“L’Istat conferma le analisi e le preoccupazioni della Cgil sulle difficili condizioni del Paese: l’economia è stagnante, negli ultimi cinque anni la perdita salariale è stata del 10,5%, i giovani sono precari e si è poveri pur lavorando. Per questo i referendum dell’8 e 9 giugno rappresentano una straordinaria occasione per invertire queste tendenze, restituendo alle cittadine e ai cittadini il diritto di decidere sulla loro condizione”. Così il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, commenta il Rapporto annuale diffuso quest’oggi dall’Istat.
“Nel 2024, il crollo dei salari – sottolinea il leader della Cgil – è stato tamponato solo dal rinnovo di alcuni importanti contratti collettivi nazionali di lavoro”. “Nel 2024 – prosegue Landini – si riduce la produttività del lavoro del 2% rispetto all’anno precedente, 8 nuovi occupati su 10 hanno più di 50 anni, anche per effetto delle dinamiche demografiche e per l’allungamento della vita lavorativa. La condizione giovanile si caratterizza per l’alta precarietà dei rapporti di lavoro: più di un terzo dei giovani con meno di 35 anni e quasi un quarto delle donne hanno un contratto a termine e/o un part-time involontario. Registriamo il tasso di occupazione più basso dell’Europa a 27”.
“La povertà assoluta – prosegue il segretario generale – si conferma un fenomeno strutturale, coinvolge 5,7 mln di persone e continua a diffondersi anche tra chi lavora, come bene evidenzia l’Istat, con un aumento delle persone i cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato, quindi si è sempre più poveri anche lavorando”.
Per il leader della Cgil “tutto ciò avviene in un contesto demografico sempre più drammatico, con la popolazione residente che continua a calare inesorabilmente, dove il problema non è l’immigrazione, ma semmai l’aumento dell’emigrazione dei giovani”.
“In questo contesto, la campagna referendaria vuole restituire alle cittadine e ai cittadini il diritto di decidere sulla loro condizione, vuole aprire una fase nuova per il Paese per rimettere al centro i diritti, soprattutto delle nuove generazioni”, conclude Landini.
Secondo la segretaria confederale della Uil, Vera Buonomo “il Rapporto Annuale 2025 dell’Istat dimostra che l’Italia è ferma su un modello economico che non valorizza il lavoro. Salari reali ancora troppo bassi e una produttività che arretra, sono due fragilità strutturali che continuano a frenare il Paese, alimentando disuguaglianze, precarietà e mancanza di prospettive per milioni di lavoratrici e lavoratori”.
“Sul fronte dei salari, le retribuzioni contrattuali sono aumentate ma non abbastanza da colmare il gap creato negli anni passati. Dal 2019 al 2024, l’inflazione è cresciuta del 21,6%, mentre i salari contrattuali sono aumentati solo del 10,1%. Dobbiamo incentivare la contrattazione collettiva – ha proseguito la segretaria – che rimane uno strumento essenziale per garantire un effettivo recupero del potere d’acquisto di lavoratrici e lavoratori”.
“Anche il calo della produzione industriale italiana è un segnale grave, sintomo di un sistema produttivo che cresce poco perché non si investe abbastanza in innovazione e competenze. Inoltre, sebbene l’Italia sia tra i Paesi europei più colpiti dagli eventi climatici estremi, continua a investire troppo poco anche in energia pulita e filiere sostenibili, ma – ha sottolineato Buonomo – non ci può essere transizione ecologica senza lavoro, né neutralità climatica senza una solida base industriale”.
“Per rafforzare salari e produttività non bastano interventi occasionali: occorre una strategia industriale chiara che punti su qualità, formazione e innovazione, serve una transizione giusta – Ha concluso la Buonomo – affinché il lavoro torni al centro delle politiche industriali e ambientali”.
Più positivo il giudizio della Cisl, che con il segretario confederale Mattia Pirulli afferma che “il Rapporto annuale Istat conferma un dato positivo: nel 2024 l’occupazione è cresciuta in modo sostenuto, con oltre 350.000 nuovi occupati, trainata soprattutto dal lavoro stabile. Ma a fronte di questa crescita, la produttività del lavoro continua a calare, segno che l’espansione dell’occupazione ha superato quella del valore aggiunto.”
Non si tratta quindi, secondo la CISL, di un’occupazione “precaria” in senso contrattuale, quanto piuttosto di posti concentrati in settori a basso valore aggiunto e produttività, con salari ancora troppo bassi. “Le forme di lavoro flessibile sono in calo da quattro anni e restano circoscritte ai giovani, spesso come strumento di ingresso o attesa di stabilizzazione. Il vero problema – prosegue Pirulli – è la presenza di sacche di precarietà legate a bassa innovazione e scarse competenze.”
Per la CISL, non servono interventi normativi punitivi che rischiano di spingere verso forme di lavoro meno tutelate. “Serve invece puntare su orientamento, formazione e incontro tra domanda e offerta, sfruttando l’attuale fase positiva del mercato del lavoro. Occorre colmare il gap digitale, con competenze ancora troppo deboli rispetto alla media europea.”
Pur in un contesto di calo della produttività nel 2024, dovuta in particolare all’aumento delle ore lavorate, le retribuzione sono cresciute più dell’inflazione e continuano a crescere in maniera sostenuta anche nei primi mesi del 2025. Ciò sta producendo un recupero del potere di acquisto delle retribuzioni maggiore nel settore privato rispetto al settore pubblico che sconta i mancati rinnovi dei contratti di lavoro pur in presenza di uno stanziamento delle relative risorse finanziarie. In alcuni settori del privato il pieno recupero delle retribuzioni lorde di fatto potrebbe avvenire, fatto salvo possibili effetti delle instabilità geopolitiche ed economiche, già quest’anno come segnalato ieri dalla stessa Commissione Europea.
“Per migliorare la qualità del lavoro bisogna migliorare la qualità della nostra struttura produttiva e delle competenze, puntando su innovazione digitale e sostenibilità ambientale offrendo posti di lavoro di qualità e prospettive certe per i giovani evitando che lascino il paese” – afferma Pirulli – “Solo così potremo sostenere una crescita durevole dell’occupazione, dei salari e della produttività”.