Malgrado gli sforzi e gli auspici, il patto per l’Italia non vedrà la luce. Ne prende atto, con rammarico, perfino il primo sponsor della grande intesa a tre tra governo e parti sociali, cioè il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Nel corso dell’assemblea privata di questa mattina (la prima ”in presenza” dall’inizio del suo mandato, con quasi 600 imprenditori riuniti) Bonomi ha dovuto ammettere: “la prospettiva su cui avevamo insistito tanto fin dalla mia nomina, cioè la necessità di affrontare la ripresa italiana attraverso un grande patto per l’Italia, pubblico e privato, imprese e sindacati, tutti insieme, si è ormai inabissata”. Ovviamente, l’annegamento del patto ha i suoi killer, che Bonomi identifica nel sistema dei partiti e in una parte del sindacato, parte che coincide con Cgil e Uil, essendo fra le tre confederazione soltanto la Cisl a sostenere la richiesta confindustriale della grande intesa.
Bonomi ha ricordato anche l’episodio del settembre 2021, quando in occasione dell’assemblea pubblica di Confindustria era stato il premier Mario Draghi, nel suo primo intervento davanti agli industriali, ad appoggiare e fare propria la proposta del Patto. Una sponsorizzazione al massimo livello, accolta da una standing ovation della platea, e che per qualche tempo ha permesso di illudersi che l’obiettivo fosse effettivamente realizzabile. Ma, ammette oggi Bonomi, “rapidamente si comprese che quella proposta non sarebbe stata accolta”. Certezza che peraltro si ebbe in forma praticamente ufficiale quando in dicembre la Cgil e la Uil organizzarono lo sciopero generale contro il governo, senza la partecipazione della consorella Cisl. Ma non è certo solo ”colpa” dei sindacati, o delle loro divisioni, rimarca ancora il presidente di Confindustria: “anche i partiti hanno grandi responsabilità in questo fallimento, avendo sempre preferito tenere rapporti bilaterali con il Presidente del Consiglio, ed evitando sempre di firmare impegni comuni”.
Allo stesso modo, prosegue Bonomi, “anche una parte del sindacato ha sempre risposto che avrebbe solo parlato con il Governo, e non certo con noi: disconoscendo ogni possibilità di uno scambio di comune convergenza tra produttività e salari, nuove politiche attive del lavoro e nuovi ammortizzatori volti alla formazione e non più meri sussidi”. Un atteggiamento, prosegue il j’accuse di Bonomi, che “il ministro del Lavoro Orlando ha del resto sempre incoraggiato, avendo a propria volta la stessa visione per cui il lavoro non va delegato alle parti sociali ma è la politica che lo decide, spesso in maniera del tutto ideologica”.
A questo effetto della lotta “tra partiti e tra identità diverse del sindacato” si è poi aggiunto “il crescente ritardo e l’annacquamento progressivo delle riforme strutturali: dalla delega di riforma fiscale al ddl concorrenza, alle misure per la produttività”, ha spiegato il presidente degli industriali. La ”vittima” di tutto questo è stato alla fine proprio il Patto, le cui speranze di realizzazione si sono via via affievolite, fino a sparire del tutto. Fino, appunto, a ”inabissarsi”.
N.P.



























