavoratori che si rivolgono alle sedi sindacali. Ma svolgono anche la funzione di costruire una attività durevole, e soprattutto un legame tra il lavoratore e l’organizzazione, che porta a rinnovare ed allargare la ‘comunità del lavoro ’ su cui si fonda la vita sindacale.  Insomma se nel primo caso – quello dei servizi tradizionali – il rapporto che si instaura è generalmente  limitato al tecnico che eroga il servizio e al lavoratore che lo riceve, e rimane tutt’al più confinato sul piano personale, nel secondo caso – quello dei servizi innovativi – il legame che prende forma riguarda il lavoratore e il tessuto organizzativo più largo nel quale viene immesso e con il  quale si instaura un rapporto fruttuoso, che può diventare anche di natura fiduciaria e partecipativa.

L’intento manifesto dei ‘servizi collettivizzanti’ è quello di rivolgersi alle componenti più distanti e difficili da organizzare del mercato del lavoro. Lavoratori ai confini : tra lavoro stabile ed instabile, tra lavoro e non lavoro, tra economia nera e attività regolari e così via. Ed in effetti i casi scelti ed analizzati ricalcano questo universo sociale frammentato ed eterogeneo, che va dalle partite Iva di comodo alle guide turistiche, ai riders, ai disoccupati, ed altre frange di lavoratori semi-autonomi fino  addirittura ai free-lancers. Un mondo vasto e difficile da aggregare e tradizionalmente distante dai sindacati, perché composto in prevalenza da lavoratori giovani e temporanei, spesso con titoli di studio elevati: due gruppi non da ora difficili da afferrare per tutti i movimenti sindacali, e che costituiscono la pancia molle e grande, che tende ad  erodere  la base sociale dei sindacalismi nei paesi avanzati (come aveva mostrato Visser nel suo  recente Rapporto sui Sindacati in transizione).

Potenziare queste attività di servizio – ma non riducibili al ‘servicing ‘ tradizionale’ –  materializza un intento quindi sicuramente meritevole e da incoraggiare, in modo da arricchire le armi a disposizione di tutti i sindacati per fronteggiare i nuovi dilemmi.

Appare quindi giusto attirare l’attenzione delle organizzazioni sindacali su questi fenomeni , sicuramente interessanti, e da coltivare, con lo scopo di incentivarle a muoversi lungo questo asse di attività, tali da integrare ed oltrepassare quelle ‘tradizionali’.

Questo è stato il compito dell’incontro internazionale di Firenze, che può considerarsi sostanzialmente raggiunto, insieme a quello di favorire  nuove prassi e  nuove letture in materia di rinnovamento  ‘rivitalizzazione’ dei sindacati.

Appare nel contempo utile richiamare alcuni aspetti della discussione che si è aperta e che evocano alcune zone d’ombra su cui riflettere.

Un primo aspetto riguarda la consistenza dell’area dei nuovi servizi  ‘collettivizzanti’. Essi risultano in crescita, ma affidati per ora alla sperimentazione di sindacalisti locali, che si muovono come dei veri imprenditori dell’azione sindacale. Si tratta dunque di lavorare sulla loro incorporazione da parte delle organizzazioni e della loro culture nella chiave della loro generalizzazione. Inoltre l’accento  posto su queste azioni non deve portare a trascurare  o a oscurare la grande mole di attività di servizio individuali cui gran parte dei sindacati solidi, come quello italiano, deve  una parte importante delle sue fortune organizzative.

Questa evidenza  è  stato ricordata nel corso della discussione da Paolo Feltrin, autore delle principali ricerche in materia, che ha reso evidente alcuni aspetti molto rilevanti ma spesso in ombra. Il primo è che molte attività sindacali, anche contrattuali, presentano, come è naturale, una funzione di ‘servizio’ nei confronti dei lavoratori sin dalle origini dei sindacati. Il secondo consiste nella ritrosia di molti sindacati a parlare dei servizi come aspetti vitali, dal momento che essi preferiscono fornire una immagine più eroica dell’azione collettiva. In questo senso l’enfasi sui servizi collettivizzanti potrebbe rivelarsi come un contributo ad un abbellimento della realtà, perché tende a fornire solo una rappresentazione nobile di quello che i sindacati fanno in questo ambito : così aiutando a mettere tra parentesi  attività più consistenti e cruciali, quali quelle assolte dai servizi per così dire classici. Le organizzazioni sindacali di successo, a livello locale e internazionale, hanno spostato una parte consistente dei loro quadri nell’ambito della erogazione dei servizi e del potenziamento  dei tecnici specialisti nella loro fornitura: sarebbe dunque bene avere presente un quadro più realistico dell’insieme del fenomeno. E meno edulcorato di quanto succeda abitualmente . Inoltre sarebbe anche importante che l’azione di rappresentanza sindacale si rivolgesse oltre che ai lavori di confine – cosa sacrosanta – anche alla grande mole, maggioritaria e peraltro accresciuta , di lavoratori manuali ed esecutivi che popola il  mondo del lavoro dei paesi avanzati. Si tratta di una nuova ed estesa working class, ramificata soprattutto nel settore dei servizi: dalla capacità di aggregare questi lavoratori, insieme ai primi, si potrà  capire e misurare se i sindacati prossimi venturi sono in grado di vincere appieno  la sfida della loro rivitalizzazione.

Non è quindi in gioco la svalutazione di queste esperienze, ma la loro estensione ed integrazione con le altre attività sindacali. Già adesso molte di queste attività non sono solo di servizi, ma svolgono un insieme di funzioni di aggregazione, di socializzazione, di mobilitazione, e di protesta oltre che di soluzione contrattuale. Quindi costituiscono  già ora una base pratica di ripensamento più ampio  dell’azione collettiva su cui varrebbe la pena di riflettere e di investire.

Come abbiamo detto i sindacati forti sono quelli che presentano una grande offerta – varia ma consistente – di servizi. Attenti però a non cadere nel paradosso opposto alla svalutazione dei servizi ‘normali’, pensando che tutto quello che fa il sindacato sia solo ‘servizio’.  Infatti è vero che accanto alla cattiva coscienza dei sindacati che fanno i servizi senza parlarne, si profila anche una tentazione di genere contrario, che immagina i sindacati come una mera ‘Agenzia di servizi’.

Insomma non possiamo non considerare i sindacati come fonte ispiratrice  di tanti servizi. Nello stesso tempo non possiamo considerare i sindacati come ‘solo’ erogatori di servizi. La loro forza e la loro influenza, nelle nostre società, è affidata alla capacità di mettere in campo molteplici e varie attività: tanti rivoli necessari che confluiscono tutti nel grande fiume della rappresentanza.

Mimmo Carrieri

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