“Dopo di me, nessuno”: questo, in sintesi, il senso del testamento di Giorgio Armani, aperto venerdì mattina e depositato a marzo, pochi mesi prima di morire. La sorpresa è che l’ultimo imperatore della moda italiana impone ai propri eredi di fare esattamente quello che lui non aveva mai fatto: cioè vendere. Indicando, per di più, anche a chi vendere: vale a dire a uno dei colossi del lusso francese, iniziando prioritariamente dal gruppo Lvhm di Bernard Arnault, passando poi per EssilorLuxottica e fino a L’Oreal. Nessun gruppo italiano viene citato. La stessa Essilux è oggi in buona parte francese.
Nel testamento le modalità della cessione sono disposte in modo estremamente dettagliato: entro 18 mesi dall’apertura del testamento, la Fondazione Armani, proprietaria del pacchetto azionario della Giorgio Armani spa, dovrà cedere una prima quota del 15% a uno a scelta tra Lvhm, Essilux e L’Oréal (o ad altre aziende di analogo standing, precisa il testamento). Poi, a partire dal terzo anno, ed entro il quinto, lo stesso soggetto potrà acquistare una ulteriore quota da un minimo del 30% fino a un massimo del 54,9% del capitale, arrivando dunque a detenere quasi il 70% del gruppo, mentre il 30,1% resterebbe sempre alla Fondazione. Se la cessione non andasse in porto, nell’arco di 5 – 8 anni si passerebbe al piano B, cioè la quotazione in Borsa, con la Fondazione Armani che resterebbe sempre al 30,1%.
La prima reazione ufficiale è arrivata dal Comitato esecutivo della Giorgio Armani spa, che ha “preso atto” del testamento del fondatore. “Nei prossimi giorni -spiega una nota – con la lettura attenta dei documenti e con la pubblicazione del nuovo statuto della società, si chiariranno meglio gli ultimi aspetti delle volontà del signor Armani, ma sin d’ora ci sentiamo, anche a nome dei dipendenti e dei collaboratori, di impegnarci a sostegno di questo percorso nel rispetto delle sue volontà” e per “garantire il miglior futuro possibile all’azienda e al marchio”. Il tutto nel rispetto dei principi base, tra i quali, si precisa, “la gestione delle attività in modo etico, con integrità morale e di correttezza; priorità allo sviluppo continuo e globale del nome “Armani”; attenzione a innovazione, eccellenza, qualità, ricercatezza del prodotto, e ricerca di uno stile essenziale, moderno, elegante e non ostentato”.
In ogni caso, sottolinea il Comitato, dal testamento “rimane confermato l’intento del signor Armani di garantire continuità strategica, compattezza societaria e garanzia finanziaria per uno sviluppo di lungo termine, in linea con quanto aveva più volte condiviso con la stampa e con i collaboratori più stretti”; e dunque anche l’apertura a un ‘’socio di minoranza o alla quotazione” va letta in questa ottica. Il Comitato sottolinea anche come resti confermato il ruolo di Leo Dell’Orco e della famiglia nelle decisioni e nella gestione del percorso: “ogni scelta strategica nel breve e nel medio termine è demandata alla guida del signor Dell’Orco e alla famiglia, con il supporto della Fondazione; scelte indirizzate però dallo stesso signor Armani sia in termini di missione del marchio, sia di possibili azioni con implicazioni sull’assetto societario di medio e lungo termine”.
Inoltre, prosegue la nota, “qualunque soluzione societaria venisse attuata, la Fondazione, che avrà tra l’altro come suo primo compito quello di proporre il nome del nuovo amministratore delegato, non scenderà comunque mai sotto il 30% del capitale, proprio come garante del rispetto ‘per sempre’ dei principi fondanti oggi confermati e ribaditi”. Quanto ai possibili acquirenti indicati nel testamento, per ora si limitano a dirsi ‘’onorati’’ e si riservano di pensarci, come nel caso di Essilux e Oreal, o tacciono, come Arnault.
Ma è in quel passaggio in cui il Comitato esecutivo accenna alla necessità di mantenere salda la rotta nella “ricerca di uno stile essenziale, moderno, elegante e non ostentato” che sta l’incognita rispetto al futuro. La Casa Armani è la sola ad aver potuto contare per cinquant’anni sullo stesso stilista (che peraltro coincideva anche col proprietario), diversamente da tutti gli altri grandi marchi del lusso, ormai da tempo impegnati in un turn over di stilisti sempre più rapido e simile Calciomercato; con la conseguenza, e vale un po’ per tutti, di una sostanziale perdita di identità. Armani, invece, ha portato avanti per decenni il suo stesso stile, coerente e quindi inconfondibile. C’è quindi da chiedersi quanto possa valere una casa di moda priva del suo assett principale: che comunque la si rigiri, resta sempre e soprattutto lo stilista. Forse è questo che Armani ha voluto dire, imponendo sostanzialmente agli eredi di cedere la sua creatura: dopo di me, nessuno.
Nunzia Penelope