Il referendum costituzionale del 4 dicembre divide il paese e, naturalmente, divide anche le parti sociali, che del paese sono lo specchio. Si dividono così tra il Sì e il No i sindacati confederali, Cisl e Uil per il Sì, la Cgil per il No, mentre già Confindustria si è schierata a sostegno della riforma. Lo ha fatto con un voto all’unanimità del suo Consiglio generale e poi con un report del Centro studi, che descriveva uno scenario da incubo in caso di vittoria del No, con una perdita secca di quattro punti di Pil. Una presa di posizione netta abbastanza insolita, per la Confindustria, che infatti ha suscitato molte polemiche. E tuttavia, Vincenzo Boccia non ha mai rinnegato questa posizione di totale appoggio al governo e alle riforme che Renzi ha fortemente voluto, anzi, non manca di ribadirla in ogni sede.
Quanto ai sindacati, sono divisi sul referendum, ma per fortuna questa differente visione non pesa sui rapporti interni, almeno così appare. Da circa un anno Cgil, Cisl e Uil hanno ritrovato una sostanziale unità di intenti, che ha portato prima alla firma del documento sulla riforma dei contratti e le relazioni industriali, e successivamente a una serie di accordi con le controparti, Confindustria compresa.
Del resto, c’è da dire che se la Cgil sta facendo campagna elettorale per il No in maniera intensa, come del resto ha deciso un voto del consiglio generale, organizzando un fitto calendario di assemblee ed eventi in tutta Italia, le altre due confederazioni per lo più restano defilate, e solo qualche dirigente a titolo personale scende in campo a favore del Sì.
Ci sono molte spiegazioni per questo diverso atteggiamento delle centrali sindacali. La Cgil è sempre stata politicamente più esposta, il legame con la politica è rimasto vigoroso anche se i collegamenti organici di qualche decennio fa sono oggi scomparsi. Del resto, il partito di riferimento della Cgil era il Pd e lo era quando a guidarlo c’era l’attuale minoranza, quella per intendersi che a riferimento a Pierluigi Bersani, e dunque è normale che l’emarginazione dopo l’avvento del rottamatore Renzi non sia stata vissuta con tranquillità.
Il premier, d’altronde, ci ha messo del suo per inimicarsi il sindacato e la Cgil in particolare. L’azione contro i patronati, la quasi eliminazione dei distacchi nel pubblico impiego, la fine della concertazione, le parole spesso sprezzanti nei confronti dei sindacati: ce ne è a sufficienza per giustificare adesso un atteggiamento negativo. L’uscita di scena di Renzi può quindi tranquillamente esser vista dalla Cgil come un evento fortunato più che una disgrazia.
Anche se, in effetti, le cose stanno un po’ cambiando da qualche mese a questa parte. Come che sia, la concertazione è improvvisamente tornata attuale: non sarà quella strutturata da Carlo Azeglio Ciampi nel 1993, ma resta che i rappresentanti dei lavoratori sono tornati a varcare le soglie di Palazzo Chigi, a far parte di commissioni, comitati, a partecipare a incontri e riunioni assieme al governo stesso, in occasione di decisioni su temi cruciali come le pensioni, ma anche su emergenze come il terremoto, o per la definizione di leggi importanti per il mondo del lavoro, come quella sul caporalato.
La tesi di molti e’ che questa rinnovata ‘’frequentazione’’ del sindacato, da parte del governo, sia strumentale, in quanto segue la vertiginosa caduta di popolarità di Renzi, in particolare dopo le disastrose, per il Pd, elezioni amministrative di primavera. E certamente c’e’ anche un tentativo di recuperare terreno in vista, appunto, del referendum. Ma il dato di fatto incontestabile è che questi contatti sono ripresi e hanno dato buoni frutti, così come sembra siano finalmente in procinto di ripartire i contratti del pubblico impiego, dopo sette anni di blocco. Un nuovo clima, dunque, che ovviamente potrebbe anche finire dopo il 4 dicembre, ma non è detto.
Del resto, per valutare la bontà di queste prese di posizione occorre capire bene cosa può accadere dopo il voto referendario. E in verità le prospettive non sono felici. E’ indubbio che in caso di vittoria del Sì Renzi si rafforzerebbe e potrebbe così portare avanti le sue battaglie. In questo caso infatti le elezioni politiche resterebbero fissate al 2018, salvo forse il caso in cui la vittoria del Sì fosse schiacciante per cui il premier potrebbe essere tentato di capitalizzare subito l’esito del voto favorevole, anticipando la chiamata alle urne.
Se vincesse invece il No, come i sondaggi fanno capire (ammesso che si possa credere ancora ai sondaggi dopo Brexit e Trump) il quadro sarebbe totalmente diverso. Renzi ha chiarito già diverse volte che non si farà rosolare da un governicchio o da un governo tecnico: tradotto dal politichese, significa che lascerebbe il governo. Non lascerebbe però probabilmente la segreteria del Pd, cercando nelle elezioni politiche successive, stavolta a distanza ravvicinata, la rivincita. Coltivando quindi la speranza che avvenga quanto è accaduto dopo Brexit, quando gli inglesi hanno capito l’errore che avevano commesso e sarebbero (forse) tornati indietro, se solo fosse stato possibile. Anche questa sembra una cosa pressoché impossibile, ma la speranza è sempre l’ultima a morire.
Resta da capire che influenza avrebbero questi diversi scenari sulle relazioni industriali. Le partite aperte col governo – da quelle generali, come le pensioni, a quelle più particolari, come le molte crisi aziendali cui il Mise sta cercando soluzioni- arriverebbero a conclusione o si bloccherebbero? Gli eventuali effetti sull’economia del ‘’terremoto’’ referendario, magari non nefasti come quelli previsti da Confindustria, ma comunque prevedibili, che ripercussioni potrebbero avere sull’occupazione? E ancora: la trattativa sulla riforma dei contratti, che nel giro di qualche settimana, cioè non appena concluso il contratto dei metalmeccanici, dovrebbe aprirsi anche con la Confindustria, avrà un futuro, o sarà rimandata per l’ennesima volta a data da destinarsi? Piccoli problemi, forse, a paragone di un tema come la riforma della Costituzione. Ma non certo irrilevanti.
Contrattazione
Accordo tra sindacati e azienda alla Carrozzeria di Mirafiori sul calo degli esuberi e dei contratti di solidarietà previsti lo scorso anno: dal 1°novembre i lavoratori della Carrozzeria in solidarietà caleranno da 2.159 a 2.027, e gli esuberi da 1.144 a 1.014, su 3.860 addetti complessivi. Nel comparto delle ceramiche e piastrelle è stata siglata l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto scaduto il 30 giugno scorso. Il contratto ha durata triennale e riguarda oltre 25 mila addetti al settore. E’ stato siglato, inoltre, l’accordo per la ricollocazione di 215 dipendenti del Gruppo Natuzzi: saranno sottoposti ad un periodo di formazione e riceveranno la cassa integrazione in deroga per il periodo di rincoversione. L’Enel e i sindacati di categoria hanno firmato un verbale di accordo sui congedi parentali. L’accordo contiene anche un capitolo significativo relativo a violenze e molestie nei luoghi di lavoro. Sbloccato il negoziato sul rinnovo del contratto 2016-2019 del settore calzaturiero, che interessa oltre 80.000 lavoratori, scaduto il 31 marzo 2016. Dal mondo delle cooperative, arriva la notizia di un accordo sottoscritto tra i sindacati di categoria e la direzione della Cooperativa Morelli grazie al quale sono salvi i 900 tra soci e dipendenti che svolgono servizi di pulizie/multiservizi, servizi ferroviari e di facchinaggio. Infine, dopo 42 mesi è stato rinnovato il contratto colletivo del settore turismo che prevede un aumento medio di 88 euro a regime. Il contratto sarà valido fino al 31 gennaio del 2018.
La nota
Fernando Liuzzi traccia un resconto della riunione del 16 novembre tra sindacati e Federmeccanica, durante la quale le parti hanno deciso di incontrarsi per una non stop di tre giorni: dal 23 al 25 novembre. Secondo Liuzzi, questo potrebbe significare che l’atteso rinnovo del contratto metalmeccanici potrebbe essere vicino alla conclusione, anche se restano ancora molti nodi irrisolti. Emanuele Ghiani ci riporta le ragioni dei tessili, che dopo oltre 20 anni tornano a scioperare in difesa del contratto nazionale, scaduto più di sei mesi fa e che riguarda oltre 420mila addetti
Diario della crisi
Questa settimana si è raggiunto un accordo importante al Mise per evitare lo smantellamento dello stabilimento dello stabilimento Alcoa di Portovesme. L`accordo stabilisce che Mise e Invitalia ricercheranno nei prossimi 12 mesi un investitore disponibile ad acquisire la proprietà, rimettere in funzione lo stabilimento e restituire prospettive occupazionali ai lavoratori del Sulcis. A Roma, all’indomani dell’incontro con il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, medici e dirigenti sanitari inviano al governo 5 richieste specifiche per rifinanziare il contratto e arginare la precarietà nel settore. In Molise dopo la chiusura dello Zuccherificio, il tribunale di Larino ha messo in vendita i beni mobili dello stabilimento. Ma i sindcati chiedono prima di tutto la tutela dei lavoratori.
Documentazione
Nella sezione dedicata è possibile trovare i dati Istat sulla produzione e i costi nelle costruzioni di settembre 2016; i dati sul commercio con l’estero e prezzi all’import dei prodotti industriali; i dati sui prezzi al consumo di ottobre; le stime preliminari sul Pil nel III trimestre 2016. Inoltre, è possibile visionare le slides del rapporto Inps sui licenziamenti dal 2007 al 2014, le pubblicazioni del convegno (R)evolution Road della Cgil, il testo della circolare n.35 del Ministero Lavoro sulle nuove indicazioni operative riguardo il trattamento dell’integrazione salariale straordinaria per le aree di crisi industriale complessa, il testo D.L.11-10-16, n. 205 riguardo i nuovi interventi urgenti in favore delle popolazioni e dei territori interessati dagli eventi sismici del 2016 e infine il testo dell’accordo Enel sui congedi parentali e molestie. Infine, nella sezione e’ pubblicata la relazione di apertura al convegno unitario Cgil, Cisl e Uil sul nuovo codice degli appalti, firmata dal segretario Cgil Franco Martini.