Le discriminazioni non vanno in vacanza, ma nemmeno la militanza per il loro contrasto si riposa. Al Parco del Torrione, una piccola isola verde lungo via Prenestina a Roma, le associazioni Nonna Roma, Trentaformiche e Arci Sparwasser hanno organizzato un ciclo di incontri sui temi del sociale nel cuore di uno dei quartieri della prima periferia romana più interessati da un impattante processo di gentrificazione, fenomeno che se da un lato porta alla riqualificazione urbana, dall’altro comporta l’espulsione di tanti residenti, studenti e lavoratori che non riescono ad affrontare l’esorbitante costo della vita aumentato di conseguenza. Una vera e propria marginalizzazione sociale che sembra collaterale all’incontro di ieri sera, ma che invece le è del tutto complementare.
Azzurra Rinaldi ha dialogato sul suo nuovo libro Come chiedere un aumento. Strategie e pratiche per darti il giusto valore con la segretaria confederale della Cgil nazionale, Lara Ghiglione, la fondatrice di del fondo femminista Semia, Miriam Mastria, e la giornalista Federica Pennelli, che ha moderato l’incontro. Al centro il tema del gender pay gap, letto come disuguaglianza nella disuguaglianza in ottica di intersezionalità. Rinaldi è un’economista femminista direttrice della School of Gender Economics all’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, dove insegna Economia politica, attivista dei diritti delle donne e co-fondatrice di Equonomics e dei movimenti Il Giusto Mezzo e #DateciVoce. Il suo nuovo libro, in continuità con il precedente Le signore non parlano di soldi, è una guida pratica rivolta alle donne su come negoziare il proprio compenso, tratteggiando una situazione economica squilibrata che quasi mai è a favore delle lavoratrici. Rinaldi offre strumenti concreti per combattere questa asimmetria partendo da un dato: in Italia non si parla di soldi, tema considerato “volgare” soprattutto per le donne che, in questo modo, sono portate a svalutare il proprio lavoro. Di soldi non si parla a scuola, in famiglia, nella coppia: una donna su due non ha un conto corrente personale. Ma parlare di denaro, afferma l’autrice, è uno strumento di militanza per riprendersi il giusto e scardinare lo schema che relega le donne alla passività.
Rinaldi smonta il luogo comune che “volere è potere”: no, il desiderio si scontra con la realtà che nega il giusto riconoscimento alle donne, instradandole verso la trappola della povertà. Il tema del reddito, infatti, è centrale, soprattutto alla luce del fatto che l’Italia è l’ultima in Europa per potere d’acquisto del salario medio (al palo da 30 anni). Su questo, per le donne, pesa anche il riconoscimento del lavoro di cura, tema legato a doppio filo al capitalismo inteso come sistema di produzione basato sullo sfruttamento. Ma l’indipendenza economica è un importante fattore di autodeterminazione: pur combattendo le logiche capitalistiche, è innegabile che i soldi siano indispensabili per essere liberi. Senza paghe adeguate, in attesa di una valutazione che quantifichi quanto valiamo e per la reticenza a contrattare paghe adeguate con i datori, aumenta il rischio di povertà, che si acuisce soprattutto quando l’inteserzionalità è più forte e un set di privilegi dalla nascita è assente. È per questo che abbiamo bisogno di nuova coscienza, per liberarci dai gangli di un’oppressione calata dall’alto e per compensare la colpevole latitanza delle politiche per l’emancipazione economica. Un libro militante, dunque, che non si arrende al silenzio istituzionale e che anzi lo scuote dal basso.
Ma il tema si muove anche dal singolo al collettivo, come sottolinea nel suo intervento Lara Ghiglione. Come un sindacato può opporsi a questo sistema? Il problema, secondo la segretaria, risiede nelle quantità e qualità del lavoro femminile e quindi in un mercato del lavoro che penalizza le donne: così strutturato, infatti, rivela di essere figlio di una certa cultura retrograda di questo Paese. Si tratta di una segregazione sia orizzontale che verticale, che fa leva sulla condizione di bisogno e che costringe le donne accettare condizioni penalizzanti rispetto agli uomini. Come già evidenziato, un ruolo cruciale è svolto dalla iniqua divisione dei carichi di cura e in questo senso i fondi del PNRR sul divario occupazionale sono stati un’occasione persa: continuano a non esserci servizi alla genitorialità sufficienti, prima tra tutti il congedo paritario tra padri e madri. Occorre, quindi, creare lavoro, rafforzare il sostegno alla genitorialità e mettere a punto strumenti per il loro mantenimento.
Da un punto di vista più strettamente sindacale, si conferma il ruolo fondamentale della contrattazione: un anticorpo contro le diseguaglianze, una leva per il miglioramento che tuttavia non trova efficacia per chi non è soggetto alla contrattazione collettiva a causa della eccessiva parcellizzazione del lavoro. Rimuovere gli ostacoli per l’accesso al lavoro e alla contrattazione è quindi un imperativo che Ghiglione rivolge sia al sindacato che, virtualmente, alle Istituzioni, soprattutto attraverso l’estensione della validità erga omnes dei contratti.
Il gender pay gap, infatti, conosce percentuali inaccettabili per un Paese civile: del 17% nel pubblico, del 25% nel privato, del 30% tra liberi professionisti. È un problema culturale, ribadisce la sindacalista, che sottolinea anche l’importanza di agire di più sulla contrattazione di secondo livello. Inoltre, le basse retribuzioni delle donne si scaricano poi sulla previdenza, generando un circolo vizioso di diseguaglianze anche nella fase della vita di maggiore fragilità (contando anche che le donne sono più longeve degli uomini). “Bisogna contrattare non solo contro le discriminazione, ma per prevenirle”. Non manca uno sguardo al futuro prossimo e al tema dell’intelligenza artificiale, che allenata da dati di per sé discriminanti non potrà che perpetrare la discriminazione se non si agisce in fretta.
Tuttavia, la questione non è solo economica, perché anche le disposizioni normative rischiano di aumentare la segregazione delle lavoratrici. Lo smart working, ad esempio, può diventare un boomerang per le donne, che potrebbero così venire isolate dagli spazi e prassi ordinari della socialità lavorativa. Occorre, quindi, insistere di più su una migliore contrattazione dell’organizzazione del lavoro e, non ultimo, sulla sicurezza (in un mondo in cui tutto, dai dispositivi di protezione alle malattie professionali, è tarato sul corpo dell’uomo).
Un passaggio di particolare interesse Ghiglione lo ha rivolto proprio al mondo sindacale: le buone pratiche della contrattazione di genere devono essere assimilate anche dai dirigenti sindacali uomini che siedono ai tavoli, laddove i settori più partecipati dalle donne sono quelli con più difficoltà nella contrattazione. Anche per questo, per approfondire i temi del femminile, in Cgil è stata messa a punto la piattaforma BelleCiao, assunta dal XIX Congresso Cgil attraverso la relazione programmatica del Segretario generale il 18 marzo 2023. La piattaforma di genere BelleCiao è frutto di un lavoro di confronto e condivisione tra la Cgil nazionale, le categorie e i territori e ha come obiettivo prioritario quello di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle donne, anche a partire dalla loro piena partecipazione alla vita economica, politica e sociale del Paese.
La Cgil, si legge nel descrittorio, ritiene che nessun avanzamento culturale, sociale ed economico del Paese possa essere realizzato se non si raggiunge una piena parità di genere che porti al superamento di tutte le forme di discriminazione di cui le donne sono ancora vittime. Per questo impegna tutta l’Organizzazione al rispetto degli obiettivi e degli impegni assunti nella Piattaforma di genere BelleCiao.
Le attività spaziano da occupazione e qualità del lavoro, salari e organizzazione del lavoro, politiche previdenziali, qualità della vita, salute e sicurezza, contrasto alle molestie e alla violenza, qualità e quantità della partecipazione in Cgil.
Elettra Raffaela Melucci