Un paese in bilico come il nostro non riesce da anni a procedere per priorità come dovrebbe avvenire nel caso delle giovani generazioni. Si sconta una politica centrata sull’oggi, sulle contrapposizioni, su problemi anche seri ma risolvibili a colpi di slogan. E rimane uno spazio residuale per cimentarsi su politiche che possono aprire orizzonti importanti per i giovani nel futuro. Ed è un vero peccato perché, quando poi si va ad investigare tendenze e aspirazioni dei giovani, ci si accorge che diversi cliché per giudicare i loro comportamenti vengono meno anche se emerge una fragilità di fondo che non può certo addebitarsi alle loro scelte individuali ma piuttosto alla complessità della vita economica e sociale.
Così si scopre che non è vero che diffidino della famiglia, non è vero che in gran parte dei giovani prevalga un sentimento nichilista, non è vero che siano estranei a questioni fondamentali per il futuro, prima fra tutte quella dell’ambiente che si traduce spesso in ansia per il domani che li aspetta.
Ed oggi, più che mai, i giovani sono soli di fronte all’avanzata dell’intelligenza artificiale e dei meccanismi che regolano l’uso delle tecnologie e che non di rado si trasformano in nuove pericolose dipendenze come è nel caso dei giochi.
La politica appare distratta su questo versante, al massimo concede un’attenzione paternalistica che dura assai poco e non produce effetti, quando invece la questione giovanile è un grande problema nazionale che dovrebbe essere affrontato con un’attitudine al confronto, alla ricerca di soluzioni utili comuni, all’utilizzo di tutti gli strumenti in grado di fornire tempestivamente un monitoraggio sulle esigenze e sulle difficoltà che le giovani generazioni incontrano.
E non è solo un problema di scuola-lavoro, anche se, nell’indifferenza quasi generale, oggi si manifestano nuove diseguaglianze e soprattutto la mancanza di politiche economiche in grado, in Italia come in Europa, di riattivare un credibile ascensore sociale. Ed i giovani a migliaia, malgrado tutto, non si rassegnano e cercano altrove una risposta alle loro aspettative.
Inutile girarci attorno, il problema c’è ed è molto serio. Lo documentano i dati che ricordano la durata della disoccupazione giovanile più alta che in altri Paesi europei, i bassi salari, la consistenza del fenomeno che riguarda chi non studia e non lavora, ma anche le risorse che, sia pure limitate, si riversano molto di più sulla condizione anziana che su quella giovanile, creando per giunta una competizione fra le diverse classi di età che andrebbe invece scongiurata.
In realtà uno strumento ci sarebbe ed è in discussione in Parlamento: la Valutazione di Impatto Generazionale che segue altri strumenti simili come, ad esempio, l’analisi di impatto della regolazione di una norma o quello ex post che, però, non hanno raggiunto finora risultati pari alle attese. Eppure, le politiche economiche e di indirizzo professionale per i giovani potrebbero avvalersi di uno strumento che, se usato bene diverrebbe non solo “regolatore” di interventi e di uso di risorse disponibili ma anche “programmatorio” per realizzare scenari futuri in grado di sollecitare i giovani ad avere fiducia e darsi da fare come vorrebbero.
La valutazione di impatto generazionale, naturalmente, non dovrebbe sprofondare nei difetti tipici della nostra Amministrazione pubblica, vale a dire nello stornare risorse alle prime difficoltà di bilancio, nel procedere senza una progettualità di media-lunga durata, nell’arrestarsi nella giungla di attuazioni burocratiche lente e dispersive.
Potrebbe, invece, rivelarsi il braccio efficace di una nuova programmazione economica che tenga insieme contesti di tipo nazionale e locale, utilizzando anche le esperienze regionali e cittadine già presenti in Italia. Il nostro mondo produttivo è in continuo e radicale cambiamento, così pure la vita economica. Se si insegue o ci si illude con aspirazioni ideologiche si fa inevitabilmente un buco nell’acqua che provoca ritardi. Servono quindi strumenti capaci di verifiche sul campo ed al tempo stesso agili e dinamici nel cogliere la mutevole situazione economica e sociale. Ed al tempo stesso utilizzabile sia in sede politica e legislativa che in quella non meno importante delle relazioni industriali fra le parti sociali. Un punto di riferimento accettato unanimemente che possa fare da tracciabilità per cogliere opportunità e sciogliere nodi inevitabili. Ma serve volontà politica ed una consapevolezza delle parti sociali che questo VIG (valutazione di impatto generazionale) possa assolvere anche al ruolo di riconoscere il valore delle proposte e della “conoscenza” presenti nella azione di imprese sindacati ma non solo. Si tratterebbe di ridurre il peso di una autoreferenzialità politica che al dunque di solito si risolve in immobilismo e non certo in cambiamento.
È ovvio che non si sta parlando di un atto taumaturgico, semmai di avvicinare quella buona politica che sta con i piedi per terra ma sa anche guardare oltre il contingente, che affronta il presente ma senza dimenticare che si deve costruire per i tempi futuri. E viene quindi da sé che l’introduzione di strumenti, come il VIG, devono essere inseriti in uno schema di rapporti e di interazioni fra politica e società che ha il compito difficile ma non impossibile di riproporre la attuabilità di riforme necessarie, in primo luogo per i giovani.
Paolo Pirani
Consigliere CNEL




























