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Home - Approfondimenti - La nota - Ambiente, carburanti e motori: i paradossi dell’auto nella UE

Ambiente, carburanti e motori: i paradossi dell’auto nella UE

di Fernando Liuzzi
1 Luglio 2022
in La nota
Emergenza automotive, imprese e sindacati chiamano Draghi

Una tappa. Una tappa magari anche significativa, ma non l’inizio né la fine di un percorso. Questa è stata, dopo tutto, la riunione del Consiglio Ambiente dell’Unione Europea. Riunione che era stata convocata in Lussemburgo per la mattina di martedì 28 giugno e si è conclusa, dopo 16 ore di laboriose discussioni, verso le due della notte di mercoledì 29. Confermando che, allo scopo di abbattere le emissioni di CO2, a partire dal 2035 non potranno più essere venduti, nei Paesi dell’Unione europea, autoveicoli e furgoni i cui motori a combustione interna siano alimentati a benzina o diesel. Ma aprendo forse anche qualche spiraglio alla possibilità di utilizzare carburanti di nuova generazione.

Quando si parla di Unione Europea si ha spesso la sensazione di trovarsi di fronte a processi decisionali più difficili da seguire di quelli esistenti nei singoli Stati. Infatti, l’architettura istituzionale dell’Unione, che è qualcosa di più di una semplice alleanza fra Stati sovrani e qualcosa di meno di uno Stato federale, è di per sé particolarmente complessa.

A complicare le cose, poi, quando si parla di ambiente e industria, e in particolare dei risvolti inquinanti legati alla circolazione degli autoveicoli, c’è anche il crescente utilizzo di un gergo – in parte di origine burocratica, e in parte correlato al mondo dell’innovazione tecnologica -, che, con le sue sigle e le sue espressioni familiari agli addetti ai lavori ma ostiche per il grande pubblico, rende ancora più difficile la comprensione di tali processi.

Ciò detto, cerchiamo di capire cosa è successo nella riunione svoltasi nei giorni scorsi in Lussemburgo. Cominciando a chiederci cosa sia il Consiglio Ambiente della UE. Risposta: è la struttura formata dai Ministri dell’Ambiente dei 27 Paesi che compongono l’Unione.

Seconda domanda: di quale percorso la riunione di cui stiamo parlando costituisce una tappa? Si tratta di un percorso promosso da iniziative a carattere generale assunte – via, via – dal Parlamento europeo e dalla Commissione europea e che punta a raggiungere due successivi traguardi. Il primo, quello riassunto dallo slogan “fit for 55”, potrebbe trarre in inganno chi credesse che quel 55 sia l’abbreviazione di una data (tipo il 2055). Ma non è così. In questo caso 55 indica una percentuale. L’obiettivo riassunto dallo slogan è infatti questo: ridurre entro il 2030 il totale delle emissioni nocive rilasciate nei Paesi della UE al 55% di quelle del 1990. “Fit for 55” vuol quindi dire, a un dipresso, che, all’interno dei confini della UE, si punta a essere conformati in modo tale da poter rispettare l’obiettivo di far scendere, entro il 2030, le nostre emissioni inquinanti al 55% dei livelli del 1990.

Fit for 55 è però solo un obiettivo, per così dire, intermedio. Quello più importante è l’obiettivo della cosiddetta “neutralità climatica”, da raggiungere entro il 2050. Laddove con neutralità climatica ci si riferisce a una situazione in cui le varie attività in corso non producano emissioni di CO2 e quindi non producano quei famosi gas serra che, invece, hanno la capacità di alterare il clima terrestre.

E’ in quest’ambito generale che vanno inseriti i programmi e le direttive rivolte specificamente al mondo dell’auto. Le disposizioni volte ad azzerare le emissioni inquinanti attualmente prodotte dai motori cosiddetti “endotermici”, ovvero a combustione interna, alimentati da benzina o diesel, fanno infatti parte del più ampio “pacchetto ambiente” che è oggi al centro delle iniziative ecologiste portate avanti dell’Unione Europea.

Ciò chiarito, torniamo a bomba. Ovvero alla portata politica, industriale e sociale degli obiettivi che la UE si è data rispetto al rapporto fra circolazione di furgoni e autovetture e inquinamento da CO2.

L’aspetto della questione che va messo in primo piano è che sia la Commissione, ovvero l’organo esecutivo attualmente presieduto da Ursula von der Leyen. che il Parlamento europeo non si sono limitati a fissare l’obiettivo politico di avere all’interno della Ue, a partire da un certo punto, solo autoveicoli e furgoni nuovi a emissioni zero di CO2. Né si sono limitati a fissare un obiettivo cronologico, stabilendo che la data a quo fosse il 1° gennaio del 2035.

Ciò che ha acceso le discussioni più recenti nel mondo dell’auto è che le Istituzioni europee abbiano fatto, almeno inizialmente, una scelta che non ha tenuto conto del principio della cosiddetta “neutralità tecnologica”. Hanno cioè anche scelto quale fosse la tecnologia giusta da seguire per raggiungere lo scopo già assunto, ovvero quale fosse l’unica motorizzazione capace di raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero: quella elettrica. Dal mondo dell’auto, e in particolare da quello della componentistica che comprende non solo sub-settori dell’industria metalmeccanica, ma anche sub-settori dell’industria chimica, si è fatto notare che, in tal modo, veniva ad essere esclusa a priori qualsiasi possibilità di ricerca volta a innovare non la struttura del motore ma la natura dei carburanti. Laddove più voci hanno sostenuto che i cosiddetti biocarburanti avrebbero potuto alimentare i motori endotermici senza generare rilascio di CO2.

Ebbene, è proprio a partire da questa discussione che, a proposito della riunione di Lussemburgo, alcuni commentatori hanno parlato di un abbozzo di compromesso. Grazie a un’iniziativa tedesca, appoggiata dall’Italia, è stata infatti accolta la proposta che, anche dopo il 2035, i motori a combustione interna possano essere installati sui nuovi autoveicoli qualora siano alimentati con carburanti “climaticamente neutri”.

Va però anche detto che la portata di tale proposta è stata limitata dal fatto che la sua eventuale validità sarà sottoposta a un nuovo esame nel 2026. Allora, e cioè dopo altri tre anni e mezzo di ricerche e sperimentazioni, si vedrà se veicoli i cui motori siano alimentati con i nuovi carburanti potranno essere compatibili con i parametri fissati dalla UE.

Tre ultime osservazioni. La prima: non è certo un caso che i due Paesi che con maggior vigore si sono battuti i Lussemburgo a favore della cosiddetta neutralità tecnologica delle scelte della UE siano stati Germania e Italia. Si tratta infatti dei due Paesi in cui più forte ed estesa è la produzione di componentistica per il settore automotive. E che, dato che il motore elettrico ha una struttura molto più semplice del motore endotermico, rischiano di perdere produzioni e posti di lavoro. In Italia, in particolare, si parla di 70 mila posti di lavoro a rischio, qualora la produzione di motori a combustione interna venisse azzerata.

Seconda osservazione, che potremmo chiamare primo paradosso. Da quando è cominciata la guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina, tutti hanno capito che, per ciò che riguarda l’energia, può essere molto pericoloso per un singolo Paese, o per un gruppo di Paesi, essere troppo dipendenti dalle forniture effettuate da un altro Paese. Ed è ciò che è accaduto, fra l’altro, proprio per l’Italia e per la Germania nei confronti del gas proveniente dalla Russia. Ebbene, scegliere gli autoveicoli a trazione elettrica significa, anche, rischiare di diventare troppo dipendenti da chi ha le tecnologie e le materie prime necessarie per fabbricare le batterie indispensabili per tale forma di motorizzazione. Il che, oggi, ma anche in un prossimo futuro, significa rischiare di diventare troppo dipendenti dalla Cina.

Terza osservazione, ovvero secondo paradosso. Come si è detto, dentro il cofano di un’auto elettrica c’è una struttura molto più semplice e costituita da meno componenti di ciò che sta dentro il cofano di un’auto a motorizzazione endotermica. Ciò non ostante, oggi come oggi le auto elettriche sono molto più care delle auto col motore a combustione interna. Ne seguono due conseguenze: cancellazione di posti di lavoro e, forse, anche diminuzione dei clienti potenziali del prodotto auto. Per non parlare del fatto che l’energia elettrica che servirà a ricaricare le batterie dovrà pur essere prodotta, da qualche parte. E ci si chiede: sarà possibile produrla senza generare altre emissioni climaticamente alteranti?

Morale della favola: speriamo che di qui al 2026 si siano fatti dei bei progressi nello studio e nella messa a punto dei carburanti di nuova generazione.

@Fernando_Liuzzi

Fernando Liuzzi

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