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Home - Approfondimenti - L'Editoriale - Contrattazione, la visione antisindacale del governo italiano

Contrattazione, la visione antisindacale del governo italiano

di Massimo Mascini
6 Ottobre 2025
in L'Editoriale
Coalizioni sbandate

L’ultima, potremmo dire l’ennesima delega che il governo Meloni ha chiesto al Parlamento, stavolta in tema di lavoro, parla di retribuzioni e contrattazione. Si potrebbe credere che l’obiettivo sia quello di mettere le parti sociali in condizioni di far lievitare le retribuzioni e comunque di irrobustire il sistema di contrattazione, che funziona bene, ma ha bisogno di una revisione dei suoi meccanismi arrugginiti. In realtà non è così. Molto dipenderà da come l’esecutivo adopererà questa delega, perché molto è stato lasciato indefinito, ma l’obiettivo che il governo Meloni si è posto è evidente.

La cosa che più lascia perplessi, lo ha sottolineato Tiziano Treu in una bella intervista a Il diario del lavoro, è il fatto che questa legge affidi compiti di perequazione salariale tra i lavoratori ai contratti “maggiormente applicati” e non più, come è sempre stato in passato, ai contratti “maggiormente rappresentativi”. La differenza c’è, ed è forte. Perché il fatto che un contratto sia molto applicato non comporta necessariamente che sia anche un buon contratto e, soprattutto, che guardi al benessere dei lavoratori.

Viviamo in epoca di contratti pirata, che dovrebbero essere applicati a una minoranza di lavoratori, perché a sottoscriverli sono associazioni, di lavoratori come di imprenditori, assolutamente minoritari. In realtà sono, o possono essere, in tanti ad applicarli, perché questi contratti nascono per diminuire salario e diritti dei lavoratori. Ed è una pratica che non può che crescere con l’inasprirsi delle difficoltà delle imprese. Quelle che vivono border line, che stentano a sopravvivere, sono più che tentate dall’applicare contratti che costano meno. Questo nei settori che stanno meglio, ma in quelli difficili, in cattive condizioni di mercato, dove già si fatica a firmare contratti, ricorrere a questi espedienti può essere, e in parte lo è già, pratica corrente.

E allora perché questa conversione verso una formula che può non essere gradita ai lavoratori o comunque non confacente con i loro interessi? Il punto è che questo governo, già in passato, ha provato a far passare la medesima indicazione, tanto che a un certo punto, proprio per bloccare un analogo tentativo, furono le grandi associazioni imprenditoriali a muoversi. Confindustria, Confcommercio, Legacoop e Confcooperative sentirono la necessità di mettere nero su bianco che dovevano essere privilegiati non i contratti maggiormente applicati, ma quelli che rispondevano ad alcuni criteri, ben diversi, di qualità.

E si potrebbe andare avanti nell’analisi del testo di questa legge. Che, tra le altre cose, afferma che il governo può intervenire in una trattativa che va per le lunghe, che non si riesce a chiudere. Nulla di nuovo, il ministero del Lavoro lo ha sempre fatto. Il ministro di turno convocava le parti di un negoziato che non riusciva a procedere e cercava di metterle d’accordo, con un po’ di buon senso o di moral suasion. Ma qui si è fatto un passo in avanti, perché adesso il ministro potrà adottare “le misure necessarie” per chiudere il contratto. Il salario, e tutto il resto, non sono più decisi dalle parti, ma dal governo. E questo non aiuta certo la contrattazione.

La realtà è che questo governo ha sostanzialmente una visione decisamente antisindacale. Giorgia Meloni non perde occasione per ricordare che viene dalla Destra sociale, quell’ala del vecchio Msi che soleva guardare con attenzione alla difesa degli interessi dei lavoratori. Sarà anche vero, ma resta il fatto che le sue radici non sembrano così tenaci come vorrebbe farci credere. Il sindacato resta agli occhi della destra politica in generale come un concorrente, un centro di potere dal quale guardarsi e cui, se possibile, conviene spuntare le unghie. Poi c’è sindacato e sindacato, chi è più vicino e può essere temporaneo alleato o compagno di strada e chi è irriducibile; ma le categorie di fondo, che non si dimenticano, sono quelle ed è su tali basi che si costruiscono le strategie.

Se i contratti pirata erodono il potere, o quanto meno la credibilità, dei sindacati, non c’è motivo per combatterli. Anche se le grandi confederazioni, di entrambe le parti, dei lavoratori e degli imprenditori, possono non essere d’accordo. E se queste stringeranno un nuovo grande patto sociale che combatta i contratti pirata, sarà interessante verificare come reagirà il governo, che può certo avere nemici e concorrenti, ma non può fare guerra al mondo intero.

Massimo Mascini

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Direttore responsabile de Il diario del lavoro

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