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Home - Approfondimenti - Interviste - Esposito (Fisac-Cgil), banche e assicurazioni stanno bene ma l’intelligenza artificiale porterà grandi sfide. Dalla Bce una politica dei tassi sbagliata

Esposito (Fisac-Cgil), banche e assicurazioni stanno bene ma l’intelligenza artificiale porterà grandi sfide. Dalla Bce una politica dei tassi sbagliata

di Tommaso Nutarelli
19 Luglio 2024
in Interviste
Esposito (Fisac-Cgil), banche e assicurazioni stanno bene ma l’intelligenza artificiale porterà grandi sfide. Dalla Bce una politica dei tassi sbagliata

Un settore del credito e assicurativo in ottima salute. È questo il giudizio di Susy Esposito, segretaria generale della Fisac-Cgil. La categoria, spiega Esposito, sarà chiamata a governare i grandi cambiamenti dell’intelligenza artificiale e il sindacato dovrà farsi trovare pronto garantendo il benessere lavorativo, gli avanzamenti professionali e tutelando lavoro e diritti. Per la numero uno dei bancari della Cgil la Bce avrebbe dovuto intraprendere una politica di riduzione dei tassi più decisa, visto il calo dell’inflazione.

Segretaria quali sono i numeri della desertificazione bancaria?

La riduzione degli sportelli e quindi anche del personale si è un po’ attenuata ma è sempre molto consistente. Alla fine del 2023 avevamo già perso, in cinque anni, 5mila sportelli, ossia il 20% del totale, passando da 25 a 20mila, mentre i dipendenti avevano subito una riduzione del 6%, pari a 16mila unità, da 278mila a 262mila. Tra il 2022 e il 2023 la diminuzione degli sportelli, in percentuale, è stata del 3,9%, cioè 825, mentre tra gli addetti dello 0,8%, 2.156.

In quali aree del paese è più intenso il fenomeno?

Le regioni con i maggiori decrementi di lavoratori, superiori al 3%, sono state Liguria, Marche, Toscana, Umbria, Puglia e Sardegna. Mentre per quanto riguarda gli sportelli sono Abruzzo, Marche, Molise e Basilicata, con tassi di contrazione al 25%. Di fatto l’autonomia differenziata noi già la stiamo vivendo tra aree interne e città, sud e nord.

Come invertire questa tendenza?

Le banche non sono unicamente imprese private che devono fare reddito ma rivestono un ruolo sociale, perché stanno accanto alle comunità, ai cittadini e alle imprese. Una banca è anche un presidio di legalità. Per invertire questa rotta serve insediare, nel Mezzogiorno così come nelle aree dove insiste il fenomeno della desertificazione, poli direzionali e decisionali, bancari e assicurativi, per offrire opportunità non solo occupazionali e salariali ma anche di sviluppo e crescita di queste aree. L’innovazione tecnologica dà questa possibilità. Va dunque rivista l’organizzazione del lavoro, andando verso una logica di centri polifunzionali. Oppure si può pensare anche a spazi di coworking o hub. Tutto questo può contribuire allo sviluppo locale, , alla creazione lavoro qualificato e di una nuova classe dirigente. Invece assistiamo a operazioni di accentramento solo verso alcuni territori. Va detto che questo scenario lo stiamo registrando nel settore del credito ordinario, mentre in quello cooperativo c’è un maggior equilibrio e ancora una permanenza sui territori. Il punto è che le banche si pensano come imprese industriali classiche. Si definiscono imprese dell’industria bancaria. Ma così non sono.

Servirebbe anche altro?

Manca una nuova regolazione del ruolo delle banche. In passato, lo Stato interveniva nelle contrattazioni e negli indirizzi. La politica ha fatto un passo indietro, anzi l’ha fatto in direzione contraria: è venuta meno una politica industriale, ma il mercato da solo non basta. Quindi bene i contratti, bene la contrattazione ma da troppo tempo manca il terzo attore, l’intervento pubblico.

In che stato di salute si trova il settore?

Le nostre banche stanno benissimo, come ha certificato di recente la Consob. Abbiamo sottoscritto un ottimo contratto, sotto il profilo economico, della riduzione dell’orario di lavoro e del benessere lavorativo. Gli istituti di credito stanno macinando utili da record, tuttavia le banche stanno ancora prevedendo piani di esodo con un tasso di sostituzione tra entrate e uscite del 50%, ossia un’entrata a fronte di due uscite, quando noi chiediamo che a un’uscita corrisponda un ingresso.

Si può pensare di riproporre una tassazione sugli extra profitti dopo il maldestro tentativo del governo?

La tassazione sugli extra profitti è stata una promessa elettoralistica che alla fine non si è concretizzata. Noi come Fisac abbiamo sempre sostenuto gli aumenti degli interessi sui conti correnti, perché non c’è corrispondenza tra interessi attivi e passivi delle banche. Questo avrebbe innescato già una sorta di redistribuzione.  È del tutto legittimo prevedere, come fatto da altri paesi, un contributo straordinario sottoforma di tassazione degli extra profitti. Ma per noi andrebbe rivista tutta la tassazione, nel suo insieme, per le banche e le imprese. Ires, Irap e la tassazione sulle rendite sono tutte imposte piatte, quando invece dovrebbero essere all’insegna della progressività. Ma sono parole al vento perché questo governo sta prevedendo la flat tax. Se invece si ragionasse in termini di progressività già ci sarebbe la tassazione sugli extra profitti, non bisognerebbe far nulla. La progressività è equità. Il fisco non è un nemico, perché su di esso si costruisce il sistema paese, il welfare, la sanità e la scuola.

Venendo ai singoli istituti, c’è in atto un vero e proprio braccio di ferro tra voi e Banco Bpm. Perché?

Prima di Banco Bpm abbiamo fatto un accordo sugli esodi con altri istituti. Con Bnl abbiamo raggiunto un tasso di sostituzione tra uscite ed entrate all’83%, mentre con Bper al 75%. Quindi le 1600 uscite a fronte degli 800 ingressi, prospettati da Banco Bpm nel suo piano industriale, non possiamo accettarle, ed è un’anomalia del settore perché le uscite si contrattano ai tavoli di trattativa. Noi siamo pronti al confronto ma è evidente che c’è bisogno che anche Banco Bpm dimostri al tavolo negoziale la volontà di trattare.

Altra situazione di crisi è quella alla Deutsche Bank. Che sta avvenendo?

Deutsche Bank non sta attivando il fondo di solidarietà e sta portando avanti delle trattative unilaterali con i singoli dipendenti. Con questa modalità vengono meno tutta una serie di garanzie che, invece, vengono previste negli accordi tra sindacati e banca.

Avete indetto anche il primo sciopero di Borsa Italiana. Quali motivi vi hanno spinto?

Da quando Borsa Italiana è entrata in Euronext i principali azionisti sono Cassa depositi e prestiti e il suo omologo francese. L’accordo prevedeva un assetto di tipo federativo e non competitivo, e questo non è stato. Borsa Italiana sta perdendo autonomia direzionale, stanno mandando via le figure apicali con una dispersione di competenze. Non ci sono percorsi di avanzamento professionali e tecnologici. Venendo meno l’autonomia italiana si piccona anche la posizione delle società italiane, senza dimenticare la funzione di controllo e di sicurezza che ha Borsa Italiana nei confronti sia del debito pubblico sia per la nostra finanza. Accanto a questo non c’è tenuta occupazionale, sul fronte salariale è una delle poche realtà che è ricorsa agli assorbimenti economici del rinnovo contrattuale. Abbiamo messo in campo la vertenza sindacale e poi abbiamo chiesto un incontro con il governo, che ci ha detto che avrebbe convocato la parte datoriale. Siamo in attesa di capire a cosa porteranno le interlocuzioni.

Passando al mondo delle assicurazioni, voi avete stilato un report sul settore. Che cosa è emerso?

Nel 2023 sono stati 8 miliardi gli utili delle imprese assicurative, rispetto ai 5,7 miliardi del 2022. La redditività del capitale ha un ritorno pari al 10,5%. I numeri certificano dunque un settore forte, ritornato ai livelli pre covid, che ha tenuto bene anche davanti all’aumento dei sinistri catastrofali, come le alluvioni. È bene ricordare che le ottime performance, come anche nelle banche, sono merito delle persone che vi lavorano.

State lavorando per presentare la piattaforma per il contratto Ania. Che richieste avanzerete?

Con Ania abbiamo fatto un incontro, sulla verifica inflattiva, così come prevedeva il contratto nazionale, che però non è andato a buon fine perché non ritengono necessario un adeguamento del salario. Sul versante della piattaforma, premesso che il contratto non è ancora scaduto, le nostre richieste verteranno principalmente su retribuzioni e orario di lavoro.

Come impatterà l’intelligenza artificiale su banche e assicurazioni? Il sindacato è pronto a queste sfide?

La Fisac farà un’iniziativa pubblica sul tema a ottobre. Siamo consapevoli che le trasformazioni in atto saranno molto forti e ben visibili. Potremmo avere impatti sulla tenuta occupazionale, su percorsi professionali e sviluppi di carriera, di consapevolezza sul come si strutturerà la digitalizzazione. Dobbiamo intervenire dunque sulle professionalità, le competenze e la formazione. Il sindacato può farsi trovare pronto definendo priorità e obiettivi, come la tutela del benessere lavorativo, gli avanzamenti professionali e la difesa del lavoro e dei diritti.

Come valuta la politica monetaria della Bce, anche alla luce delle rivendicazioni salariali in atto?

La Bce non sta agendo sulla base dell’andamento dell’economia e lo stesso governatore della Banca d’Italia, Panetta, insiste sulla necessità di aumentare le retribuzioni. Visto l’abbassamento dell’inflazione ci si attendeva una discesa più veloce dei tassi di interesse, mentre il calo fatto da Francoforte a inizio giugno è stato solo dello 0,25%. Un ritardo della Bce che paghiamo con tassi di interesse alti e scarsa remunerazione dei depositi che hanno mantenuto altissimo il livello dei ricavi dalla gestione del denaro. Una frenata della domanda dei prestiti per il costo del denaro e per la debolezza della domanda interna. La discesa lenta dei tassi può risultare un problema per i conti pubblici dei paesi e per l’economia reale. Servirebbero anche nuovi strumenti di liquidità sovranazionali, come forme di quantitative easing o eurobond per realizzare nuovi investimenti e proteggere dallo spread e quindi dalla speculazione il debito pubblico.

Tommaso Nutarelli

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