È abbastanza positivo il bilancio di questi primi sette mesi per quanto attiene al campo delle relazioni industriali. La prova referendaria non ha colto gli obiettivi che si era prefissa, ma ha portato in primo piano il tema del lavoro come non accadeva da troppo tempo e questo è certamente un dato positivo. Come lo è anche l’andamento della contrattazione. Tutti i grandi contratti dell’industria sono stati rinnovati con soddisfazione e velocemente. L’unico punto buio era il contratto dei metalmeccanici, ma lo sblocco avvenuto nelle ultime settimane fa sperare in una conclusione positiva anche per questo sofferto settore.
Sono positivi anche i numeri relativi all’occupazione perché, come la presidente del Consiglio non smette di sottolineare, la crescita c’è stata e anche robusta. Quello che la Meloni non fa è però guardare un po’ più a fondo in questi dati e fa male, perché in effetti la qualità di questa nuova occupazione non è delle migliori. Si tratta per lo più di posti di lavoro nel terziario, soprattutto nel turismo e nella ristorazione, quasi sempre a tempo ridotto e con retribuzioni abbastanza magre.
Al centro del dibattito è stato, e sarà ancora per parecchio tempo, il possibile patto sociale, evocato dalla Cisl, sul quale le forze sociali e politiche dovranno misurarsi. Tema complesso, difficile da scandagliare, anche perché molte tessere sono ancora nascoste e ogni previsione rischia di risultare fallace. Un terreno infido, sul quale è difficile avventurarsi, anche perché porta alla luce il problema più grande di questo momento delle relazioni sociali, quello dell’unità sindacale. Che sembra davvero essere arrivata a un minimo storico, i rapporti tra i grandi blocchi sociali sono difficili e scarsi.
Per fortuna è un problema che investe soprattutto le confederazioni. Le categorie per lo più mantengono intatti i rapporti unitari anche perché questo li aiuta non poco nel confronto con le controparti imprenditoriali. Anche i metalmeccanici, che sono stati per otto mesi nella bufera di un negoziato contrattuale praticamente immobile, con tutte le conseguenze negative che si possono immaginare, anche loro hanno mantenuto rapporti unitari molto saldi. E probabilmente anche questo è stato un motivo forte dell’inversione di direzione dell’andamento della vertenza contrattuale. Al contrario, le confederazioni sono ancora fortemente divise e questo non fa naturalmente ben sperare nel futuro delle relazioni industriali.
Tutta la vicenda ruota attorno al concetto, e alla pratica, dell’autonomia, alla quale nessuna confederazione sembra disposta a rinunciare. La Cisl è sempre stata molto attenta all’autonomia, in primis dalla politica. Ce l’ha, come si è soliti affermare, incisa nel proprio Dna. Per spiegarsi basterebbe pensare a quanto occorse a Sergio D’Antoni. Quando terminò il suo mandato di segretario generale volle scendere nell’agone politico e fondò un suo partito, certo di avere con sé il popolo cislino dato che era molto amato dai suoi. Ma la risposta che mi dettero tanti esponenti di punta della confederazione che andai a intervistare per capire cosa avrebbero fatto fu precisa. Guarderemo con attenzione le sue proposte, dissero indistintamente, e se ci piaceranno lo voteremo. Poi lessero le sue proposte e non lo votarono. Adesso Daniela Fumarola sembra avere stretto un patto con la premier, ma non si sa dove arriverà questo accordo e non si sa soprattutto quali effetti questo nuovo corso causerà all’interno della confederazione.
La Cgil è stata sempre molto più politicizzata della Cisl. Per decenni le decisioni più importanti venivano prese all’interno delle componenti partitiche prima che negli organi confederali. Tanto erano forti e determinanti queste componenti che si pensò bene di fondarne una che raccogliesse tutti coloro che non appartenevano alle due grandi famiglie della sinistra, i comunisti e i socialisti. Negli anni questo rapporto si è sciolto, anche perché si sono sciolti o sono cambiati i partiti politici. Maurizio Landini è lontano dai partiti, da tutti, non solo da quelli di centro destra. Non è un caso se dal primo momento per sostenere la prova dei referendum ha cercato l’aiuto dell’associazionismo e le voci che corrono affermano che non sia stato molto contento della politicizzazione che è poi avvenuta per i referendum. In tanti, troppi, si affannano ad affermare che il segretario generale della Cgil una volta lasciata la sua carica si troverà una collocazione all’interno di un partito, ma si tratta di illazioni senza fondamento. Landini nasce ed è sempre stato soprattutto un sindacalista, si è appoggiato alla politica solo per avere la forza di portare avanti le battaglie a sostegno dei diritti dei lavoratori.
Comunque, è attorno a questo tema dell’autonomia che si svolgerà la prossima battaglia in vista di un patto sociale che ridia sviluppo e coesione sociale. Un tema nobile, che impegnerà le parti sociali nei prossimo mesi.
Massimo Mascini