Una filiera solida, merito della bilateralità e dei risultati ottenuti grazie alla contrattazione, che però deve fare i conti con le prime avvisaglie di rallentamento soprattutto in certi comparti. È questa l’analisi di Mauro Franzolini, eletto da poco alla guida della Feneal-Uil, il sindacato delle costruzioni della Uil che parla di scelte che la politica deve fare perché l’Italia non resti indietro su tanti i temi, dalle politiche industriali alle politiche abitative, dalle scelte sull’ambiente alle riforme sul fisco e sulle pensioni. Il fenomeno dei contratti pirata si fa sentire soprattutto nell’edilizia, spiega Franzolini, che rilancia sulla necessità di arrivare a una normativa di supporto per la misurazione della rappresentanza. Mentre in materia di salute e sicurezza, sostiene, la formazione è centrale, ma dobbiamo affidarci anche alle nuove tecnologie e le ispezioni devono essere mirate, soprattutto nelle aziende del subappalto e in quelle dove c’è una recidiva degli infortuni. Altro argomento toccato è stato quello relativo alla mancanza di manodopera, comune a molti settori della filiera costruzioni, e che il segretario ritiene fondamentale affrontare anche dal un altro punto di vista, quello del riconoscimento di queste persone non solo come lavoratori ma come nuovi cittadini portatori di diritti e non solo di doveri.
Qual è lo stato di salute della filiera delle costruzioni?
La filiera sta vivendo una fase particolare. Dopo il boom conseguente al superbonus e ai fondi messi in campo dal PNRR, i dati attestano una situazione ancora positiva, anche se si intravedono sostanziali differenze tra la tipologia di mercato dell’edilizia privata e quella degli appalti pubblici.
Nello specifico?
In particolare è proprio l’edilizia privata che sta manifestando maggiore difficoltà, con un calo delle ore lavorate e dei lavoratori iscritti alle casse edili in alcune aree del paese, mentre le opere di natura infrastrutturale, legate al Pnrr, continuano a tenere. Ma sempre di più pensiamo sia necessario cambiare paradigma e concepire la filiera nel suo insieme per affrontare anche le questioni e le problematiche specifiche, e questo perché l’edilizia è profondamente legata alla filiera di produzione dei materiali da costruzione. Non solo, c’è un forte legame con l’industria e la manifattura, e il calo della produzione che registriamo da molti mesi, e che tale dovrebbe restare da qui alla fine dell’anno, non è confortante.
Che difficoltà sta incontrando l’edilizia abitativa?
Il nostro paese sta vivendo situazioni agli antipodi. Da un lato c’è un disagio abitativo molto forte nei grandi centri urbani, dove mancano abitazioni e i prezzi per gli affitti e le vendite sono molto alti. Dall’altro le aree interne sono a rischio spopolamento e caratterizzate da scarsa attrattività lavorativa, e questo non solo comporta l’impoverimento economico e sociale di queste realtà, ma anche il pericolo che una parte significativa del patrimonio immobiliare privato venga abbandonato. Tutto questo richiede un intervento della politica per alleggerire la tensione abitativa delle grandi città e per non abbandonare alla desolazione le arre interne. È un tema da affrontare anche sul piano europeo, perché è un problema che non tocca solo il nostro Paese.
Come si declina la direttiva europea della casa con questo scenario?
C’è un cambio negli stili abitativi delle persone che aspirano ad avere case sempre più efficienti sotto il profilo energetico anche per contenere i costi delle bollette. Il superbonus è stato allora uno shock importante per un settore a terra, anche se alla lunga si è rivelata una misura non sostenibile. Oggi le case che hanno una classe energetica alta sono ancora in numero ridotto e credo che, senza un intervento da parte dell’Europa, il nostro paese non abbia la forza per attuare interventi strutturali che vadano nella direzione indicata dalla direttiva.
Cosa accadrà, secondo lei, quando finirà il tempo del Pnrr?
Il Pnrr è stato un’ancora di salvezza per la nostra economia. Senza queste risorse saremo sicuramente in recessione, con il segno meno davanti al Pil. Inoltre sono fiducioso che tutte le opere saranno realizzate nei tempi previsti perché abbiamo un sistema di lavoratori e imprese solido e capace. Ma le opere infrastrutturali e di modernizzazione del Paese restano strategiche e occorrerà proseguire in questa direzione se vogliamo restare un paese all’avanguardia.
Vede un’attenzione e una pianificazione da parte della politica su tutti questi aspetti?
Purtroppo no e alcuni partiti sembrano osteggiare la transizione energetica, senza nessuna lungimiranza considerato il caro energia e il presumibile aumento futuro della richiesta energetica. La direttiva green sulla casa è chiara e noi siamo convinti che occorra continuare sulla strada della transizione energetica anche dal punto di vista abitativo. Ma, più in generale, manca una visione complessiva per il Paese. Le finanziarie si muovono sempre con provvedimenti emergenziali e anche questa ultima legge di bilancio, pur tenendo a posto i conti, fatto comunque positivo, non dà certo una spinta alla crescita. C’è un’assenza di scelte che condanna il Paese a una sua residualità.
La contrattazione sta dando le necessarie risposte ai lavoratori?
Si certamente, per quanto attiene la filiera delle costruzioni tutti i contratti che abbiamo rinnovato hanno dato risposte importanti sotto il profilo del salario e dei diritti. Contratti approvati e apprezzati a larghissima maggioranza dalle lavoratrici e dai lavoratori. Purtroppo, alcuni settori merceologici danno sì occupazione ma con un basso valore aggiunto e stipendi poveri, si dovrebbe, invece, riprendere un cammino di crescita, legato all’industria e alla manifattura, che al momento non c’è. Il comparto industriale è il vero traino dell’economia, e quello che vedo è che i nostri competitor europei, Germania e Francia e ora anche la Spagna, hanno un Pil superiore al nostro e stanno puntando molto sugli investimenti mentre non c’è una via italiana allo sviluppo all’interno della cornice europea.
Risposte che arrivano anche dalla bilateralità.
Quello della bilateralità è un sistema molto solido, che ha saputo riformarsi nei vari rinnovi contrattuali che si sono susseguiti, intercettando sempre di più i bisogni dei lavoratori e delle imprese, anche se minacciato da frange della politica che si avvicinano a parti datoriali per nulla rappresentative e che sicuramente non hanno a cuore la preservazione di un modello virtuoso che ha oltre cento anni. Detto questo, quasi tutti gli enti edili sono in ottima salute. Sono aumentate le prestazioni, sia in termini assoluti sia che in termini percentuali. I fondi di sanità integrativa Sanedil e Altea stanno crescendo, così come sta crescendo la previdenza integrativa, grazie ai fondi Prevedi, Arco e Concreto, che complessivamente gestiscono oltre 2,5 miliardi di risorse. Riteniamo in questo senso necessaria una massiva formazione finanziaria dei nostri lavoratori che faccia capire l’utilità di una seconda gamba pensionistica e ugualmente servirà mettere mano ad una più complessiva opera di riforma della previdenza integrativa da parte della politica considerato anche il progressivo impoverimento degli assegni pensionistici pubblici. Un intervento analogo lo auspichiamo anche per la sanità complementare. Un numero crescente di lavoratori si affida alle prestazioni dei fondi per sopperire alle difficoltà del sistema sanitario pubblico, ma non è ipotizzabile né giusto che la sanità integrativa diventi sostitutiva del sistema pubblico.
È in corso un confronto tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria sul tema della rappresentanza, del dumping contrattuale e della ridefinizione dei perimetri contrattuali. Questi temi in che misura impattano nei vostri settori?
I contratti pirata non sono un grosso problema nell’ambito delle fabbriche dei materiali da costruzione dove le parti datoriali sono molto rappresentative. C’è qualche invasione di campo, ma sono fenomeni limitati. Siamo molto più preoccupati, invece, per gli attacchi al sistema bilaterale e per il dumping contrattuale presente in edilizia, dove molte aziende operano nei cantieri senza applicare il contratto di settore con un aumento vertiginoso dei rischi per i lavoratori. Moltissimi infortuni e incidenti mortali accadono infatti proprio in questi contesti.
Sulla rappresentanza pensa che serva una legge o che i criteri di misurazione definiti dalle parti sociali abbiano poi bisogno una legislazione che li supporti?
Negli accordi interconfederali ci sono già dei criteri. Il problema è che non sono applicati in maniera generalizzata dal mondo delle imprese. Quindi una norma di sostegno, indirizzata dalle parti sociali, è quanto mai necessaria. Ma sotto il profilo dei numeri, già oggi, risulta evidente sia nelle elezioni delle Rsu che nella misurazione della rappresentanza, che le sigle più rappresentative sono Cgil, Cisl e Uil.
Tornando a parlare di salute e sicurezza lei indicava tra le cause degli infortuni la mancata applicazione dei contratti di riferimento. I numeri forniti dall’Inail parlano di una vera e propria emergenza. In che modo si può intervenire?
C’è una questione di cultura della sicurezza e su questo punto noi, insieme agli enti bilaterali dell’edilizia, possiamo fare molto. In particolare, nel nostro settore, stiamo assistendo a una profonda mutazione della provenienza geografica dei lavoratori, anche dal di fuori dei confini europei, che devono essere formati e informati. Gli incidenti succedono poi anche in altri comparti, come gli impianti fissi, e interessano anche lavoratori italiani formati. Ma qui c’è uno scarto tecnologico e stiamo lavorando con le grandi aziende della filiera delle costruzioni per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale come strumento di prevenzione degli infortuni, perché siamo convinti che questo potrà essere un grande ausilio, soprattutto in luoghi di lavoro delimitati. C’è poi la questione legata ai controlli che devono essere mirati. È scarsamente utile accanirsi in controlli in aziende strutturate che magari hanno già ricevuto ispezioni e verifiche, si deve, invece, agire nella catena dei subappalti dove lo sfruttamento e la riduzione dei costi del lavoro anche a discapito della sicurezza è molto più frequente. Molti incidenti accadono poi in imprese dove sono già avvenuti e in questo senso la patente a punti non sta funzionando, mentre si rende sempre più necessario un sistema di qualificazione delle imprese.
Cosa ne pensa del Dl Sicurezza, da poco approvato dal Consiglio dei ministri?
Le recenti misure approvate sono una buona notizia che accoglie importanti proposte sindacali, tra cui quella del badge di cantiere da noi più volte sollecitato. Ma il lavoro deve proseguire intervenendo su nodi scoperti come i subappalti a cascata e le gare al massimo ribasso e molte altre partite che spero si affronteranno insieme per riuscire a trovare le soluzioni più efficaci.
Crede che un sistema di aggregazione per superare il nanismo delle aziende possa essere utile?
Assolutamente sì. Il paradigma di qualche anno fa per il quale ‘piccolo è bello’ credo che non sia più funzionale, salvo rarissime eccezioni come lavorazioni di nicchia o ad alto valore aggiunto. Nell’edilizia la dimensione media, che è quella maggioritaria, vede 3 o 4 addetti per impresa e negli anni non sono stati fatti passi in avanti. Anzi dopo la crisi del 2008, che ha toccato soprattutto le aziende medio-grandi, fa fatica a realizzarsi un nuovo corpo di realtà più strutturate mentre sarebbe utile che la politica favorisse e incentivasse le aggregazioni sotto il profilo sia fiscale che normativo.
Insieme all’Ance avete promosso, come filiera, l’iniziativa “Fondamentale” per dare un nuovo slancio all’attrattività del comparto. Ci sono già dei risultati? C’è un problema di carenza di manodopera formata?
Fondamentale è un’iniziativa straordinaria, che mette insieme tutte le parti sociali della filiera nelle loro diversità, un unicum che dimostra ancora una volta l’esperienza positiva delle nostre relazioni industriali di settore. Abbiamo sentito la necessità di dare una nuova immagine di questo mondo agli occhi dell’opinione pubblica anche per attrarre i giovani e sono convinto che i risultati si vedranno nel tempo ma forse non sarà sufficiente. E molto probabilmente ci sarà bisogno di un ulteriore step. Noi come Feneal siamo pronti a nuove iniziative per rispondere alle varie esigenze che si stanno già presentando. Per quanto riguarda invece la mancanza di manodopera, si tratta di un problema trasversale a tutto il mondo del lavoro. Si sta esaurendo, per ragioni anagrafiche, lo stock dei baby boomers, che hanno contribuito allo sviluppo del Paese sia come lavoratori che come classe imprenditoriale e anche su questo è arrivato il momento che la politica faccia delle scelte di campo. Dobbiamo rivolgerci a dei bacini che devono guardare oltre i confini europei, dai quali far venire manodopera formata o da formare e sulla quale il Paese deve investire. È sconcertante che una parte della politica nazionale, per mere ragioni elettorali, continui a sostenere una certa narrazione dell’immigrazione, del tutto in contro tendenza con le richieste delle aziende o con il pragmatismo di alcuni governatori che invece ascoltano i bisogni del tessuto produttivo territoriale. È un fatto ineluttabile che questi lavoratori andranno a formare la nuova Italia, e per questo non solo devono essere formati ma integrati come nuovi cittadini.


























