Sono strane le confederazioni sindacali. Hanno la stessa mission, il benessere dei lavoratori, e per questo fanno le stesse cose e le fanno assieme. Adesso stanno trattando assieme, con Confindustria e le altre grandi associazioni datoriali, le regole della contrattazione e della rappresentanza. E sempre assieme trattano il rinnovo dei contratti nazionali di lavoro ancora aperti, metalmeccanici naturalmente, ma anche Tlc, sanità privata e quant’altro. E ancora seguono assieme le diverse problematiche territoriali, in rapporto con le istituzioni locali o con le aziende.
Fanno tutto assieme, ma non vogliono sentir parlare di unità sindacale, quella d’azione, perché quella organica non si può nemmeno nominare. Ed evitano le iniziative comuni. L’ultimo caso è emblematico. A inizio settimana la Cgil proclama lo stato di agitazione, con annessi scioperi di alcune ore, per rispondere alle terribili azioni che Israele sta portando avanti in Palestina. La Cisl decide di non aderire, ma nelle stesse ore con un duro comunicato stigmatizza il comportamento di Israele e chiede interventi decisi di Italia ed Europa. E potremmo ricordare la partita dei referendum della Cgil o la battaglia per la partecipazione della Cisl. Con le tre centrali sindacali perennemente divise, secondo geometrie variabili.
Sono diverse? Non parrebbe considerando quello che fanno, ma la realtà è questa. La ha esplicitata con grande precisione Pierpaolo Bombardieri, il segretario generale della Uil nei giorni scorsi. Noi, ha detto, abbiamo “scelte, modi e sensibilità diverse”. La diversità, lo hanno sempre detto per primi proprio i sindacalisti, è una ricchezza e in quanto tale va salvaguardata, a patto però che non porti a profonde divisioni strategiche, perché questo significherebbe una debolezza che il sindacato in quanto tale non può permettersi. Sarebbe negare se stessi, del resto, perché il sindacato, cento e trenta anni fa, nasce proprio perché i lavoratori divisi, isolati, sono deboli, uniti possono vincere. Ma se le loro rappresentanze si dividono, quanto meno saranno più deboli, quindi meno incisive nella difesa dei lavoratori e dei loro interessi.
Adesso sta per partire una difficile partita con il governo, che entro dicembre deve varare la manovra economica per il 2026. La Cgil è già partita in quarta, convocando per metà ottobre una grande manifestazione di piazza che si presume dovrebbe sostenere le richieste che il sindacato nel suo insieme porterà all’esecutivo. Le altre confederazioni, è da presumere, si guarderanno bene dal partecipare a tale iniziativa, quasi non fosse la medesima partita. Ciascuno vuole giocarla secondo le proprie regole. Fino a qui, comunque, nulla quaestio, ciascuno segue la propria strada.
A patto però che questo non porti a obiettivi diversi. Perché il problema non è mai il giudizio finale che ciascuna confederazione darà dell’esito di questo confronto con il governo. Da sensibilità diverse potranno nascere giudizi differenti. Che magari porteranno a sostenere le proprie ragioni anche con lo sciopero, come è avvenuto negli ultimi anni da parte di Cgil e Uil, e non della Cisl.
Il problema è tutto nella conduzione della prossima vertenza, nei comportamenti che le diverse centrali sindacali assumeranno nel corso del confronto con il governo. È evidente che, se la divisione tra le centrali sindacali portasse a percorrere strade differenti, il risultato non potrebbe che essere negativo. Importante è che Cgil, Cisl e Uil, nel contraddittorio che si spera ci sia con il governo, sappiano mettere assieme le richieste e le sostengano insieme. Il giudizio finale può divergere, ma le strategie negoziali devono essere identiche se vogliono cogliere l’obiettivo finale, la difesa degli interessi dei lavoratori.
Massimo Mascini

























