Quando si arriva a una veneranda età come la mia i momenti più tristi sono quelli nei quali si viene a sapere che ci ha lasciato una persona che abbiamo conosciuto, che ci è stata sodale e amica, con la quale abbiamo diviso un pezzo del nostro cammino. Il sentimento di malinconia che ti accompagna non dipende dal rendersi conto che presto la campana suonerà anche per noi, ma dal fatto che la persona defunta richiama alla nostra memoria momenti migliori di una vita vissuta intensamente senza che fosse concessa la possibilità di riflettere e di apprezzare situazioni ed episodi che poi torneranno in mente quando apparteranno ad un passato che non è tornato più. Devo ringraziare gli amici de ‘’Il diario del Lavoro’’ che ospitano i miei tentativi, forse un po’ retorici, di rendere gli onori dovuti a chi ci ha lasciato. Oggi voglio salutare Ada Collidà, della quale ho appreso il decesso navigando sui social. Collidà non era il suo vero cognome. Era nata Becchi ma aveva conservato – lei femminista ante litteram – il cognome del marito (un importante dirigente delle PPSS) da cui era separata benché fosse rimasta in buoni rapporti e con il quale aveva avuto un figlio che morirà giovanissimo in un incidente stradale in un paese straniero (non vorrei sbagliarmi, ma credo che si trattasse degli Stati uniti). Ho avuto occasione di conoscere il dott. Collidà a casa sua in un giorno speciale quando si svolse lo sciopero più riuscito a cui mi è capitato di assistere: lo sciopero generale di Cgil, Cisl e Uil per la casa. A Roma era tutto chiuso, persino i ristoranti. Ada mi invitò a pranzo a casa Collidà dove mi trovai di fronte ad un piatto su cui giaceva una piccola montagna di bistecche cucinate dal domestico che serviva a tavola. Con Ada ho fatto parte di quel gruppo di ‘’eletti’’ che si trovò al vertice della Fiom durante l’autunno caldo e negli anni successivi quando, uniti a Fim e a Uilm, nella FLM spiccammo il volo verso il sole dell’unità sindacale, incuranti del rischio che quel calore sciogliesse – come accadde – le nostre ali di cera. Ada non proveniva dal sindacato, ma dall’Università e dal mondo dell’impresa, ed era stata arruolata da Bruno Trentin nell’ufficio studi della Fiom per avvalersi della sua professionalità ma soprattutto delle sue relazioni in certi ambienti economici. Quando le si chiedeva una nota su di una azienda o un settore, Ada si metteva alla macchina da scrivere e redigeva il suo rapporto a braccio, senza consultare un solo dato, tanto che la sua nota somigliava di più ad un articolo da rivista, piuttosto che uno scritto paludato e tutto sommato burocratico. A Trentin non piaceva questo modo di lavorare che invece risultava utile e comprensibile nel corpaccio dell’organizzazione. L’incontro della sua vita avvenne con Angelo Airoldi un altro componente di quel manipolo di scappati di casa che vissero un momento di gloria imperitura. Fui testimone dell’occasione dell’inizio del loro amore. Fu in una sera di tragedia a causa di una possente nevicata che in un giorno di marzo aveva paralizzato Roma. Ci trovavamo nel Palazzo dell’EUR per preparare il salone perché il mattino dopo sarebbe iniziato una conferenza della FLM. Ricordo che in quell’occasione era con noi Pippo Morelli, un dirigente della Cisl, scomparso prematuramente dopo una lunga malattia invalidante. Mentre portavamo nella sala tavoli e sedie, scoppiò la nevicata. Ada e Angelo decisero di restare a dormire nell’albergo di fronte al Palazzo, mentre io rientrai in città alle 3 di notte su di un pulmino guidato da un operatore della Fim, un abruzzese taciturno ma avvezzo alle intemperie. Ho ancora in mente le scene a cui assistetti con lo stupore di un settentrionale abituato alle nevicate: auto abbandonate, alberi caduti, la città paralizzata e quant’altro. Dalla loro unione Ada e Angelo ebbero una figlia di nome Maria. Non ho più avuto rapporti con Ada da quando nel 1974 lasciai la Fiom per tornare in Emilia Romagna. Se ben ricordo anche lei non rimase a lungo nel sindacato; tornò all’insegnamento. Poi anni dopo fu assessore nella giunta di Antonio Bassolino nel Comune di Napoli: una vittoria elettorale che a quel tempo rappresentò una svolta. Bassolino ha voluto ricordarla in un post in cui è pubblicata una sua foto degli anni in cui io l’ho conosciuta: un volto simpatico, intelligente, che non ho mai visto con un filo di trucco, sotto ad una capigliatura che la rendeva somigliante a Mafalda, un personaggio storico dei fumetti.
Giuliano Cazzola

























