Una donna o una ragazza uccisa ogni 11 minuti (dati United Nations Office on Drugs and Crime). Una statistica agghiacciante, che ci indigna e allo stesso tempo ci trova assuefatti. Scendiamo in piazza in attesa dell’ennesimo femminicidio che forse si sta compiendo in quel momento. Martedì 25 novembre ricorre la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Una data pressoché simbolica, ormai, dacché le iniziative di sensibilizzazione e discussione si moltiplicano durante tutto l’anno. Fondamentali momenti di presidio, che coinvolgono uomini e donne nella stessa misura. Così come, sempre più, coinvolgono le giovani generazioni. In questo solco, il sindacato non si sottrae alla battaglia. La Fai-Cisl e Terra Viva – associazione di secondo livello affiliata alla Fai Cisl che rappresenta i liberi produttori agricoli – hanno organizzato il convegno “La comunità che salva” – che si è svolto martedì 18 novembre al Cnel – durante il quale è stato sviluppato un prolifico dibattito sulle sfide del sindacato agroalimentare e ambientale per favorire le pari opportunità e il contrasto e prevenzione di ogni forma di discriminazione e violenza di genere.
Numerosi interventi e testimonianze hanno scandito la discussione che ha preso le mosse dalla parola chiave “comunità”. Quella “che salva, che non lascia indietro nessuno”, come ha sottolineato la segretaria nazionale della Fai-Cisl e responsabile Coordinamento Pari Opportunità, Raffaella Buonaguro, e che nel lavoro del sindacato si sostanzia in tante e articolate azioni e iniziative: presidi di prossimità come gli sportelli di ascolto, denuncia dei casi di abusi e molestie, azioni legali e disciplinari. I luoghi di lavoro, infatti, sono contesti in cui troppo spesso si verificano casi di specie – tra cui la sessualizzazione delle lavoratrici e lo stereotipo del “sesso debole” – e l’agroalimentare non fa eccezione, come dimostrato anche dalle testimonianze riportate dalla segretaria della Fai-Cisl Marche, Francesca Monaldi, e dalla segretaria della Fai-Cisl Alessandria Asti, Annalisa Minetto. Nel settore, infatti, il 32% della forza lavoro è composta da donne, nell’industria alimentare arriva a toccare punte del 50% e un terzo delle imprese agricole è a traino femminile. In questo senso, la contrattazione collettiva è uno strumento attraverso il quale è possibile incidere considerevolmente per promuovere la cultura del rispetto e del dialogo, ma anche per riaffermare la forza della comunità e trasformare la solidarietà in azione concreta. Perché il lavoro è strumento di libertà, non di oppressione o esclusione.
Alleanza, dunque, è la seconda parola chiave, sia essa tra i generi o generazionale. Una chiamata alla responsabilità soprattutto nei confronti dei più giovani, presenti anche tra gli scranni della sala con una folta delegazione del liceo Seneca di Roma, attenti e partecipativi alla discussione. Le agenzie educative giocano un ruolo fondamentale: la famiglia, come sottolinea Adriano Bordignon, presidente nazionale Forum Associazioni Familiari, ma anche la scuola. Non succedanei l’uno dell’altro, ma entità complementari che devono agire in sinergia per sanare le crepe di un’affettività minata dall’isolamento. È lo stesso Bordignon, per spiegare il concetto, a prendere in prestito un termine di origine bantu: “Ubuntu”, riassumibile nella massima “io sono perché noi siamo” e quindi interdipendenza tra gli individui. L’umanità, dunque, è una qualità che scaturisce dalla relazione e l’individuo non può pensarsi scisso dalla sua comunità con cui vive in alleanza, reciprocità, dono e in rapporto di solidarietà.
Ma non solo. Laddove Buonaguro afferma che le leggi da sole non bastano e invoca una più incisiva azione da parte della politica, Elisabetta Christiana Lancellotta, componente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere, ha parlato dell’accordo bipartisan su violenza sessuale e “consenso libero e attuale” e sull’introduzione del reato di femminicidio all’art. 577-bis del codice penale che equipara l’omicidio di una donna a un atto di odio e discriminazione di genere, con pene fino all’ergastolo. Tuttavia, resta fondamentale il lavoro di squadra con le agenzie educative, in particolare con la scuola, attraverso l’introduzione dell’educazione civica e dell’educazione sessuo-affettiva (per la quale serve comunque il consenso dei genitori), ma anche la formazione dei docenti, che devono essere preparati ad affrontare il tema in maniera puntuale.
In ogni caso vige un solo imperativo: denunciare ogni forma di abuso e violenza, creare una rete solida di relazioni di cui imparare a fidarsi e con la quale dialogare. Mettere in atto una “rivoluzione del noi”, come suggerisce Antonella Elena Rossi, psicologa clinica e criminologa, nonché autrice del libro “Sono qui per amore”, e riflettere anche sul valore delle parole, quelle da trasmettere e quelle da assimilare. Perché, afferma rivolgendosi alla platea degli studenti, non è l’amore a essere tossico, sono le relazioni a esserlo. E lancia una proposta di buon senso: insistere sui percorsi di ascolto sin da adolescenti, parlare con loro invece di moralizzare ogni atteggiamento. La sopraffazione e la violenza non sono solo atti fisici, ma risultati dell’isolamento in cui i ragazzi vengono piombati. I risultati, poi, sono le terribili vicende come quella di Martina Carbonaro o Giulia Cecchettin, osserva la giornalista di Rai News24 Elisa Dossi, anche autrice del libro “Amiche” che verte sulle virtuose relazioni amicali.
In conclusione, il segretario generale della Fai-Cisl, Onofrio Rota, ha rimarcato la declinazione del sindacato come comunità, che raccoglie esperienze e competenze tali da poter affrontare la complessità delle tante storie che si snodano sul territorio. Storie che nel settore dell’agroalimentare si intrecciano e moltiplicano e che svelano quanto si nasconde dietro il pregio del Made in Italy. A questo proposito, il sindacato ha dato alle stampe il volume dall’eloquente titolo “Made in Immigritaly”, alla sua seconda edizione, che mette in luce l’apporto del lavoro immigrato nel settore agroalimentare italiano. In agricoltura, gli stranieri occupati nel settore all’inizio del 2023 sono quasi 362.000, più di un terzo del totale dei lavoratori, oltre a quanti sono impiegati nell’industria alimentare. Eppure di questa realtà si parla raramente, se non in termini di sfruttamento e precarietà. Di questo, appunto, parla il cortometraggio animato “Il nome di Hope”, realizzato da un collettivo di oltre 20 giovani studenti di cinema, musica, animazione e presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia in occasione del Premio collaterale della Fai-Cisl “Persona, lavoro, ambiente”. L’opera è stata proiettata nel corso dell’evento come momento di riflessione sull’oppressione della forza lavoro migrante e, in particolare, sul corpo delle donne migranti. Un’occasione in più per mettere in luce l’intersezionalità degli abusi che opprimono le fasce più deboli della popolazione e a cui, come comunità, siamo chiamati a reagire.
Elettra Raffaela Melucci

























