Matteo Renzi è uno che le previsioni le azzecca (quasi) sempre. Non quelle su di sé, come dimostra lo storico naufragio del referendum costituzionale del 2016, ma quelle sugli altri. E nei giorni scorsi, l’ex premier ed ex segretario del Pd, ora aspirante costruttore della “Casa riformista”, ha sganciato una profezia che ha fatto venire i brividi a Giorgia Meloni: “La destra o si estremizza o si divide. Secondo me Vannacci potrebbe fare come Farage: creare una divisione adesso” nel centrodestra “farebbe probabilmente far perdere le elezioni a Meloni, come in Gran Bretagna ha perso il conservatore Sunak, e consentirebbe a Vannacci di diventare il candidato di tutta la destra al giro dopo, come accadrà a Farage”.
Per comprendere la portata del vaticinio del mefistofelico Renzi – uno che ha rottamato mezza classe dirigente dei Ds, è riuscito a scalare il Pd con un’Opa ostile, ha conquistato palazzo Chigi sfrattando Enrico Letta e ha spedito Matteo Salvini all’opposizione nel 2019 costruendo tra lo stupore generale il governo giallorosso – bisogna ripercorre la storia di Nigel Farage. Nato conservatore, il leader populista xenofobo e antieuropeo nel 1992 ha lasciato i Tory, fondando l’Ukip (il Partito per l’indipendenza del Regno Unito), poi nel 2018 ha creato il Brexit Party, infine ha battezzato il Reform Uk. E ora tutti i sondaggi lo danno come primo partito, ben 10 punti percentuali sopra ai laburisti del premier Keir Starmer. Insomma, se si votasse adesso, al numero 10 di Downing Street andrebbe lui.
Ecco, secondo Renzi, il generale Roberto Vannacci potrebbe tentare nella stessa impresa. Possibile? Difficile. Ed è sicuramente improbabile un suo sbarco a palazzo Chigi: il Paese ha anticorpi sufficienti, almeno per ora. Ma è anche vero che il leader del “Mondo al contrario” alle elezioni europee dello scorso anno ha preso oltre 500mila preferenze e in poco tempo ha scalato la Lega, diventandone vicesegretario. In più, le sue parole d’ordine compresa la “remigrazione”, vale a dire il ritorno forzato dei migranti nei loro Paesi di origine, hanno un gran successo a destra. Dunque non è da escludere che Vannacci, a cui la Lega sembra stare stretta – sta ramificando il suo movimento “Mondo al contrario” in tutte le Regioni – tenti davvero il colpaccio e decida di correre da solo alle elezioni politiche in programma nella primavera del 2027.
Se lo facesse, per Meloni sarebbero guai seri. Con il centrosinistra che tra mille tormenti sta trovando la strada dell’unità, avere a destra un concorrente accreditato tra il 5 e i 7%, vorrebbe dire per la leader di Fratelli d’Italia una sconfitta praticamente certa. E addio sogno di restare a palazzo Chigi per un secondo mandato e poi, da qui, spiccare il volo verso il Quirinale nel 2029.
Proprio per evitare questo tipo di insidia e perché la destra è nel suo Dna, da quando è diventata premier l’underdog della Garbatella ha dedicato la massima attenzione a non avere nemici a… destra. L’ha fatto in Patria marcando stretto Salvini su tutti i temi identitari, dal muro contro i migranti, all’ossessione per la stretta securitaria. E l’ha fatto in Europa tenendosi distante dal Partito popolare europeo. Tant’è, che pur flirtando con Ursula von der Leyen, la premier è restata dentro al partito Conservatore (Ecr) che non ha votato la fiducia alla presidente della Commissione Ue e ogni volta che ne ha l’occasione si schiera con gli euro-scettici.
Ma stando a palazzo Chigi e volendoci restare, inevitabilmente Meloni – in nome dei “vincoli esterni” e del credo euro-atlantico – ha dovuto, suo malgrado, distanziarsi dall’estrema destra europea. Quella riunita nel gruppo di Patrioti di Viktor Orban, Salvini, Marine Le Pen ed è in sintonia con i neonazisti tedeschi di Alternative fur Deutschland. Quella, per intenderci, che tifa per Vladimir Putin, fa la cheerleader di Donald Trump, vorrebbe fare poltiglia dell’Ue e sogna un’Europa ariana.
Ebbene, è da escludere che da qui alle elezioni del 2027 Meloni decida di andare a fare comunella con i vecchi camerati. Primo, perché lo standing di premier di Paese fondatore dell’Ue lo impedisce. Secondo, perché a chi punta al Quirinale è sconsigliato sbilanciarsi troppo verso l’estrema destra. Conclusione: Vannacci, se volesse fare lo strappo – lasciando tra l’altro Salvini in braghe di tela – avrebbe spazio per tentare l’avventura solitaria, rastrellando qua e là i nostalgici della X Mas. Che sono tanti, a cominciare da Casa Pound.
Per Giorgia, si diceva, sarebbero dolori. Chissà, però, che il generale non si faccia ammaliare dalla promessa di una poltrona da ministro. I gradi piacciono a tutti, figurarsi a uno che per tutta la vita ha indossato le stellette. In questo caso la profezia di Renzi non potrà avverarsi.
Alberto Gentili