“In Parlamento non ci sono i voti” va ripetendo a Bruxelles il ministro del Tesoro, Giorgetti, sollecitato a varare la ratifica del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), per la quale, da tempo, 26 paesi Ue attendono il voto definitivo dell’unico paese mancante: l’Italia. Impagabile faccia tosta, di quelle che si esibiscono al bar della natia Cazzago Brabbia, nel Varesotto. Perché non è vero che i voti in Parlamento non ci sono: la ratifica sono pronti a votarla, dall’opposizione, i partiti di centro e il Pd. Giorgetti dovrebbe confessare piuttosto: “Il mio partito non la vota e la maggioranza di governo si spacca”.
Rieccoci. All’improvviso, dalle segrete di Bruxelles, si è levato nuovamente il fantasma ululante del Mes e torna a perseguitare la destra italiana. Come in tutte le buone storie horror, perché è la destra che lo ha creato e, da bravo spettro di famiglia, è lo specchio delle sue contraddizioni. A cominciare dall’esemplare dimostrazione di come si possa restare prigionieri della propria propaganda. Vale anche per i 5Stelle che, all’epoca, sul Mes spararono a zero anche loro: ma i 5Stelle non hanno il problema di far andare avanti il governo.
Il Mes non è mai stato – e certamente non è oggi – quel cappio al collo, evocato dalle campagne di cui Fratelli d’Italia e la Lega fanno, oggi, fatica a liberarsi. Il nuovo Mes (perché, intanto, il vecchio Fondo Salva-Stati, che il nuovo trattato dovrebbe reinventare, resta in piedi) si compone di due bracci. Il primo è il completamento dell’Unione bancaria, necessario per dare al sistema finanziario europeo quella stabilità cruciale per attirare investimenti dal resto del mondo. Si tratta di avere a disposizione un tesoretto a Bruxelles, a cui far ricorso se e quando, in caso di una crisi bancaria, i vari fondi nazionali, creati per garantire i depositi, non risultassero sufficienti. Una sorta di polizza di assicurazione aggiuntiva e definitiva per risparmi e investimenti in Europa.
Il secondo braccio è quello che giustifica il nome di Salva-Stati. In caso di crisi finanziaria di un paese, il Mes può intervenire in soccorso, ponendo però, al paese in questione, condizioni che assicurino il risanamento. E’ qui che, nella propaganda di Fdi e Lega, compare il ricordo della troika (Bce,Fmi e Commissione) che dieci anni fa, per salvare la Grecia impose condizioni stringenti, tradotte in pesanti sacrifici per la popolazione. In realtà, oggi, le crisi finanziarie verrebbero affrontate in un altro modo, la presenza di un aiuto esterno è anche una garanzia e, in ogni caso, dato che, nella gestione del Mes, l’Italia ha un potere di veto (senza il voto italiano, non c’è una maggioranza sufficiente nel consiglio direttivo), nessuno ci può camminare sulla testa.
E’ importante, tuttavia, capire perché la ratifica del Mes sia tornata sul tavolo proprio ora. Ipotetiche crisi delle finanze pubbliche non c’entrano. I motivi sono due.
Gli sconquassi creati dall’attivismo di Donald Trump alla Casa Bianca hanno determinato una emorragia di investimenti sui mercati finanziari americani e un rinnovato interesse verso l’area dell’euro. Il ruolo mondiale del dollaro non è in discussione, ma l’Europa sta diventando un polo di attrazione per gli investimenti della grande finanza (fondi, banche, finanziarie) e, a cascata, per il risparmio diffuso. Un sistema bancario solido e sicuro è un prerequisito indispensabile e non rinviabile per guadagnare spazio su questo terreno e allargare il ruolo mondiale dell’euro. Ecco perché, a Bruxelles, si avverte una urgenza nuova di rilancio del Mes.
Il Fondo – o, meglio, il suo tesoretto – possono, tuttavia, svolgere anche una funzione più attiva della semplice polizza bancaria. Nelle sue casse ci sono poco meno di 100 miliardi di euro versati, di cui 15 risalgono all’Italia (Salvini, che trumpianamente, spara parole a caso, parla di 15 miliardi d’anno, mentre si tratta di 15 miliardi di euro una tantum). Ma, su questo zoccolo, a garanzia, di 100 miliardi, è normale emettere, sui mercati finanziari, titoli per 700 miliardi. In altre parole, il Mes è in grado di indebitarsi e, dunque, rastrellare denaro, per 700 miliardi di euro. Questa “potenza di fuoco” finanziaria, oggi, è inutilizzata. Ma in molti pensano che potrebbe essere utilizzata per i piani di rafforzamento della difesa europea, già tratteggiati a Bruxelles. Per far fronte all’uscita di scena degli americani, Ursula von der Leyen ha, infatti, proposto un piano di armamento per 800 miliardi di euro in quattro anni. Una buona quota potrebbe essere già pronta attingendo a parte dei 700 miliardi del Mes.
Insomma, sulla ratifica del Mes si sta ingaggiando una battaglia che è tutt’altro che di principio. La scappatoia fiutata da Giorgia Meloni, ovvero una rinegoziazione – magari anche solo formale – del trattato non sembra praticabile, visto che costringerebbe i 26 paesi che hanno già firmato a ricominciare da capo il processo di ratifica. Alla fine, la strettoia imboccata dalla destra si è rivelata, dunque, per quello che è: un vicolo cieco. Che dovrebbe portare anche le teste pensanti di Fratelli d’Italia e della Lega a interrogarsi su che tipo di Europa vogliono e se, davvero, ne vogliono una. Perché il Mes è quello che Salvini e soci invocano quando parlano di un’Europa diversa: una Unione in cui gli Stati contano sempre di più e gli organismi comunitari sempre meno. Il Mes è esattamente questo: un organismo esterno alla Commissione, in cui tutto è in mano ai governi e niente alla burocrazia di Bruxelles. Se neanche questo va bene, allora, forse, quello che vogliono, dietro le dichiarazioni di facciata, è niente Europa.
Maurizio Ricci