Povero nascerai, povero rimarrai. Un anatema che in Italia, ormai, è un fattore strutturale. Secondo uno studio comparativo su 30 Paesi europei condotto dalla Oxford University e pubblicato su Research in Social Stratification and Mobility (su dati del 2019 dell’EU-SILC), gli italiani sono imbrigliati in una forte persistenza intergenerazionale della povertà, secondo cui una condizione di deprivazione materiale vissuta durante l’infanzia influenza fortemente la probabilità di essere poveri anche da adulti. Stando ai dati contenuti nello studio, l’Italia si colloca tra i paesi mediterranei – insieme a Spagna, Grecia e Portogallo – con alte persistenza e trasmissione della povertà, coerentemente con il concetto della “Great Gatsby Curve” che illustra la relazione negativa tra la disuguaglianza di reddito e la mobilità sociale intergenerazionale in una società .
Il fattore che incide maggiormente su questa spirale è l’istruzione, sebbene in Italia i suoi effetti risultino meno marcati rispetto ad altri Paesi. Anche la classe sociale occupazionale dei genitori contribuisce alla trasmissione della povertà, ma il suo impatto è meno significativo rispetto all’istruzione. Peggio di noi fanno nell’Europa orientale – Bulgaria, Romania e Slovacchia -, che mostrano livelli di persistenza della povertà ancora più alti. I Paesi nordici – Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia -, invece, mostrano una bassa persistenza della povertà – e quindi una sua riduzione di trasmissione intergenerazionale – proprio grazie a sistemi di welfare più efficaci che riescono a “rompere il ciclo della povertà”.
Qualche dato nostrano. Nel 2019, il 21% degli italiani risultava a rischio di povertà o esclusione sociale e la probabilità di essere poveri da adulti se si è cresciuti in una famiglia povera è del 15,1%; la probabilità di essere poveri considerando anche fattori come bassa istruzione e occupazione dei genitori è del 17,4%. Il 17,6% della popolazione italiana è a rischio di povertà basata sul reddito (sotto il 60% del reddito mediano), mentre il 24,4% è a rischio di povertà o esclusione sociale – includendo reddito basso, deprivazione materiale e bassa intensità lavorativa. In base agli indicatori di povertà dei genitori, il 64,8% dei genitori italiani ha un livello di istruzione inferiore alla scuola secondaria superiore, uno dei valori più alti in Europa; per quanto riguarda lo stato occupazionale, invece, il 37,2% dei genitori italiani appartiene a classi lavorative meno qualificate o è disoccupato. Durante l’infanzia, poi, il 25,2% dei rispondenti italiani ha riportato di non aver avuto accesso a bisogni fondamentali (libri scolastici, pasti adeguati, vacanze) durante l’infanzia e il 16,6% ha ricordato una situazione finanziaria “cattiva” o “molto cattiva” nella famiglia di origine.
È sui vettori istruzione e welfare, dunque, che le politiche di contrasto alla povertà dovrebbero concentrarsi, con interventi mirati a migliorare l’accesso all’istruzione e a ridurre le disuguaglianze sociali. L’efficacia dei mediatori della povertà è, appunto, cartina di tornasole per le politiche necessarie. Per esempio, l’istruzione riduce la persistenza della povertà del 50% in Italia, ma il sistema educativo italiano non è sufficientemente inclusivo per compensare gli svantaggi iniziali (l’Italia destina circa il 4,1% del Pil all’istruzione, sotto della media Ue che si attesta intorno al 4,7%), estromettendo le famiglie più svantaggiate. Occorrerebbe, quindi, investire in programmi educativi inclusivi, borse di studio e supporto per studenti provenienti da famiglie povere, nonché migliorare l’accesso all’istruzione superiore e alla formazione professionale. Sul fronte del welfare, invece, il sistema italiano non è sufficientemente efficace nel ridurre la povertà e nel supportare le famiglie vulnerabili – in questo senso, l’abrogazione del reddito di cittadinanza in favore di misure più restrittive (che tuttavia prevedono politiche del lavoro proattive di cui, però, ancora non si vedono effetti tangibili) non ha fatto altro che aggravare i livelli di povertà. A ciò, poi, si aggiunge anche il progressivo indebolimento dei servizi di assistenza sociale e sanitaria. Politiche redistributive e fiscali più progressive e maggiori investimenti in infrastrutture, soprattutto nelle aree più svantaggiate del Paese, aiuterebbero quantomeno a mitigare la situazione. Infine il lavoro: sebbene i dati recenti siano positivi, anche se andrebbero scorporati soprattutto dai toni trionfalistici del governo, la disoccupazione, il lavoro precario e l’alto tasso di Neet in Italia sono certamente fattori che contribuiscono alla povertà intergenerazionale, per cui interventi per creare opportunità stabili e ben retribuite, incentivando l’occupazione giovanile e migliorando la formazione professionale.
Elettra Raffaela Melucci



























