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Home - Rubriche - Il guardiano del faro - L’empatia di Exodus

L’empatia di Exodus

di Marco Cianca
31 Ottobre 2023
in Il guardiano del faro
L’empatia di Exodus

Exodus è un filmone diretto da Otto Preminger nel 1960. Narra, trasmettendo una contagiosa empatia, le avventure di un gruppo di ebrei scampati ad Auschwitz che, dopo la sconfitta del nazismo, riesce a raggiungere la terra promessa. Assistere, sia pure nella finzione scenica, alla nascita di Israele, mentre il sangue, l’odio, il dolore irrorano di nuovo gli ulivi, fa una strana impressione. Il regista, naturalizzato statunitense ma nato in Ucraina da una famiglia fedele alla religione di Mosè, ha impresso nella pellicola le fragili, ambigue, violente origini di una contesa che dura, irrisolta, dal 14 maggio 1948.

Il dialogo tra il generale inglese Sutherland, responsabile militare di Cipro dove sono segregati i profughi che con una nave vorrebbero arrivare ad Haifa, e Kitty Fremont (interpretata da Eva Marie Saint) è più efficace di qualsiasi ponderoso saggio. Spiega l’alto ufficiale: “La Palestina è sotto mandato britannico per ordine della Lega delle Nazioni. Abbiamo il compito di mantenere la pace. Ma gli arabi non la manterranno se lasceremo immigrare altri ebrei”. Replica la donna: “Non so del mandato ma so che agli ebrei è stata promessa una patria in Palestina”.

Risposta: “Nella Prima guerra mondiale, la Gran Bretagna ha accettato l’aiuto degli ebrei. In cambio, con la dichiarazione di Balfour del 1917 ha fatto quella promessa che è stata riconfermata durante la Seconda guerra mondiale”. Insiste l’interlocutrice: “Come potete promettere qualcosa senza poi mantenerla?”. Risposta. “Nel 1917 l’Inghilterra combatteva per sopravvivere. Le nazioni in certe circostanze sono come le persone. Fanno promesse che poi non riescono a mantenere. In quella crisi ci siamo impegnati anche con gli arabi che da allora hanno le proprie pretese. Sono irremovibili sull’immigrazione ebraica e ci serve la loro amicizia”. “Come potrà mai finire?”. “Non lo so”, ammette sconsolato il generale mentre intinge un biscotto nel the.

Il 2 novembre del 1917 il ministro degli Esteri inglese, Arthur James Balfour, aveva scritto una lettera a Lionel Walter Rotschild, impegnato nell’organizzazione del movimento sionista, annunciando: “Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina”.

E già, perché, l’Inghilterra, impregnata di biblico romanticismo e alla ricerca di affidabili alleati, contava sui Rotschild ma aveva anche bisogno dei beduini per combattere i turchi (ricordate Lawrence d’Arabia?) e farla da padrona nella spartizione dell’Impero Ottomano. Commentò con triste ironia Arthur Koestler “C’era una Nazione che promise ad un’altra Nazione la terra di una terza Nazione”.

In “Exodus”, questa ipocrisia di fondo impregna tutta la trama. Nel finale, il protagonista Ari Ben Canaan (un indimenticabile Paul Newman), seppellisce fianco a fianco il suo amico Taha, un mussulmano che si era rifiutato di obbedire ai feroci ordini del Gran Muftì, e la giovanissima Karen, uccisa mentre difendeva il kibbuz. E sentenzia: “E’ giusto che riposino l’uno accanto all’altra in questa tomba, perché la divideranno in pace. Ma i morti condividono sempre la terra in pace e non è abbastanza.  Adesso è arrivato il turno dei vivi. Qui vicino stanno combattendo e dobbiamo raggiungerli, ma giuro su questi due corpi che arriverà il giorno in cui arabi ed ebrei divideranno, in pace, la terra che da sempre dividono da morti. Shalom”.

Che aggiungere? Solo che a prevalere sono sempre l’ipocrisia del potere e gli interessi economici. Esecriamo la barbaria dei terroristi, vorremmo fermare la mattanza di Gaza, eppure accettiamo che paesi come il Qatar, uno degli stati più ricchi al mondo, accusato di essere l’eminenza grigia e il finanziatore di Hamas, ci venda a caro prezzo il suo petrolio, attiri a suon di dollari intelligenze e professionalità eccellenti, metta le mani in grandi banche e aziende internazionali, possegga squadre come il Paris Saint Germain. Abbiamo giocato in casa degli emiri persino i mondiali di calcio, dicendo poco o niente sulla violazione dei più elementari diritti. Pecunia non olet.

“Entrate nella Borsa di Londra. Lì l’ebreo, il maomettano e il cristiano si trattano reciprocamente come se fossero della stessa religione, e chiamano infedeli solo quelli che fanno bancarotta”. Voltaire, Lettere Filosofiche, 1734.

Marco Cianca

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