“I dati dell’indagine Fillea Cgil-Cresme dimostrano che la casa e l’ambiente costruito rappresentano il nuovo paradigma per lo sviluppo e la coesione sociale del paese. Secondo Federcasa sono 250mila le famiglie iscritte ai bandi per l’edilizia residenziale pubblica. Sulla base di uno studio realizzato da Ance e Cresme servirebbero almeno 35 miliardi di euro per fornire a questi nuclei familiari un’abitazione da 70 mq, con un costo di ristrutturazione o costruzione di 2mila euro al metro quadro. Ma le misure messe sul piatto dalla legge di bilancio per il disagio abitativo sono limitatissime: 50 milioni di euro per il 2027 e il 2028 e solo 560 milioni per il piano casa”. Così Antonio Di Franco, segretario generale della Fillea-Cgil, nel corso dell’iniziativa “Il valore dell’industria casa nell’economia italiana”, che ha visto la partecipazione di tutte le parti sociali della filiera.
“Il governo – ha spiegato Di Franco – è concentrato su altre priorità: condoni edilizi, rottamazione cartelle, attacco ai diritti dei lavoratori e ulteriori allungamenti dell’età pensionabile. Casa e costruzioni sono pilastri della dinamica industriale del Paese. Il 32% del valore aggiunto nazionale, circa un terzo dell’economia italiana dipende da quello che succede nel settore e che ruota attorno al bene casa. Alla domanda di case e affitti calmierati, l’esecutivo risponde con risorse insufficienti, spiccioli per la morosità incolpevole e soprattutto con un ddl in materia di sfratti che rischia di mettere per strada migliaia di famiglie. Nessun riordino e prospettiva di lungo periodo in materia di incentivi fiscali ed efficientamento energetico”.
Il settore si trova a un bivio: le risorse legate al superbonus e al Pnrr si vanno esaurendo. Quello che temono le parti sociali è che una volta terminate il settore si ritrovi orfano di politiche pubbliche di sostegno, e che debba così affrontare da solo i dazi, il caro materie prime, la difficoltà nel reperire manodopera e le concorrenza sleale di tutti quei paesi che non hanno una normativa stringente per la tutela ambientale e la transizione come l’Europa. Il timore emerso nel corso dell’iniziativa è che la filiera si trovi a dover gestire l’ennesima crisi, con l’arretramento del numero di aziende e del perimetro occupazionale e la perdita di competenze difficilmente recuperabili.
“Come filiera dobbiamo incidere di più per evitare un nuovo tracollo del settore. Abbiamo perso tanto in termine di imprese, lavoratori e competenze e questo scenario non deve verificarsi nuovamente. La legge di bilancio ha fatto veramente poco” ha detto la presidente dell’Ance Federica Brancaccio durante l’iniziativa. “Quella della casa è un’emergenza che non tocca solo l’Italia ma l’intera Europa. È un tema complesso e per questo serve un ventaglio di soluzioni normative, fiscali e finanziarie che come filiera possiamo portare avanti insieme. Prioritario è superare la frammentazione di competenze e mettere in campo strumenti e incentivi per attrarre sia fondi istituzionali che capitali privati. E se la spesa per le armi è fuori dai vincoli del patto di stabilità allora deve esserlo anche quella per la casa”.
Ma quanto vale e quanto pesa la filiera nell’economia del paese? L’indagine, esposta dal direttore tecnico del Cresme Lorenzo Bellicini, evidenzia una stretta correlazione tra l’andamento del settore e quello del Pil. Le fasi di crescita o di recessione del primo influenzano il trend del secondo, a conferma che le costruzioni sono uno dei motori della nostra economia. Non è un caso che su un totale di 63 branche produttive, 59 sono toccate dalle costruzioni. Sul fronte economico, se consideriamo solo il valore aggiunto generato l’importanza del comparto nel creare ricchezza ha visto un progressivo ampliamento, passando dal 5,2% del 2021, per un totale di 85 miliardi, al 5,9% del 2024. Se poi consideriamo gli investimenti il valore aggiunto sul Pil totale va dai 177 miliardi del 2021, per una percentuale del 10,8%, al 14,6% nel 2024. In questa somma bisogna considerare anche la manutenzione ordinaria che pesa 77miliardi, la spesa delle famiglie che arriva a 208 miliardi, ossia il 40% del valore aggiunto prodotto dal settore e la spesa immobiliare dei settori economici, quasi 52 miliardi che in punti percentuali corrispondono al 10. Così dall’iniziale 5,2% si arriva a un incidenza del Pil nazionale del 30,4%, ossia 514 miliardi di euro
Se analizziamo il valore della produzione questo è composto per il 35,5% dal costo del lavoro e margine operativo e per il restante 64,5% da consumi intermedi: acquisti di beni e servizi necessari al processo produttivo. Dei 155 miliardi di consumi intermedi, 50 miliardi, il 30%, sono acquisti di prodotti realizzati da operatori delle costruzioni. Il restante 70%, quasi 105 miliardi, è impiegato per l’acquisto di beni e servizi provenienti dalle 59 branche che tocca il settore. Inoltre, tali acquisti provengono quasi esclusivamente da produzioni interne e solo il 7% dall’estero. Così il 30% della crescita occupazionale registrata in Italia tra il 2019 e il 2025 è imputabile al contributo delle costruzioni.
L’indagine tocca, inoltre, la questione occupazionale. Secondo la rivelazione della forza dell’Istat gli occupati, al I° semestre del 2025, superano il milione e seicento mila unità. Se invece si prendono i dati della contabilità generale dell’istituto di statica sia arriva a 1 milione e 854mila. Dal 2020 ad oggi, se si esclude il 2023, il numero di occupati delle costruzioni è cresciuto costantemente. Fra il 2019 e il 2025 l’occupazione nelle costruzioni è aumentata del 24,6%, molto più degli occupati in agricoltura (- 8,6%), nell’industria (+3,3%) e dei servizi (+4,1%). In rapporto all’industria, il saldo positivo è di 326mila occupati rispetto ai 155mila. Me se in questa stima inseriamo anche tutta quella serie di professionisti che ruota attorno al mondo delle costruzioni, le cifre ci parlano 3milioni e 600mila addetti.
Guardando alla ricchezza creata dall’industria della casa questa deriva, come sottolinea il documento, principalmente dalla manutenzione del patrimonio abitativo privato esistente. Si costruiscono molte meno case che in passato. Siamo passati dalle 327mila abitazione del 2007 alle 123mila del 2024. I flussi monetari, spiega la ricerca, innescati dalle nuove costruzioni o dalle manutenzioni dell’esistente non si arrestano con la chiusura del cantiere, ma si protraggono per molti anni. Secondo le stime i flussi economici generati dalla casa sono stati 466 miliardi nel 2024. Questo importo, che è dato dalla spesa in nuove abitazioni (31,1 miliardi di euro), le spese per l’abitabilità (7,5 miliardi), la manutenzione (123,3 miliardi) e le altre risorse connesse all’uso dell’abitazione (304 miliardi), corrisponde al 21% del Pil.
“La casa non ha solo un valore economico ma è un tema di sviluppo sociale, di quale deve essere il futuro sviluppo del paese” ha dichiarato il segretario generale della Feneal- Uil, Mauro Franzolini, nel corso della tavola rotonda. “Per questo deve esserci una visione, un progetto più ampio e a lungo termine contro i rischi potenziali e futuri di chiusura di imprese e cantieri dovuta al caro prezzi, al caro energia, alla mancanza di risorse dopo il Pnrr e di incentivi. Senza l’industria l’Italia rischia di tracollare”.
“C’è bisogno di ragionare- ha precisato il numero uno della Feneal – a livello europeo per porre regole che tutelino il nostro mercato attraverso un sistema intelligente di protezione del capitale industriale e sociale.” “Non va assolutamente dimenticato il tema delle aree interne che rischiano di essere marginalizzate mentre andrebbero valorizzate in un ragionamento reale e concreto per fronteggiare lo spopolamento e il deprezzamento del valore casa. Proviamo per questo a cercare soluzioni concrete da proporre alla politica per invogliare il cittadino stesso ad investire sulla casa prendendo anche a modello quello che noi parti sociali siamo riusciti a fare con i fondi pensione.”
“La casa può essere una valvola di sfogo molto importante per la continuità lavorativa delle piccole imprese non toccate dalle grandi opere del Pnrr” ha spiegato il presidente di Confapi Aniem, Giorgio Delpiano, che ha sottolineato anche la crescente difficolta nel trovare nuovo personale per le imprese. Il segretario generale della Filca- Cisl, Ottavio De Luca, ha messo in risalto “l’importanza della bilateralità, che non deve limitarsi a mere attività tecniche o amministrative ma, ad esempio, premiare quelle aziende che rispettano i parametri di sostenibilità ambientale”. C’è poi la sfida della competitività, delle competenze e del caro materiali. “Il lavoro di molti cantieri è subordinato a quello di altre competenze che non sono più presenti all’interno del nostro perimetro” ha precisato Stefano Crestini, presidente di Confartigianato Edilizia. “La produzione del materiale di base rischia di uscire dai confini europei. Crescono i costi incrementali e questo si traduce in una perdita di competitività. Serve un sostegno per i costi dell’energia e aiutare le aziende nelle transizioni” ha aggiunto il direttore generale di Federbeton, Nicola Zampilla. E sul caro costi Assolegno, attraverso il segretario Ugo Terzi, ha espresso la propria preoccupazione.

























