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Home - Approfondimenti - Analisi - Lo scontro sulla proposta di riforma del codice del lavoro francese

Lo scontro sulla proposta di riforma del codice del lavoro francese

di Maria Concetta Ambra
21 Giugno 2016
in Analisi

Da Marzo ad oggi proteste, scioperi, manifestazioni, cortei hanno invaso le strade delle principali città francesi, per chiedere il ritiro della legge di riforma del codice del lavoro proposta dalla ministra del lavoro El Khomri e presentata alle parti sociali dal Primo Ministro socialista Manuel Valls il 14 Marzo 2016[1]. Ma cosa propone la riforma? E quali sono le posizioni delle parti sociali? Il testo di legge, che è attualmente è in esame al Senato dove verrà votato il 28 Giugno, si compone di 7 parti:

1) revisione diritto del lavoro (art. 1-6). Questa parte prevede modifiche alle disposizioni che riguardano orari di lavoro, riposo quotidiano, ferie, vacanza. L’obiettivo è quello di conferire maggiore spazio di manovra su questi temi alla contrattazione aziendale.

2) modifiche al sistema di contrattazione collettiva (art. 7-20). Riguarda la riforma delle regole della rappresentatività datoriale, il principio di accordo di maggioranza, la ristrutturazione e riduzione dei settori professionali; la modifica dell’articolo sulla validità accordi aziendali (art 10); un nuovo quadro giuridico che permetta alle imprese di chiudere accordi collettivi in azienda per mantenere o aumentare l’occupazione (art. 11); l’aumento del 20% delle ore ai delegati sindacali per negoziare gli accordi (art. 16).

3) sicurezza nella carriera (art. 21-27). Le tutele non sono più legate al posto di lavoro ma sostengono i lavoratori nel passaggio da un lavoro ad un altro; E’ prevista la creazione di account personale attività (CPA Compte Personnel D’activité) (art 21 e 22) e la generalizzazione della garanzia per i giovani (art 23);

4) promozione dell’occupazione, in particolare nelle piccole e micro imprese (art.28-43) e riforma dell’accreditamento delle competenze acquisite (VAE Validation Des Acquis De L’expérience).

5) riforma della medicina del lavoro (art. 44) e condizioni per il riconoscimento di invalidità.

 6) nuove disposizioni contro il distacco illegale (art. 45- 50) per rafforzare gli obblighi dei proprietari quando ricorrono a fornitori con sede all’estero (art 45); istituisce un contributo per compensare i costi amministrativi del distacco di dipendenti in Francia di datori di lavoro con sede all’estero (art. 46).

7) Modifiche sugli ispettori del lavoro (art. 51).

Per comprendere in profondità come vengano percepiti gli effetti di questa riforma, è interessante esaminare le diverse posizioni espresse da sindacati e organizzazioni datoriali, ricostruite sulla base dell’analisi dei comunicati ufficiali diffusi attraverso la stampa locale e attraverso i siti internet delle pagine di ciascuna organizzazione e sulla base di interviste ad esponenti sindacali in Francia, condotte subito dopo la presentazione del testo originale alle parti sociali, nel marzo 2016.

 

Le divisioni tra i sindacati francesi

In Francia la legge di riforma del 2008 ha stabilito che i sindacati sono rappresentativi se superano la soglia dell’8%. I sindacati legittimati e riconosciuti sono cinque: CGT, FO, CFTC, CFDT, CFE-CGC. Sulla riforma El Khomri i cinque sindacati si presentano divisi su due fronti, che potremmo definire “il fronte del no”, che chiede il ritiro della Legge e il “fronte migliorista” che ritiene che il testo possa e debba essere migliorato.

Il fronte del no è composto da CGT, Confedration General du Travail e CGT-FO, o solo FO Force Ouvriere, che è la parte riformista della CGT, nata nel secondo dopoguerra da una scissione interna alla CGT.  Il “fronte migliorista” è il composto dal sindacato cattolico CFTC, dal sindacato riformista CFDT, nato negli anni sessanta da una scissione dentro il sindacato cattolico, e da CFE-CGC, la confederazione francese dei quadri, nata nel secondo dopoguerra da alcuni sindacati degli ingeneri.

Il fronte del No: ritirare la legge!

Da Marzo ad oggi il fronte del no, guidato dalla CGT, e alimentato dalle accese proteste di giovani e studenti che sono scesi in piazza a manifestare e hanno occupato  scuole e università, si è allargato fino a costituire un fronte unitario che include oltre ad FO, anche altre cinque sigle minori (FSU; SOLIDAIRES; UNEF; UNL; FIDL). Si tratta di sindacati, non confederali che non sono stati  riconosciuti perché non hanno superato la soglia dell’8% stabilita dalla legge.

Il governo Valls, ha cercato di ammorbidire le posizioni dei giovani, ricevendo l’11 Aprile  le associazioni giovanili, con l’intento di illustrare le politiche già attuate dal governo in favore dei giovani e per annunciare ulteriori azioni di sostegno.

Tra le misure già attuate il potenziamento delle borse di studio per i giovani e l’integrazione fino a 1500 euro al mese dei salari dei giovani lavoratori. Tra quelle annunciate all’incontro: 1) ulteriori misure per sostenere l’accesso agli affitti per i giovani sotto i 30 anni che vanno a vivere da soli, 2) l’aumento dei contributi di assicurazione contro la disoccupazione a carico dei datori di lavoro che adottino contratti a breve termine e un migliore accesso alla sanità garantendo la copertura sanitaria universale integrativa anche ai giovani; 3) l’aumento del salario minimo legale per i giovani da 16 a 20 anni, dal 1 ° gennaio 2017, senza alcun costo aggiuntivo per i datori di lavoro[2]. Ciò nonostante le proteste dei giovani non sono cessate.

Nell’ultimo comunicato congiunto CGT, FO e le cinque sigle minori, hanno indetto una ennesima manifestazione per la giornata di ieri (16 Giugno) chiamando a partecipare dipendenti pubblici e privati, giovani e pensionati. Nel comunicato si sottolinea la contrarietà alla legge perché le misure previste sono considerate tutte sfavorevoli ai lavoratori. Due i punti particolarmente critici: 1) l’art. 2, che stabilisce l’inversione della gerarchia delle norme; 2) gli accordi per mantenimento di posti di lavoro[3] .

Dopo aver inviato una lettera comune al Presidente della Repubblica il 20 maggio, i sindacati del fronte del no, in mancanza di risposta, hanno lanciato una raccolta di firme per indire un referendum. La raccolta di firme si concluderà il 28 giungo, giorno in cui è prevista la votazione del testo di legge al Senato.

Il fronte “migliorista” e le proposte di modifiche al testo di legge

Il fronte dei miglioristi è composto da tre sindacati rappresentativi:  CFDT, il sindacato riformista, CFTC il sindacato cattolico, e CFE-CGC la confederazione francese dei quadri. Qui le posizioni sono più articolate. Gli unici due elementi che accomunano questi tre sindacati è la critica nei confronti del metodo adottato dal governo, che non ha consultato le parti sociali prima di presentare la proposta (e su questo concordano tutti i sindacati) e l’intenzione di esercitare la loro pressione sul governo e i deputati dell’assemblea per modificare il testo originario. Effettivamente sono stati presentati 469 emendamenti di modifica al testo in Assemblea Nazionale.

La CFDT, aveva considerato la prima versione del progetto di legge presentato alle parti sociali, come troppo sbilanciata verso una visione liberale, in particolare in merito alla deregolamentazione dell’orario di lavoro, alla crescita del potere unilaterale dei datori di lavoro e alla possibilità di licenziare. In seguito alle pressione esercitata sull’Assemblea Nazionale (che sarebbe la nostra  Camera in Italia) la CFDT ha potuto in parte contribuire alla riscrittura del testo, arrivando ad una seconda versione che considera più coerente ed equilibrata rispetto alla prima. Sono adesso considerati positivamente tre punti: 1) Il CPA Compte personnel d’activité che permette di legare i diritti alla persona e non al suo status di occupato o al tipo di occupazione; 2) la portabilità della previdenza, la generalizzazione della sanità complementare, l’assicurazione contro la disoccupazione e il conto personale di formazione; 3) il nuovo assetto del sistema di relazioni industriali. La CFDT è infatti stata sempre favorevole ad un ruolo maggiore del sindacato nella contrattazione aziendale e quindi ritiene la proposta della legge in linea con le sue azioni precedenti (come ad esempio il riconoscimento della section syndicale d’entreprise nel 1968, la negoziazione aziendale obbligatoria con le leggi Auroux nel 1982, la firma dell’ANI 2008 Accord National Interprofessionnel)[4] .

Il sindacato Cattolico sembra quello più favorevole alla riforma, che considera “necessaria per consentire lo sviluppo economico delle imprese e garantire i percorsi di carriera per i dipendenti”. Il sindacato cattolico non ha mai aderito alle manifestazioni indette dal fronte del no, decidendo di contribuire alla riscrittura del testo per migliorarlo. Le modifiche avanzate hanno riguardato in primo luogo il  CPA, considerato “uno strumento indispensabile per garantire maggiore sicurezza nel corso della vita”. La proposta è stata quella di renderlo più universale e dinamico e aperto anche ai cittadini.  Un secondo elemento giudicato positivamente è l’accesso alla VAE dopo un anno e non dopo 3anni. Il principale punto critico riguarda l’assetto dei livelli di contrattazione. La CFTC vorrebbe infatti che gli accordi di settore restassero il perno normativo del sistema di relazioni industriali, regolando quindi anche i campi che invece la legge vorrebbe derogare alla contrattazione aziendale.  Le motivazioni di questa contrarietà sono ben esplicitate. La CFTC infatti ritiene che in caso di prevalenza della contrattazione aziendale su quella di ramo, si possa determinare una concorrenza sleale delle aziende a scapito dei dipendenti. Altre proposte avanzate per il miglioramento della legge riguardano: il licenziamento economico, per il quale si chiede di estendere il campo di applicazione al di là del territorio nazionale; l’aumento del risarcimento in caso di licenziamento ingiustificato; l’introduzione di sanzioni in caso di riduzione del tempo di riposo compensativo; la revisione del numero di settimane consecutive in cui il lavoratore potrebbe lavorare 46 ore alla settimana e dell’aumento delle ore di lavoro per gli apprendisti minori; l’innalzamento del numero di ore di formazione accreditata per lavoratori poco qualificati, da 150 a 400 ore.

La CFE-CGC è il sindacato che presenta una posizione più critica e di opposizione al testo che  ritiene “non possa produrre alcun impatto positivo sulla competitività delle imprese”. Un punto di disaccordo riguarda l’introduzione del principio di inversione della gerarchia (art.2). Mentre concentra i suoi sforzi di negoziato in parlamento per rafforzare l’assicurazione in caso di disoccupazione. Il segretario nazionale della CFE-CGC Franck Mikula ha dichiarato infatti: “Dobbiamo preservare il ruolo fondamentale svolto da Unedic come ammortizzatore sociale”. Il recente comunicato del 15 giugno 2016, sottolinea che “CFE- CGC continuerà a sostenere le sue proposte al tavolo dei negoziati per difendere gli interessi dei lavoratori, in particolare tecnici, supervisori, manager e ingegneri. Ed in particolare punterà a rafforzare il sistema di assicurazione contro la disoccupazione (UNEDIC),considerato un indispensabile ammortizzatore sociale in tempi di crisi e di disoccupazione elevata”. Tra le proposte avanzate: quella di aumentare i contributi UNEDIC delle aziende che fanno uso di contratti brevi e temporanei; adottare altre tecniche di valorizzazione delle entrate (contributi variabili a seconda della durata dei contratti, indipendentemente dalla loro natura, bonus-malus applicata secondo l’uso che le aziende fanno dello schema UNEDIC); e la creazione di una tassa eccezionale e temporanea su redditi molto alti.

Le posizioni delle organizzazioni padronali

Anche tra le organizzazioni datoriali non c’è stato immediatamente un fronte unico, perché la legge El Khomri contiene nuove regole sulla rappresentatività delle organizzazioni datoriali. In Francia, a differenza che in Italia, già dal  2014 esiste una legge che stabilisce quali siano i criteri per certificare la rappresentanza anche delle organizzazioni datoriali, superando il principio del mutuo riconoscimento e della rappresentatività presunta. I criteri con cui si misura la rappresentatività delle organizzazioni datoriali sono 6: il rispetto dei valori repubblicani, l’indipendenza, la trasparenza finanziaria, almeno due anni di attività negoziale, l’autorevolezza legata all’attività ed all’esperienza, e, infine, il numero di imprese aderenti, variabile a seconda dei livelli di negoziazione. In attesa dei dati ufficiali e certificati sull’effettiva rappresentatività delle organizzazioni datoriali, che saranno comunicati nel 2017 dal Ministro del Lavoro, le  organizzazioni datoriali si differenziano soprattutto per le caratteristiche dimensionali delle imprese che rappresentano. Infatti MEDEF (Movimento Delle Imprese Francesi) conta circa 750 mila  imprese di cui il 90% composto da PMI sotto i 50 dipendenti. CGPME, la Confederazione Generale delle Piccole e Medie Imprese, rappresenta circa 1,5 milioni di PMI nel settore industria, servizi e commercio. UPA Les Enterrpises de Proximitè, rappresenta 1,3 milioni di aziende di artigianato e negozi locali, nel settore delle costruzioni, lavori pubblici, manifatturiero, servizi, cibo e hotel e ristoranti.

Il governo Valls aveva invitato le organizzazioni datoriali a trovare un accordo comune sui criteri della rappresentatività delle organizzazioni datoriali. Il cuore del problema dipende dal fatto che il criterio del numero di imprese aderenti favorirebbe le organizzazioni datoriali che associano migliaia di imprese anche senza dipendenti, mentre le organizzazioni che rappresentano le imprese più grandi e con tanti dipendenti, come ad esempio Medef, puntano a far contare di più il criterio del numero di dipendenti.

UPA, invitata da CGPME ad un confronto sulla legge, ha posto subito come precondizione per il confronto, che si valorizzasse la rappresentanza delle micro e piccole imprese. Le tre organizzazioni arrivano a siglare un accordo unitario il 2 maggio, stabilendo un bilanciamento tra il criterio del numero delle imprese e quello del numero dei dipendenti. La soglia minima per essere rappresentativi è quella dell’8% richiesta sia in termini di numero di dipendenti delle aziende associate, sia per il numero di aziende associate, includendo anche le società senza dipendenti. Il principio del diritto ad opporsi resta immutato, per cui se più del 50% dei dipendenti delle aziende associate si oppone l’accordo non è valido.  Infine in merito alla ripartizione dei Fonds Paritaire National, si stabilisce che vengano distribuiti per il 50% in base al numero dei dipendenti delle aziende associate e per il 50% in base al numero di aziende associate che contribuiscono al fondo. Con esclusione delle imprese senza dipendenti.

Se sulle regole della rappresentatività il fronte padronale sembra aver trovato un accordo unitario, non può dirsi lo stesso per quanto riguarda altri possibili impatti della riforma El Khomri, sulle micro e piccole imprese. UPA ha infatti chiesto al governo che venga rivista la norma che prevede un aumento del costo del lavoro in caso di adozione di contratti a breve termine.

Le posizioni della destra al Senato

Attualmente la riforma è in discussione al Senato, dove verrà votata il 28 giugno. Qui la maggioranza di destra ha intrapreso una vera e propria offensiva per modificare il testo in senso peggiorativo rispetto alle richieste avanzate dai sindacati riformisti dei lavoratori. Diverse le proposte avanzate. Tra queste ad esempio quella di permettere alle imprese di attuare accordi individuali con i lavoratori e rendere possibile nelle aziende con meno di 50 dipendenti che la trattativa con il personale avvenga in modo diretto e senza il ricorso al sindacato; la richiesta di adozione del referendum in azienda tra i lavoratori, in caso di assenza di rappresentanti del personale o in caso di opposizione dei sindacati su un accordo; la rinuncia alla generalizzazione della garanzia per i giovani; la rimozione del dialogo sociale nelle reti di franchising; l’aumento delle ore di lavoro anche per il part-time settimanale.

In caso di disaccordo tra le due camere la versione messa ai voti sarà quella dell’Assemblea Nazionale, arricchita con gli emendamenti che il governo avrà accolto.

Viste le posizioni contrarie al governo, che provengono sia dalla destra (al Senato), sia dalla sinistra (dai sindacati CGT ed Fo scesi in piazza), e di fronte alla ipotesi di assenza di una maggioranza in parlamento, il governo socialista ha quindi deciso di ricorrere ad un articolo della Costituzione, che impone l’adozione della legge escludendo il voto del Parlamento.

Ieri i due leader sindacali del fronte di opposizione alla legge, Philippe Martinez della CGT e Jean Claude Mailly di FO avevano indetto una manifestazione che -nelle intenzioni dei due segretari- doveva essere massiccia. In realtà le cifre comunicate dalla prefettura sono state considerevolmente ridotte: non più di 80mila manifestanti a Parigi e un totale di 125mila in tutta la Francia. Questo significa che il movimento di protesta si sta affievolendo? Vedremo cosa accadrà dopo l’incontro previsto per oggi (17 giugno) tra Philippe Martinez e la Ministra El Khomri[5].

Maria Concetta Ambra
Dottore di Ricerca in Sistemi Sociali, Organizzazione e Analisi delle Politiche Pubbliche
Università di Roma Sapienza


[1] I Per un approfondimento del testo, si veda il dossier diffuso alla stampa il 13 aprile 2016 dal titolo Projet De Loi Travail. Plus D’emplos, Plus De Libertes, Plus De Protections, in cui è descritta l’architettura del progetto di legge, i motivi che hanno portato alla sua proposta e le principali misure previste.

[2] Si veda il documento Allocution de Manuel VALLS, Premier ministre, Encontre avec les organisations de jeunesse, Hôtel de Matignon, 11 Avril 2016, disponibile sul sito del governo francese al seguente link: http://www.gouvernement.fr/sites/default/files/document/document/2016/04/11.04.2016_allocution_manuel_valls_premier_ministres_-_organisations_de_jeunesse.pdf

[3] Gli Accords Pour Le Maintien De L’emploi,  -che somigliano a quelli proposto dal governo Sarkosy- stabiliscono che si possano modificare i contratti di lavoro per un periodo limitato, a condizione che l’accordo sia firmato da sindacati o degli organi che rappresentano oltre il 50% degli occupati (Amable 2016)

[4] L’ANI 2008 ha portato alla cosiddetta legge di modernizzazione del mercato del lavoro (giugno 2008) . Si rende più semplice il licenziamento introducendo la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. A differenza delle dimissioni o del licenziamento questa terza modalità conferisce al dipendente licenziato il diritto ad indennizzi e alle prestazioni di disoccupazione e istituisce la portabilità dei diritti alla formazione per i lavoratori (Amable 2016). L’ANI 2008 è stato firmato dalle tre associazioni datoriali (MEDEF, CGPME e UPA) e da quattro confederazioni sindacali (CFDT, FO, CFTC e CFE-CGC) su cinque.  Non ha sottoscritto l’accordo la CGT.

[5] Si veda l’articolo Loi travail: rencontre sous haute tension entre El Khomri et Martinez, pubblicato da Le MONDE,  il 17 Giugno 2016, disponibile al seguente link: http://www.lemonde.fr/politique/article/2016/06/17/rencontre-sous-haute-tension-entre-myriam-el-khomri-et-philippe-martinez_4952247_823448.html

Maria Concetta Ambra

Maria Concetta Ambra

Dottore di Ricerca in Sistemi Sociali, Organizzazione e Analisi delle Politiche Pubbliche Università di Roma Sapienza

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Il Diario del Lavoro

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