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Home - Primo Piano - Furlan (Uilca) fa il punto sul rinnovo del contratto banche alla vigilia dell’avvio del negoziato. E a Intesa e Abi dice: trovino una soluzione

Furlan (Uilca) fa il punto sul rinnovo del contratto banche alla vigilia dell’avvio del negoziato. E a Intesa e Abi dice: trovino una soluzione

di Tommaso Nutarelli
18 Luglio 2023
in Interviste
Furlan (Uilca) fa il punto sul rinnovo del contratto banche alla vigilia dell’avvio del negoziato. E a Intesa e Abi dice: trovino una soluzione

Nello studio del segretario generale della Uilca in via Lombardia spicca il gagliardetto dell’Inter. Ma al di là del calcio mercato estivo, la partita che Fulvio Furlan e gli altri segretari generali dei sindacati dei bancari si stanno apprestando a giocare è di tutt’altra natura. A breve inizieranno le trattative per il rinnovo del contratto, dopo che la piattaforma ha ottenuto un’adesione pressoché totale da parte dei lavoratori. Nel documento, spiega il numero uno dei bancari della Uil in questa intervista al Diario del lavoro, c’è una visione complessiva per il futuro del settore, che di certo non può arrestarsi unicamente al salario. Digitalizzazione, formazione, benessere, allargamento della base occupazionale sono tutti temi altrettanto importanti per il sindacato. In attesa del rinnovo, il mondo bancario si trova a vivere e a dover gestire la separazione tra Abi e Intesa Sanpaolo, l’istituto più grande del paese. Uno squilibrio che, secondo Furlan, deve ricomporsi. E’ impensabile, prosegue, per il sindacato avere un duplice fronte di contrattazione, con Intesa e con gli istituti che stanno dentro Abi. A rischio c’è l’integrità e l’unicità del contratto che dà identità al settore.

Partiamo dalla richiesta di aumento di 435 euro, una delle più alte del panorama contrattuale. Come si è arrivati a questa cifra?

L’aumento economico è una parte importante della piattaforma perché arriviamo da una situazione particolarmente complicata sotto il profilo salariale, per l’inflazione e l’aumento delle materie prime che hanno messo in difficoltà le famiglie. Un aumento che nasce, dunque, dalla situazione inflattiva, anche alla luce delle previsioni per il prossimo triennio, legato all’andamento dell’Ipca. In questi anni, inoltre, le imprese bancarie hanno ottenuto profitti e utili straordinari, che devono essere redistribuiti tra i lavoratori. Un’impostazione condivisa anche al livello confederale che mette al centro i recuperi salariali.

Lo stesso amministrato delegato di Intesa San Paolo, Carlo Messina, ha dato la sua “benedizione” su questo aumento. Come giudica le sue parole?

Le parole di Messina non sono una novità. Messina sta dicendo almeno da un anno e mezzo che il personale va pagato di più. Lo ha detto al nostro congresso lo scorso anno. Poi lo ha ripetuto in altre occasioni congressuali arrivando infine a una quantificazione degli aumenti per il semplice motivo che oggi c’è una piattaforma su cui ragionare. Ci fanno piacere le parole di Messina, così come quelle di Patuelli che auspica un recupero del potere di acquisto degli stipendi, anche se nella nostra richiesta economica c’è una parte legata alla redditività e alla produttività altrettanto importante.

Crede che un aumento così cospicuo possa essere osteggiato dagli istituti più piccoli, magari non in grado di far fronte a un impegno economico di questo tipo?

Non penso che questo oggi sia un problema. Anche le imprese bancarie più piccole sono tutte attrezzate, sia patrimonialmente che sul fronte delle liquidità.

Qual è la strada per il settore che i sindacati hanno voluto tracciare con la piattaforma?

La piattaforma è un unicum che ha un suo valore complessivo che non si può fermare a una sola voce, seppure molto importante, come il salario. Non siamo disposti a uno scambio tra retribuzione e aspetti normativi o benessere dei lavoratori. Nella piattaforma c’è una visione del futuro del settore che si basa sulla consapevolezza dei cambiamenti in atto. Ci sono impatti dovuti alla digitalizzazione, alla nuova organizzazione del lavoro e alla flessibilità.

Che strumenti indica la piattaforma per governare queste trasformazioni?

Serve una gestione continua dei processi attraverso scelte condivise e una contrattazione collettiva permanente a tutti i livelli, sia nazionale che di secondo livello. Inoltre la digitalizzazione può far pensare che si possa fare a meno del personale, ma è sbagliato. Se il lavoratore non svolge più alcune mansioni è chiamato a farne altre e il carico di certo non diminuisce ma tende ad aumentare perché crescono le complessità. Serve allargare la base occupazionale, includendo, se necessario, nuove figure professionali e competenze attraverso costanti percorsi di formazione. Ci sono poi nuove modalità di gestione del tempo, con il ricorso allo smart working e alla flessibilità per favorire la conciliazione vita-lavoro, senza far venir meno la socialità del lavoro che è un valore importante. Un ulteriore elemento è il benessere lavorativo. I bancari non stanno più bene. Una delle principali ragioni è riconducibile al problema delle pressioni commerciali. Riscontriamo un aumento delle malattie da stress correlato.

Che rapporto deve esserci tra primo e secondo livello?

Va confermato l’equilibrio tra i due livelli. Il contratto è la base fondamentale che identifica la categoria e la sua unicità. E’ tuttavia giusto trovare soluzioni ad hoc, pensati a misura dei vari gruppi, ed evitare una contrattazione unilaterale o ancor peggio individuale.

Rimanendo sul terreno della contrattazione unilaterale, l’uscita di Intesa dal Casl Abi ha di fatto avviato un percorso contrattuale duplice per il sindacato? Vi preoccupa questo nuovo ordine?

Dal suo punto di vista Intesa ha ritenuto che non ci fossero più le condizioni per dare mandato sindacale ad Abi. È un problema che va risolto, ma temo che ancora non ci si sia posta la domanda del perché si è verificata questa situazione. È indispensabile un contratto unico, che definisca l’identità della categoria. Per questo se non c’è più questo equilibrio, Abi e Intesa devono ritrovare un nuovo assetto per dare al sindacato una controparte unitaria con la quale confrontarci.

Il 19 luglio iniziano le trattative per il rinnovo. Quali sono le vostre aspettative e le tempistiche?

Da subito si deve entrare nel merito per capire quali sono le posizioni. Certo avere tempi non lunghi sarebbe positivo, ma ciò non deve essere a discapito dei contenuti. Un tema che vorremmo slegare dalla discussione sul contratto sono le agibilità sindacali. Queste devono essere coerenti con la complessità del settore bancario che, di conseguenza, rende più complessa anche l’attività sindacale. C’è poi la questione della nomina delle rappresentanze sindacali aziendali resa più difficile a causa della chiusura delle filiali e la riduzione di personale e delle unità produttive.

Come giudica lo stato di salute del settore? Ci sono delle potenziali criticità?

La relazione del presidente Patuelli alla recente assemblea dell’Abi, le parole del governatore della Banca d’Italia Visco e gli stessi indicatori ci dicono che il settore è in salute. Sull’onda della crisi del 2008 e degli NPL, ossia i crediti deteriorati, al livello europeo e di sistema bancario sono state assunte delle decisioni che hanno costruito un modello di controllo che ha portato i buoni risultati che ora stiamo riscontrando. Ci sono fattori di criticità possibili, ma non certi, per cui l’aumento dei tassi potrebbe generare situazione di NPL perché le imprese potrebbero non essere in grado di restituire i prestiti o far fronte ai crediti. Uso il condizionale perché non c’è una visione comune su questo punto. In ogni caso, qualora ci dovessero essere problemi di questo tipo le esperienze recenti hanno favorito l’adozione di misure capaci di prevenirli e gestirli.

Secondo lei la banca riveste ancora un ruolo sociale?

La banca non solo ha un ruolo sociale ma deve anche esercitarlo. Poi sappiamo benissimo che le banche sono delle imprese, che devono rispondere a degli azionisti, che devono fare utili e profitto. Detto questo, la natura dell’attività bancaria non può essere meramente orientata al profitto, perché gestisce il risparmio delle persone che è un bene essenziale e tutelato dalla Costituzione. Serve dunque una sintesi tra queste due anime. Non sempre c’è questa consapevolezza. Nelle banche passano le risorse che servono per sostenere il paese e dargli uno sviluppo organico. Tutto questo vuol dire una visione etica del profitto e un azzeramento delle pressioni commerciali indebite sui bancari. Il ruolo sociale della banca impone anche un presidio del territorio. La campagna della Uilca, “Chiusura filiali? No, grazie.”, si batte duramente contro la chiusura delle filiali. Così si perdono degli intermediari del credito che potrebbero intercettare delle realtà potenzialmente positive per lo sviluppo di un territorio. Viene meno un presidio di legalità, e chi ha bisogno di denaro si rivolge alle persone sbagliate. Insomma quando si tagliano i servizi ci rimettono sempre più deboli, dall’anziano pensionato sino al giovane precario, ma vanno in difficoltà anche i commercianti e il mondo delle Pmi. La nostra campagna vuole aprire una riflessione che coinvolga e metta a confronto tutti i soggetti interessati, sindacati, banche, istituzioni politiche locali e nazionali, media e società civile.

La nostra società da tempo si trova in pieno inverno demografico, che per il mondo del lavoro si traduce in mancanza di personale. Ne sta soffrendo anche il settore bancario?

La questione demografica si lega a quella dell’occupazione e del ricambio generazionale. Se in Italia non mettiamo mano alle politiche occupazionali e non diamo ai giovani l’opportunità di poter mettere su famiglia non ne usciamo. La sfida si muove anche sul fronte della conciliazione dei tempi vita-lavoro e di una nuova organizzazione del lavoro. C’è poi un altro fenomeno che stiamo riscontrando da tempo ossia le dimissioni precoci dei giovani bancari dopo circa un anno e mezzo dall’assunzione. Le motivazioni alla base di questo trend sono sostanzialmente due. È un fenomeno su cui dobbiamo riflettere per favorire percorsi professionali e di carriera attrattivi e per valorizzare soluzioni che favoriscono il benessere lavorativo e la flessibilità, anche nella gestione del tempo. I giovani danno pari importanza alla retribuzione e alla qualità dell’ambiente nel luogo di lavoro.

Allargando lo sguardo all’Europa, come giudica la politica della Bce sul rialzo dei tassi per contenere l’inflazione?

La mia sensazione è che si tenda ad affrontare un tema complicato in maniera semplicistica o personalistica, come se Christine Lagarde decidesse da sola di alzarli. Tutti sanno che una gestione spregiudicata verso l’alto dei tassi porta il sistema economico verso una recessione, così come è evidente che la leva monetaria è una delle poche, e forse la più efficace, a disposizione. Quando ci si muove in questo campo la parola d’ordine è equilibrio. Poi queste leve portano degli effetti e quindi serve dare sostegno a chi è più esposto a questi effetti finché permangono. Lo si è fatto davanti a crisi ben più grandi, come la pandemia, con ingenti elargizioni di risorse, lo si può fare ora. Quindi serve un atteggiamento non ideologico e populista, che si traduce in un pro e contro la Bce o Lagarde, ma intervenire per mitigare i risvolti negativi di una situazione che, a detta di molti, potrebbe essere contingente. Per questo motivo siamo d’accordo che servano misure urgenti per aiutare chi è in difficoltà nel pagamento dei mutui contratti a tasso variabile.

Venendo al Mes, pensa che il ritardo nella ratifica possa essere deleterio per il sistema bancario?

Intanto va detto che il Meccanismo europeo di stabilità già esiste ed è uno strumento che un Paese non deve necessariamente usare. Oggi è in discussione la ratifica della sua riforma, che solo l’Italia non ha ancora fatto, nonostante sia stata approvata dal governo passato. Per questo penso che ci sia un problema politico più che di merito. Questo governo ha vinto le elezioni su una serie di slogan che hanno fatto molta presa. Poi quando si governa il populismo si scontra con la realtà. A fronte di tante affermazioni fatte negli anni passati in chiave anti europea e anti atlantista, alla fine questo governo si è schierato nel campo occidentale, atlantista ed europeo, sarebbe utile per tutti fosse coerente con questa scelta.

Altro tema caldo nel dibattito politico e sindacale è quello del salario minimo. Le vorrei chiedere una sua valutazione e se il salario stabilito per legge possa spingere al ribasso il settore bancario.

E’ innegabile che serva una soluzione per dare di più a chi è in difficoltà. Il salario minimo è una soluzione in questa direzione per chi è sottopagato in quanto non ha un Contratto Nazionale o ne ha uno pirata non sottoscritto dalle sigle più rappresentative. Allo stesso tempo la contrattazione collettiva deve restare centrale. Sul rischio che ci sia una tendenza al ribasso lo escludo per il nostro settore.

Fabio Panetta sarà il prossimo governatore della Banca d’Italia. E’ soddisfatto di questa nomina?

Panetta è un uomo delle istituzioni e ha l’equilibrio e le competenze indispensabili per svolgere un ruolo così delicato e importante.

Tommaso Nutarelli

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Giornalista de Il diario del lavoro.

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