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Eutanasia di un’industria: Stellantis in fuga dall’Italia taglia investimenti, produzioni e lavoro. In 20 anni perso mezzo milione di auto, in 4 anni spariti quasi 10 mila posti. L’analisi della Fiom

di Tommaso Nutarelli
29 Settembre 2025
in La nota
Stellantis trasferisce settanta operai da Melfi a Pomigliano

La grande fuga di Stellantis dall’Italia. A lanciare l’allarme è la Fiom. I numeri presentati dal sindacato dei metalmeccanici della Cgil raccontano di un calo della produzione e di una riduzione del perimetro occupazionale.

Dal 2020 al 2024 il saldo occupazionale reale, ossia tra le nuove assunzioni e le uscite, ha visto un calo di addetti pari a 9.656 unità. Mentre le uscite volontarie annunciate per il periodo 2024-2025 sono 6.052, fatte attraverso accordi sindacali non firmate dalla Fiom. Al 31 dicembre 2020 gli occupati erano 37.288 e quattro anni dopo si sono ridotti a 27.632. E quasi il 62% è interessato da ammortizzatori sociali. Ma le cose non vanno meglio anche per l’indotto. Su 13.865 addetti delle varie realtà che hanno commesse per Stellantis 8.523 sono, anch’essi, interessati dagli ammortizzatori sociali. Lo stesso piano inclinato tocca la produzione di veicoli. Negli ultimi 20 anni, dal 2004 al 2024, si sono perse 515.944 automobili e considerando altri veicoli il saldo negativo tocca 520.798 unità. Nel 2024 sono state prodotte solo 289.154 auto e 190.784 veicoli commerciali. Negli stabilimenti che producono motori il crollo è di 534.700 unità, sempre dal 2004 al 2024.

Questi numeri, spiega Matteo Gaddi, ricercatore della Fondazione Claudio Sabattini, non può essere imputato al crollo del mercato dell’auto. Se è vero che quello europeo ha subito una leggera flessione, è altrettanto vero che fette di mercato sono state occupate dai veicoli provenienti da oriente, soprattutto dalla Cina. Secondo la Fiom c’è una riduzione dei volumi voluta da parte di Stellantis, e a dirlo è l’analisi di alcuni dati e delle scelte operate dal gruppo. Nessuna delle produzioni lanciate dalla casa automobilistica, soprattutto quelle mass market ossia rivolte al grande pubblico, viene realizzata nel nostro paese: Topolino in Marocco, Fiat 600 in Polonia, Alfa Junior in Polonia, Nuova Panda in Serbia e Nuova Lancia Y in Spagna. Le quote in Italia di tipo mass market sono diminuite fortemente. Pensare, afferma la Fiom, di reggere la produzione dell’automotive di un intero paese solo su le marche premium, Ferrari, Lamborghini e Maserati, è utopistico perché i numeri sono esigui.

Ma a dare conferma della dismissione di Stellantis c’è anche l’impoverimento del patrimonio netto, ossia le risorse sulle quali può fare affidamento un’azienda. Tra il 2020 e il 2024 la riduzione è stata di oltre 1,2 miliardi di euro, un risultato al quale ha contribuito la redistribuzione di 2 miliardi di dividendi degli utili nel 2023. E se il patrimonio netto si assottiglia l’unico modo per fare investimenti è quello di indebitarsi. Ma gli investimenti non rientrano nel futuro industriale di Stellantis in Italia e questo lo dimostrano, sostiene il sindacato, gli impegni economici in stabilimenti, macchinari e ricerca e sviluppo. Nel 2021 il totale degli investimenti materiali era superiore ai 4,9 miliardi di euro, scesi a 4,1 miliardi nel 2024. Il calo più vistoso, pari a 571 milioni di euro, è quello in attrezzature industriali, da 1,2 miliardi a 630 milioni. Per gli impianti la diminuzione è di 297 milioni di euro. Ancora peggio vanno i conti per la spesa in ricerca e sviluppo. L’allora Fca Italy, nel 2014, versava per questa voce 991 milioni di euro. La Stellantis del 2024 314 milioni. Se crollano i soldi per l’innovazione non ci sono nuovi modelli da immettere sul mercato e se si svaluta il valore di stabilimenti e macchinari è sintomo che si vuole andare verso un abbassamento della produzione. Questo andamento lo si può riscontrare anche nel raffronto con altri paesi. Nel 2021 il valore del capitale fisso degli stabilimenti italiani era di 9,56 miliardi di euro, nel 2024 è sceso del 7,7 miliardi. Una diminuzione, in termini assoluti, di 1,87 miliardi di euro e in percentuale di 19,5 punti. Solo la Spagna è in negativo come noi, mentre in paesi come Polonia, Slovacchia e Serbia si registrano impennate del 75, 56 e 135%. Quindi si delocalizza verso mercati con un costo del lavoro più basso e con un minore impatto dell’energia sulle imprese.

“La Fiom ascolterà i lavoratori e si confronterà con governo, Stellantis e le forze politiche. La prima questione è capire se entro il mese di ottobre c’è la convocazione da parte dell’amministratore delegato. Poi, il confronto con il Governo. Se si verificheranno queste condizioni discuteremo con i lavoratori sulla base di quello che ci sarà detto. Se non c’è l’apertura di un dialogo è chiaro che con i lavoratori e le altre organizzazioni sindacali decideremo le iniziative da mettere in campo. Se permane una situazione di questo tipo proporremo a tutti di mobilitarci, perché non è più accettabile che ci sia l’eutanasia dell’automotive del nostro paese” ha detto Michele De Palma, segretario generale della Fiom.

“Noi vogliamo impedire la grande fuga di Stellantis dall’Italia. Non si possono dare soldi pubblici se non c’è la volontà del soggetto privato di investire. Anche gli incentivi dati al momento dell’acquisto non stanno avendo positivi per risollevare la produzione e l’occupazione perché non vincolati a dove quell’auto viene prodotta. Il piano Italia – ha proseguito De Palma – non sta funzionando. Il milione di auto prodotte in Italia dal ministro Urso è un’utopia. A Termoli, emblema della transizione dal motore endotermico alla produzione di batterie per le auto elettriche, non ci sono investimenti e non c’è nessun piano. Maserati e Alfa, che avrebbero dovuto tirare la produzione, sono ferme quando invece dovremmo riprendere la grande vocazione della Fiat nel produrre auto per la massa”.

Sul discorso della transizione, spiega il leader della Fiom, “fermarla non è la soluzione per dare nuovo slancio al settore dell’auto in Italia ed Europa, e tutti i discorsi che si stanno facendo su una riprogrammazione degli obiettivi green fissati dalla Commissione non sta portando nessun beneficio in quest’ottica. Anzi – sostiene il numero uno dei metalmeccanici della Cgil – l’Unione europea sta facendo danni inenarrabili all’auto e a tutto il sistema industriale. Un dazio al 15% vuol dire non vendere più un’auto negli Usa. E l’European action plan è un piano senza risorse. In una fase di transazione vanno bloccati i licenziamenti, va rafforzato il fondo Sure per la formazione a la riqualificazione dei lavoratori e  bisogna investire in auto mass market”.

Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

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Giornalista de Il diario del lavoro.

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