Lo sciopero aiuta Gaza? Bene ha fatto Massimo Mascini nel suo editoriale a sottolineare l’ampiezza delle manifestazioni pro Palestina in occasione dello sciopero di 24 ore proclamato dall’Usb e da altri sindacati minori il 22 settembre.
Un successo per certi versi inaspettato, ma che ha rivelato la ampiezza e consistenza dei sentimenti popolari davanti al terribile esproprio di massa in corso a danno dei palestinesi a Gaza.
Un successo che interroga anche intorno al ruolo dello sciopero davanti ad eventi così estremi, e chiama dunque in causa anche inevitabili riverberi sui meccanismi delle relazioni industriali.
E’ possibile – come osserva Mascini – che il blocco totale abbia agevolato la partecipazione alle manifestazioni e favorito le piazze piene, a differenza dello sciopero più soft e per così dire più ‘responsabile’ – senza servizi essenziali – proclamato dalla Cgil qualche giorno prima.
Ritengo sarebbe sbagliato immaginare un confronto tra i due momenti che porti a concludere che la presa sociale sia stata maggiore nel secondo caso grazie ai soggetti implicati (Usb vs. Cgil). In realtà vari fattori hanno agevolato una concentrazione sociale e una larga aspettativa collettiva in occasione di quello che si presentava non solo come un evento simbolico ma anche come una sorta di blocco totale.
Certo questo non significa sottovalutare il radicamento sociale dello Usb erede, di esperienze movimentiste precedenti (RdB) che possiamo considerare – pur in mancanza di dati certi – come accresciuto nell’ultimo decennio. Questo riguarda sia la copertura di settori, come quello della logistica, poco coperti dal sindacalismo confederale, che il potenziamento di azioni conflittuali in altri più tradizionali, come quello dei lavoratori portuali, citato da Mascini. Per certi versi questa disponibilità militante appare utile negli ambiti, settoriali e aziendali, nei quali i sindacati debbono ancora conquistare un pieno riconoscimento. E dunque questi soggetti integrano sul campo, almeno in alcune realtà, quello che le Confederazioni non riescono a fare, raggiungendo lavoratori altrimenti non organizzati. Dobbiamo a questo riguardo sottolineare come una delle sfide attuali e future del sindacalismo italiano sia proprio questa: rafforzare la propria presenza nei segmenti in crescita del terziario povero, nei quali il lavoro è generalmente meno tutelato e meno pagato. Una sfida da cui dipende il potere contrattuale futuro dei sindacati e quindi la possibilità stessa di miglioramenti nelle retribuzioni e condizioni di lavoro, che invece giù sussistono nei settori con presenza sindacale consolidata.
Quindi le vicende dello scorso lunedì ci raccontano di un movimento sociale sotterraneo che attraversa una parte importante del mondo del lavoro (e più generale la società intera) che ci coinvolge tutti e che speriamo possa avere sbocchi fruttuosi.
Allora tutto bene? In realtà esistono alcune zone d’ombra di cui vale la pena di discutere. Partendo dal presupposto che accanto alle giuste – ma speriamo congiunturali – ragioni di sostegno a Gaza, saranno auspicabili mobilitazioni sociali che tocchino i comparti sottorappresentati e all’interno dei quali è necessario spingere per un radicamento dell’azione sindacale.
Nelle vicende dello scorso lunedì – altamente mediatizzate – grande spazio è stato dedicato alle violenze praticate da una minoranza, e che possiamo considerare come un sottoprodotto non voluto. e da condannare, di questo movimento.
Ma ci sono altri aspetti meno enfatizzati su cui riflettere, come i blocchi e i presidi – invece spesso un effetto voluto – in tante città. Che hanno contribuito a bloccare tanti servizi e a rendere le stesse città paralizzate a dispetto del fatto che la partecipazione effettiva agli scioperi è risultata, dati alla mano, più intermittente e a macchia di leopardo.
Nell’immediato questo ha aumentato l’alone di coinvolgimento sociale amplificando la portata dello sciopero e delle azioni di supporto.
Ma siamo sicuri che sia questa la strada giusta, ovvero l’unica, per allargare il consenso e mostrare la capacità di bloccare le routine delle nostre città, come condizione per attirare l’attenzione su obiettivi giusti?
Per quanto mi riguarda inviterei comunque a evitare strabismi: dubito che la visibilità immediata, ottenuta a prezzo di forzature, sia davvero utile in prospettiva per dare continuità all’azione sindacale e costituisca un vantaggio per il movimento sindacale. Quanto a Gaza, temo che non saranno i nostri blocchi stradali o delle stazioni un sollievo, e tantomeno una soluzione, agli immensi problemi dei palestinesi.
Più in generale mi chiedo se sia valido lo strumento rispetto allo scopo. Perché lo sciopero nei servizi essenziali dovrebbe aiutare – al di là dell’utile ragione simbolica e di testimonianza – una causa così importante, ma anche delicata, come quella palestinese? Siamo davvero sicuri che i tanti, soprattutto tra i ceti popolari, che si avvalgono di questi servizi aumenteranno il loro coinvolgimento e il loro consenso verso questi obiettivi? Specie se si tiene conto che il servizio pubblico – specie nei trasporti – diventa incerto o ostruito non in ragione della partecipazione dei lavoratori allo sciopero, bensì in virtù di altre concause che ne rendono più difficile l’accesso da parte dei cittadini.
A mio avviso sarebbe preferibile la opzione prudente, a lunga giustamente adottata dalle principali Confederazioni, di dare vita ad azioni conflittuali me nello stesso tempo salvaguardando gli interessi della maggioranza dei lavoratori e dei cittadini, senza pensare di rimuoverli.
Questo non significa non avvalersi anche dello strumento dello sciopero, quando e se necessario. Ma sarebbe utile commisurarlo agli obiettivi, e non trascurare le istanze della vita quotidiana di tante persone, specie della parte più debole del mondo del lavoro. Anche perché nei cortei – e forse anche questo dovrebbe essere oggetto di una qualche riflessione – si vede la preponderanza sociale di giovani, studenti e intellettuali, e invece appaiono vistosamente poco presenti se non assenti – salvo nelle iniziative della Cgil – i lavoratori manuali.
Scioperare naturalmente non solo è sempre possibile, ma in alcuni casi diventa una scelta necessaria. Ma in relazione a ragioni, come quelle legate a Gaza, di carattere ideale lo sciopero potrebbe avere prevalenti caratteri dimostrativi: limitando lo sciopero – almeno nei servizi essenziali – a periodi brevi e di carattere simbolico. L’obiettivo del ‘bloccare tutto’ non appartiene alla tradizione migliore del movimento operario, salvo che in situazioni estreme. E molto spesso finisce con il produrre conseguenze non volute e passivizzazione dei più deboli.