Giorgia Meloni perde pezzi, nel senso di consensi, di appeal e di ruolo internazionale. In pochi mesi la grande novità di una leader donna al governo, per di più della destra che a palazzo Chigi non c’era mai stata, sembra già preistoria. Eppure sono passati solo pochi mesi da quando lei è diventata premier, e capa di una coalizione che non poteva fare altro che obbedire ai suoi ordini, visti i risultati elettorali (Fratelli d’Italia ha il triplo dei voti di Salvini e Berlusconi, i suoi alleati) e vista la curiosità che Meloni ha suscitato in Italia e nel mondo.
Ma le cose in politica cambiano, e cambiano pure velocemente. E allora eccoci nelle mani di una premier che litiga furiosamente con i francesi (i quali, bisogna dirlo, non è che sui migranti abbiano posizioni tanto umanitarie, tutt’altro), che approva una manovra economica che alla fine si riduce a una piccola elemosina, che di conseguenza va allo scontro con i sindacati, pronti a convocare uno sciopero generale (almeno la Cgil, probabilmente la Uil e forse anche la Cisl), che nomina manager pubblici tutti di stretta osservanza di destra, senza curarsi affatto delle loro capacità. Che produce un patetico spot camminando e recitando (malissimo) tra le stanze di palazzo Chigi, chiudendo la trasmissione con un ammiccamento alle telecamere che farebbe ridere se non facesse piangere. E che infine litiga pure con i suoi amici di governo, da Crosetto (ricordiamoci che era il suo mentore) a Salvini; aspettiamo solo di sapere cosa dire e farà Berlusconi quando uscirà dall’ospedale. Inoltre i sondaggi non la stanno premiando, anzi: ormai il suo partito si piazza sempre al di sotto del 30 per cento, mentre il Pd di Elly Schlein sale piano piano ed è accreditato tra il 20 e il 22 per cento. Otto punti di differenza non sono facilmente recuperabili, ma da come si erano messe le cose dopo il voto è evidente che la situazione politica sta cambiando, anzi è già sensibilmente cambiata.
A questo punto toccherebbe all’opposizione battere un colpo, magari anche due o tre, invece Schlein e Conte non riescono o non vogliono mettersi d’accordo nemmeno su un programma minimo da proporre al Paese, ognuno va per conto proprio cercando in ogni modo di rosicchiare i voti dell’altro. Per non parlare dei piccoli partiti della sinistra radicale, inchiodati attorno al tre per cento ma che soprattutto non riescono a sfondare il muro dell’attuale irrilevanza politica. Che fanno, che dicono, cosa vogliono fare da grandi i vari Fratoianni, Bonelli e compagni? Non si sa, forse non lo sanno nemmeno loro.
E il fu Terzo polo? È vivo, è morto, è moribondo, può forse resuscitare? Al momento Renzi scrive editoriali sul suo “Riformista”, giornale che ha ereditato da Piero Sansonetti (il quale tra pochi giorni metterà in edicola la sua “Unità” che non avrà quasi nulla a che vedere con quella vecchia e gloriosa testata). È evidente che l’ex premier, nonché ex segretario del Pd, userà il foglio che dirige per far sentire la sua voce e piazzarsi al centro dell’agone politico. Un pochino a sinistra, pochissimo, molto a destra, moltissimo (tanto che come vice si è scelto un ex parlamentare di Forza Italia), e soprattutto al centro. Luogo politico che ancora non si sa se esiste ma che comunque è sempre presidiato da Carlo Calenda che non ha alcuna intenzione di mollare la presa. Forse, chissà, alla fine i due riusciranno anche a ritrovare quell’intesa stracciata tra un insulto e l’altro o forse no, tanto la prossima scadenza elettorale importante si svolgerà tra un anno. E sarà il voto per il Parlamento europeo, elezione proporzionale, in cui ognuno può correre per conto suo e misurare così la propria forza politico-elettorale. Questione che ovviamente vale per tutti, non solo per Renzi e Calenda, che in fin dei conti più del sette-otto per cento non lo raggiungono neanche se prima si rimettono insieme e poi vanno in pellegrinaggio a Lourdes. Però per Meloni, Schlein e Salvini le elezioni europee sono importantissime e anche fondamentali.
Da quel risultato potrebbe dipendere la vita stessa del governo e un’eventuale rivincita del centrosinistra, a condizione che poi si vada presto a elezioni politiche anticipate. Saranno capaci Schlein e Conte, qualora ottenessero un buon risultato europeo, a battersi come leoni affinché nell’autunno prossimo gli italiani vengano richiamati alle urne per eleggere un nuovo Parlamento e magari un nuovo governo possibilmente non di destra? Lo scopriremo solo votando.
Riccardo Barenghi



























